Nasce Paolo Sorrentino

Il 31 maggio del 1970 nasceva il regista Paolo Sorrentino.

Un pomeriggio caldo e noioso, via Appia affollata di coatti. Il direttore su uozzàp, laconico come sempre.

-Senti il 31 maggio oltre a essere il mio compleanno è anche quello di Sorrentino. Lo scrivi un pezzo su di lui?-

Come rifiutare? Quello del compleanno è un giorno importante, ci ricorda chi siamo, come siamo stati, quanto abbiamo fatto, quanto ci resta ancora da fare. Da sempre amo e odio contemporaneamente il giorno del mio compleanno.

Io ho amato Paolo Sorrentino, come regista.

Come uomo non lo conosco. L’ho incontrato di sfuggita qualche anno fa a Monti. Lui camminava frettolosamente per via del boschetto e io andavo nella direzione opposta. Ci siamo incrociati senza fermarci. Mi sono voltato di scatto, l’ho guardato per qualche attimo, ho pensato ‘Paolo Sorrentino’, poi ho proseguito per la mia direzione. Per la verità dell’uomo non mi interessa proprio nulla. Io ho amato Paolo Sorrentino, il regista. Il suo cinema mi ha accompagnato nell’età adulta, scandendo delle tappe significative del mio percorso personale e artistico.

Mi sembra il minimo, dovendo scrivere di lui, in occasione del suo compleanno, allacciare il suo cinema ai miei ricordi, perché la storia del cinema è in qualche modo anche la storia della nostra vita.

Una stanza su via Tiburtina, un pomeriggio del 2005. Un televisore da 15” sta sul tavolino Ikea bianco da €9,90 e L’uomo in più, gira nel lettore dvd. Io sono seduto sul letto, a un metro dallo schermo. Se potessi avvicinarmi di più, entrare dentro l’azione e abbracciare Toni Servillo lo farei. Non riesco a capacitarmi di come sia possibile girare un film così intenso con un’abilità tecnica e poetica tale e rimanere così scandalosamente ignorati dal pubblico. Un film perfetto. Non sarebbe mai più capitato a Sorrentino di trovare un’armonia simile tra forma e contenuto come nel suo film d’esordio, con la freschezza e le promesse della gioventù. Mirabile. Divino. Divo. Lui. Il monologo del mister nello spogliatoio e l’ingresso di Pisapia in campo mettono i brividi. Manco Kubrick.

Flashback. 2004. In un appartamento in via dei Foscari, il mio amico Franco, un cinefilo tout court mi parla di un film che lo ha commosso. Mi commuovo anch’io. Franco è uomo tutto d’un pezzo, adora Carpenter e se qualcosa l’ha smosso nell’animo deve pur valere la pena. Flashforward. Un dvd allegato a un quotidiano. Sto guardando Le conseguenze dell’amore e adesso capisco tutto. Non piango, ma anch’io sono commosso, per la bellezza oggettiva di quel film.  Tecnica e poetica. Un senso di sospensione dal tempo mai vissuto prima. A oggi, a parer mio, il capolavoro del regista napoletano. A quel punto inizio a capire che nessuno in Italia (a parte Matteo Garrone) gira film come Paolo Sorrentino, che mi pare un alieno, nel panorama cinematografico italiano. Credo da allora di aver visto il film almeno una decina di volte e di aver sempre sottovalutato le conseguenze dell’amore.

Cinecittà. 2006, credo. Tutti nella mia scuola di cinema parlano de L’amico di famiglia. Il mio caro compagno Beppe, regista inquieto, me ne parla estasiato. Io vedo il film con curiosità ma onestamente cominciano a serpeggiare in me segni di ribellione. E’ il momento dell’uccisione del padre. Sorrentino secondo me inizia ad adagiarsi. E’ il momento di distaccarsi dai modelli e superarli, per trovare la mia voce personale nel mondo. Per contribuire col mio verso allo spettacolo della vita.

2008. Quartiere San Lorenzo, cinema Tibur. Io e Antonella usciamo dalla proiezione de Il Divo e ne nasce un dibattito. Io sono perplesso. Il film ci è piaciuto, ma a me stavolta è piaciuta solo la technè. La realizzazione è impeccabile. E’ la presa di posizione dell’autore che mi manca. Perché Sorrentino non prende posizione sul personaggio Andreotti? Perché si misura con la Storia senza raccontarla dal suo punto di vista? Non è forse compito del regista darci il suo personale punto di vista sul racconto? Perché allora questo silenzio. Anto non è d’accordo con me, pensa che io sia un talebano. Anche Cannes non è d’accordo con me e premia il film a ex aequo con Gomorra di Garrone. Ma per me non c’è partita. Gomorra è il capolavoro di Garrone ed è anche un film che rilegge il neorealismo come nessuno era mai riuscito a fare negli ultimi sessant’anni, raccontando intanto l’Italia. Il Divo è soltanto un film girato e recitato in maniera impeccabile.

Stesso cinema, altro anno. 2011. Antonella, Andrea mio fratello, Mary ed io, carichi di aspettative assistiamo al punto più basso della cinematografia di Sorrentino. This must be the place. Io non lo capisco bene, non ho voglia di parlarne. Perché il film parla di Olocausto e io ho l’impressione che Sorrentino giri a vuoto su se stesso? Inqualificabile. Mio fratello è schifato. Io sono colpito, non è il regista che ho imparato ad amare.

L’ultimo tassello è del 2013. La grande bellezza. Lo attendo con impazienza. Lo vedo due volte. La prima con mia madre, la seconda con Antonella. Entrambe le volte trattengo a stento la rabbia. Come si può fare un film del genere? Un film sul nulla, verrebbe da pensare di primo acchito. E giù a filosofare sul concetto di rappresentazione del vuoto pneumatico come ultima ancora di salvezza del cinema italiano. Come se rappresentando lo sfascio culturale e sociale di una città, unica magnifica presenza residua, si possa rappresentare l’Italia intera. Miraggio. In realtà il film è vuoto. E’ povero. E secondo me non rende neanche esteticamente giustizia alla grande bellezza di Roma, quella vera. E’ un film vuoto e finto. E’ la Fontana di Trevi venduta agli stranieri in visita in città. E’ una grande cartolina di questo Paese. E’ un mega spot pubblicitario e quindi deve necessariamente vincere un Oscar. Così la pensavo l’anno scorso e così la penso tutt’ora.

Ho ucciso il padre cinematografico. Il percorso si è compiuto, infine. Posso tornare ad ammirare Paolo Sorrentino e il suo cinema. Posso augurargli buon compleanno e tornare ad aspettare con impazienza ogni suo nuovo lavoro e guardarlo col distacco che le grandi opere si meritano.

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