Infibulazione e mutilazione dei genitali femminili: una giornata per dire basta

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Il 6 febbraio è la giornata internazionale contro le mutilazioni genitali femminili che violano i diritti fondamentali della donna

Se le discussioni intorno al tema delle mutilazioni genitali femminili entrano nell’agenda mediatica solo saltuariamente, la questione riveste ancora una preoccupante rilevanza vista la sua ampia applicazione in diverse parti del mondo. Oltre che in Africa – dove risulta essere principalmente diffusa – la pratica delle mutilazioni è infatti attuata in Medio Oriente, in alcuni Paesi asiatici e in alcune regioni dell’India. E, negli ultimi anni, ha preso piede anche in diversi Paesi europei, in Canada, Australia e negli Stati Uniti, soprattutto a seguito dell’aumento dei fenomeni di migrazione.

L’istituzione da parte dell’Onu della Giornata Internazionale contro l’Infibulazione e le mutilazioni genitali femminili (MFG), il 6 febbraio di ogni anno dal 2003, nasce dalla presa d’atto della sua larga diffusione e dalla successiva riflessione sulla necessità di debellare una prassi che viola il diritto fondamentale alla salute e all’integrità fisica.

L’infibulazione comporta infatti una rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni, o altre modificazioni indotte agli organi genitali femminili, ed è inflitta a bambine e giovani donne con un’età che solitamente rientra fra i 4 e i 14 anni. Purtroppo anche la fascia di età è indicativa, considerando che in molte zone vengono sottoposte a intervento bambine molto più piccole, addirittura neonate.

Grande attenzione riguardo al problema è stata rivolta negli anni dall’associazione “Genere Femminile”, la quale persegue finalità di solidarietà e di inclusione sociale in favore delle donne ritenendo che esse potranno esser raggiungibili solo attraverso la creazione e la diffusione di una cultura di parità e di non discriminazione.

Cotrina Madaghiele, Presidente dell’associazione, ha affermato che le motivazioni alla base delle pratiche di MFG variano a seconda della comunità etnica di appartenenza ma che in generale questa “criminale pratica ha gravissime conseguenze fisiche, psicologiche e sessuali su chi la subisce. È una vera e propria violazione dei diritti umani e della donna”.

La varietà delle motivazioni scaturisce dal diverso patrimonio culturale e religioso delle comunità in cui essa viene messa in atto. Tuttavia la rilevanza sociale che la pratica assume è evidente se si pensa che il rischio per chi non vi si sottopone è l’emarginazione se non addirittura la messa al bando dalla comunità. In molte società, soprattutto africane, una donna non è libera di esprimere la propria sessualità che anzi è direttamente controllata dalla sua famiglia (appunto anche attraverso le pratiche di mutilazione).

Anche per questo i numeri rimangono altissimi: più di 140 milioni di donne operate e, spesso, anche in scarsissime condizioni di igiene e senza anestesia.

Come afferma anche l’associazione Genere Femminile, occorre dunque consolidare e intensificare l’impegno politico e civile globale per costruire un più ampio movimento di opinione che contribuisca a condannare senza mezzi termini le MGF, e rendere le donne e le ragazze più consapevoli dei propri diritti anche riguardo alla loro salute sessuale e riproduttiva.

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