17 novembre 1950: nasce Carlo Verdone

carlo verdone

Carlo Verdone: i 65 anni di un ragazzo terribile del cinema italiano diventato maestro.

Una comicità caustica, uno sguardo sempre attento alla realtà circostante, le doti trasformistiche, la passione sfrenata per la musica, l’autoironia sulle nevrosi, gli esordi sul grande schermo sotto l’egida di Sergio Leone, le grandi doti registiche, la maturità artistica.

Il giovane Carlo Verdone è particolarmente nervoso quando, in un pomeriggio di febbraio del 1979, sotto una pioggia torrenziale, bussa al cancello della villa di Sergio Leone all’Eur, periferia sud di Roma. Il 28enne comico, ormai famosissimo grazie alla trasmissione di Rai2 “Non stop”, ha respirato celluloide fin dalla nascita. Suo padre Mario è un importante critico e storico del cinema. In casa, in Lungotevere dei Vallati, vicino Via Giulia, rione Regola, nel cuore del centro storico, Carlo è abituato a vedere da sempre i più grandi personaggi di Cinecittà, come Rossellini, Sordi, Zavattini, De Sica (padre del suo carissimo amico, compagno di classe al collegio Nazareno e futuro cognato Christian). Eppure la laconica telefonata di convocazione del più importante regista italiano del momento lo ha messo davvero in agitazione. Leone apprezza le sue doti di comico e di trasformista e vuole provare a convogliarle in un film.

Il primo incontro è molto rapido. Leone, nel suo romanesco cavernoso e severo si limita a dirgli: “Me fai ride. Hai portato qualcosa da famme legge?” e poco altro. Si fa consegnare qualche cartella dattiloscritta e congeda il ragazzo. Segue un invito a pranzo, con la moglie e i tre figli del Maestro. Leone demolisce in toto il materiale che Verdone gli ha consegnato, scritto insieme a Marco Risi, ma ormai la decisione del film è presa. È presente anche un altro invitato. Un bizzarro energumeno dalla voce tonante, con occhiali e un’enorme croce d’oro al collo, che si è presentato con tre cassette di frutta e un vassoio di trenta paste. “Assaggia questo Sergio” apostrofa il padrone di casa “È ‘n zucchero”. È Mario Brega.

Il punto forte della comicità di Carlo Verdone è la capacità di scrutare la realtà, di rubare dalla strada situazioni e tipi umani e riproporli al pubblico. Nato a Roma il 17 novembre 1950, inizia poco più che 20enne a esibirsi nei cabaret romani, debuttando all’Alberichino, una sala da 45 posti. A scuola, le sue imitazioni dei professori erano richiestissime. Da ragazzo, il suo “osservatorio” privilegiato è il Bar Mariani, in Via dei Pettinari. Da lì il giovane Carlo vede passare capelloni, militari in pensione, prelati, carabinieri, piccolo-borghesi logorroici e pignoli, prostitute con i loro clienti e, naturalmente, il suo futuro cavallo di battaglia per eccellenza: i “coatti”. Un campionario di umanità che non smetterà mai di riversarsi nei suoi film.

Con una cinepresa in Super8 comprata dall’amica Isabella Rossellini, inizia a girare cortometraggi sperimentali. Nel 1970 realizza “Poesia solare”, film astratto a cui aggiunge una colonna sonora dei Pink Floyd. Si combinano due dei suoi futuri temi ricorrenti: l’estate e la musica. Il film gli vale l’ingresso al Centro Sperimentale di Cinematografia, dove si diploma nel 1974.

Torniamo al 1979. La sceneggiatura, scritta da Carlo Verdone con Leo Benvenuti e Piero De Bernardi, è finita. Ma chi sarà il regista? Vengono presi in considerazione Steno, Lina Wertmüller, Luigi Magni. Ma Leone intuisce che l’unica persona che può governare i tempi comici di Verdone è Verdone. Lo sequestra per quattro mesi e gli tiene un corso accelerato di regia. Nel programma didattico viene inserita una buona dose di schiaffoni.

Il copione c’è, il regista anche, ma sorgono altri problemi. I distributori Poccioni e Colajacono della Medusa non apprezzano l’idea di un film a metà tra il comico e il malinconico con sei personaggi interpretati dallo stesso attore. Carlo Verdone racconta così l’episodio, nel suo libro “Fatti coatti”: “Allora Leone mi chiese uno sforzo supplementare: recitare l’intero copione con tutte le voci dei personaggi in una riunione fiume davanti ai due distributori. Iniziai alle tre del pomeriggio e terminai stravolto alle otto di sera. Quanto a concentrazione fu una delle esperienze più massacranti di tutta la mia carriera. I due distributori non ridevano mai e cercavano di intuire cosa ci fosse di divertente nella mimica del bullo, nel modo di parlare del fricchettone, nelle pause strampalate del ragazzotto ingenuo. Finalmente, al termine dell’estenuante lettura, Franco Poccioni allargò le braccia e disse: ‘E famolo, che vve devo dì’. E Colajacono aggiunse: ‘Che Dio ce la mandi bona’”.

“Un sacco bello” viene girato a tempo di record in “5 settimane e un giorno” per un costo di 560 milioni. La scuola leoniana funziona.

verdone

Il capellone Ruggero e l’ingenuo Leo, il primo in fuga da un padre impossibile (un grande Brega) e il secondo oppresso da una madre asfissiante e invisibile, avviano la galleria verdoniana dei personaggi afflitti da problemi familiari. Ma la vera “maschera tragica” è il bullo Enzo, che apre il film emergendo dalla nube di vapore di una doccia, come Clint Eastwood appare dal fumo di un’esplosione alla fine di “Per un pugno di dollari”. Si picca di essere un grande esperto di motori ma rimane in panne in continuazione. Vorrebbe essere un leader, un trascinatore, ma è solo un disperato senza amici e senza radici che si ribella inutilmente alla propria condizione.

Il film trionfa al botteghino e Verdone vince un David di Donatello speciale come miglior esordiente. E’ nato un nuovo autore che segnerà profondamente il cinema italiano. E “Un sacco bello” racchiude già molti dei concetti chiave che caratterizzeranno il suo percorso artistico. Attenzione fondamentale per la scrittura, stile classico nelle riprese, in generale l’idea che il regista debba dimostrare la sua autorialità più concentrandosi sulla storia che non sui risvolti tecnici.

I personaggi dei suoi film hanno le manie, i tic, le fragilità, le insicurezze dell’Italia uscita dal vortice degli anni ’70. I suoi protagonisti sono spesso dotati di un involontario istinto autolesionista. I suoi modelli dichiarati sono Jack Lemmon e Walter Matthau, con quella vena di nevrosi che non rimane però una questione individuale ma si ripercuote sull’intera società.

Dimostra grande capacità nella direzione degli attori. Nel suo film d’esordio Mario Brega, Renato Scarpa, Veronica Miriel non sono macchiette di un film comico ma comprimari dotati di grande profondità. Le sue storie sono spesso basate sull’incontro-scontro di caratteri antitetici. La galleria delle attrici che hanno lavorato con lui è notevole. Quasi sempre, Verdone contrappone a se stesso personaggi femminili forti e problematici.

“Bianco, rosso e Verdone” non va bene come il primo film. Anche qui una galleria di personaggi esilaranti per un film “on the road” popolato da grandi caratteristi: il fedele Mario Brega, Angelo Infanti, l’attrice russa Irina Sanpiter e la scatenata “Sora Lella” Elena Fabrizi. Ma nel 1981 esce il primo film di un altro autore che, da una latitudine geografica diversa, dimostrerà di avere molte carte da giocare nel campo della nuova commedia all’italiana. Quell’anno, la palma degli incassi va a “Ricomincio da tre” di Massimo Troisi.

È il segnale che per Verdone occorre una nuova prova di maturità artistica, occorre cambiare. Smettere con i personaggi, le caratterizzazioni, le parrucche e gli episodi e cimentarsi con un personaggio unico e con una storia a tutto tondo. Per questo motivo “Borotalco” è considerato da Verdone il proprio titolo più importante. Un film che fotografa alla perfezione la  mitomania e l’americanismo dilaganti dei primi anni ’80, segna l’inizio della collaborazione con Mario Cecchi Gori e soprattutto fa emergere prepotentemente la musica come tema cardine dell’universo verdoniano. Lucio Dalla e Jimi Hendrix, Venditti e i Led Zeppelin, Joe Cocker, Elvis Presley, Vasco Rossi, Jim Morrison, Mino Reitano. Nei film di Verdone la musica non è corredo tecnico ma diventa parte integrante della narrazione e della storia.

I suoi esordi hanno fotografato gli ultimi colpi di coda degli anni di piombo e della contestazione; ha mostrato la crisi del “maschio italico” con “Borotalco” e “Acqua e sapone”; l’edonismo degli anni ’80 con “Troppo forte”; il disfacimento della Prima Repubblica con “Compagni di scuola” e “Stasera a casa di Alice”; la tv spazzatura con “Perdiamoci di vista”; il disorientamento degli anni ’90 con “Viaggi di nozze” e “Gallo cedrone” e avanti così fino alla famiglia in perenne crisi di “Sotto una buona stella” e “Posti in piedi in paradiso”.

“A me piace la comicità che porta sempre un segno di verità” ha detto di sé in un’intervista “La comicità surreale non mi appartiene, la lascio fare ad altri. Non è il mio terreno”. Non c’è una fase della vita italiana degli ultimi quattro decenni che Carlo Verdone non abbia sezionato ed analizzato, sempre rigorosamente attraverso le storie private dei suoi personaggi, ogni volta facendo scoprire agli spettatori qualcosa di nuovo su se stessi.

Tag

  • carlo verdone
  • comico
  • sergio leone
  • un sacco bello

Potrebbe interessarti: