Ladyoscar: l’amore ai tempi del declino

Ladyoscar

Dal 12 al 17 gennaio è andata in scena al teatro Studio Uno “Ladyoscar”, l’opera dell’eclettico Ferdinando Vaselli che rende vivi due cocainomani interpretati da Alessia Berardi e Riccardo Floris.

Luci. Nessun sipario.

Si teme nella claustrofobica sala dello Studio Uno una messinscena intellettualistica e artificiosa presentata dall’associazione “20 Chiavi Teatro”.

Nessun artificio; due “pischelli” sono lì, su un divano, incapaci di un reale movimento, senza volto nè nome, fissi, immobili; sono cullati brutalmente dal notturno di Chopin a cui si affiancheranno le musiche originali di Sebastiano Forte.

Si mostra in tutta la sua sozzura la loro relazione, costellata da nomignoli, aerei di cui mai sentiranno il rumore e apatia. Sono i sovrani indiscussi di un regno col cancro al gusto di cocaina, mutilato di uscite e di sogni.

Lei, la ragazza di borgata interpretata dall’energica Alessia Berardi, balla e saltella in modo violento, in un limbo dal quale pare voler fuggire ma del quale è e sarà scenografia in eterno.

Lui, il rifiuto della borghesia a cui ha dato voce Riccardo Floris, non la vede, non la sente, non si sente.

Litigano ferocemente, mai abbastanza da spaventare.

Si disperano, si ingelosiscono, giocano; mai quanto basta per acquistare concretezza nel loro universo atemporale.

Prendono in prestito banali problemi di coppia e li rendono, come loro, privi di consistenza, esasperandoli; rubano simboli e li crocifiggono a testa in giù aiutati dalla forza della loro assenza; aspettano un bambino, Ladyoscar, in ricordo di un tempo che prometteva felicità.

Disturba poco il ritmo serrato e, spesso, costruito, delle battute che incarnano stereotipi mai generici.
Crea fastidio e ci sputa in faccia la nostra disarmante miopia, invece, il riso convulso del pubblico, incapace di gestirli, confinato all’angolo.

L’intero racconto prende corpo grazie allo studio del regista all’interno delle Asl e seguendo le riprese del documentario della Fox “Biancaneve”, motivo della verosimiglianza della dipendenza che ci riporta alla pellicola neorealistica di Claudio Caligari, “Amore tossico”.

Tuttavia, mentre nel premiato film girato con reali tossicodipendenti, tutto ha il colore e la forma dell’eroina, in “Ladyoscar”, sbiadisce il ricordo della loro amata polvere stupefacente; i due protagonisti, infatti, divengono presto solo le immagini amorfe di una generazione svuotata, derisa e stuprata dalla realtà.

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