18 febbraio 1967: nasce Roberto Baggio

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Il 18 febbraio 1967 nasce Roberto Baggio, l’anima blues del calcio italiano. Un fantasista umile e taciturno entrato nella storia anche per la sua voglia di non farsi ingabbiare negli schemi.

Probabilmente il giocatore italiano più amato ma anche il più discusso dalla fine degli anni ’80 fino al 2004, anno in cui smise di giocare, Roberto Baggio, “Divin Codino” per chi volesse fargli bonariamente un dispetto usando un nomignolo a lui poco gradito, deliziava tutti con i suoi tocchi raffinati, le sue finte e quel modo di mettere a sedere il portiere con movimenti naturali ai quali solo i giocatori di gran classe sanno affidarsi.
Baggio era il Raffaello del calcio italiano di quel tempo, come disse Gianni Agnelli, anche lui ammaliato dalle giocate del fantasista che iniziò a mettersi in mostra a Vicenza per poi conquistare il calcio che conta approdando alla Fiorentina.

Il suo carattere taciturno fuori dal campo compensava con la grinta che metteva quando e dove voleva giocare. Tante le litigate infatti con i suoi allenatori sin dalle prime battute in quel di Firenze con Eriksson che non lo vedeva come fantasista ma come ala destra, per non parlare di tutti quelli che ai tempi non vedevano di buon occhio i trequartisti e lo facevano giocare seconda punta o di chi, addirittura, gli chiedeva di fare la fase difensiva.

Fatto sta che Baggio si mette in mostra e dopo 5 anni indimenticabili con la maglia viola,  nel 1990, passa alla Juventus, non senza polemiche data la rivalità calcistica con la Fiorentina. Resterà a Torino fin quando non arriverà un certo Alessandro Del Piero.
Indosserà anche la maglia di Milan e Inter ma alla fine Baggio risulterà un’anima blues del calcio italiano, con tanti gol e tante emozioni regalate anche in nazionale ma con  delusioni sempre puntuali, come al mondiale Usa del ’94 con quel rigore fallito, che in pratica cancellavano le tante prodezze compiute dallo stesso Baggio. Forse è per questo che Baggio riconquista i cuori di tutti i tifosi italiani quando decide di giocare un anno a Bologna e poi di andare a Brescia nel 2000 dopo la parentesi (amara) con l’Inter di Lippi.

Lì trova Carletto Mazzone che gli concede carta bianca permettendogli di non badare alla mai amata fase difensiva. L’Italia calcistica s’inchina nuovamente alle giocate del fantasista che manda in gol chiunque giochi in coppia con lui, da Hubner a Tare, facendo brillare il gioco del proprio allenatore. Il Brescia conquista addirittura l’Intertoto,  Baggio segna con continuità ma non viene convocato in nazionale dal ct di allora Giovanni Trapattoni per i mondiali del 2002, anno in cui verrà eletto, a pieno merito, calciatore più amato dai tifosi.

Giocherà altri due anni, portando il Brescia all’ennesima salvezza con le sue “spennellate” che hanno reso Roberto Baggio un giocatore dotato di alta classe che amava proporre il suo modo di vedere il calcio; e quel Pallone d’Oro vinto nel 1993, le difficoltà ad imporsi trovate dopo e la carriera finita con grande umiltà a Brescia, dimostrano quanto sia difficile essere coerenti con se stessi, preferire la libertà e la fantasia piuttosto che essere rinchiusi negli schemi degli allenatori.

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