Brexit: filmografia arbitraria

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Di referendum, Brexit e scelte della Gran Bretagna si è parlato per giorni, settimane e mesi… Ecco allora il nostro personalissimo sguardo cinematografico al paese della Regina.

Giudicato nei modi più disparati. Considerato gesto di libertà dei popoli o avventurismo irresponsabile. Qualcuno, finora smentito, spera addirittura che si possa tornare indietro. Comunque vadano le cose, il referendum che ha sancito l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea resterà come uno snodo cruciale nel rapporto tra la Gran Bretagna e il Continente. Filmografia, come sempre personale e lacunosa, sul popolo di Sua Maestà, visto da se stesso e dagli altri.

Asterix e Obelix al servizio di Sua Maestà di Laurent Tirard (2012)

Il popolo della Regina Cordelia chiede aiuto ai Galli per resistere alle armate di Giulio Cesare. Asterix e Obelix (Edouard Baer e l’immancabile Gérard Depardieu) corrono in soccorso con pozione magica al seguito, tra carri-bus a due piani, ombrelli, tazze di acqua calda e antenati dei Beatles. La Regina ha le divine sembianze di Catherine Deneuve. Nel fumetto, il capo “Zebigbos”, sotto baffi e trecce aveva le fattezze di Winston Churchill. Frecciatine in abbondanza tra le due sponde della Manica.

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King Arthur di Antoine Fuqua (2004)

Quando i Romani non ci sono più, li si rimpiange. L’Impero sta per cadere e la Britannia viene abbandonata a se stessa. Il mercenario Artorius (Clive Owen) decide di rimanere e fronteggiare l’invasione sassone, con al fianco i suoi cavalieri, aiutato dal capo barbaro Merlino e da sua figlia Ginevra. Un blockbuster con poca consistenza che rivisita il Mito di Re Artù e fa leva su uno dei valori base della mentalità inglese: la convinzione di essere gli eredi dell’Impero Romano. Un film che è un’occasione mancata.

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Robin Hood di Wolfgang Reitherman (1973)

Cercando la semplificazione a beneficio del pubblico giovanissimo, il capolavoro Disney trova la perfezione del paradigma, sconosciuta ai vari Flynn, Connery, Costner, Crowe. La simpatica volpe in casacca verde ci guida attraverso la madre di tutte le battaglie dei sudditi di Re Riccardo e dei loro discendenti: quella contro l’oppressione fiscale.

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I cinque segreti del deserto di Billy Wilder (1943)

Nord Africa, 1941. Un caporale londinese disperso dietro le linee tedesche si finge agente segreto del Reich e riesce a carpire i segreti di Rommel. Un vate del cinema mette il suo genio al servizio della propaganda bellica. Una buona razione di didascalismo. C’è perfino una cameriera francese che si prostituisce ma si riscatta nel finale. La ridicola figura del Generale Sebastiano era talmente irrispettosa verso di noi da essere interamente tagliata nell’edizione italiana. Spy-story ingegnosa: un inglese presume sempre che un segreto sia custodito con metodi intricatissimi. E invece…

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Ipcress di Sidney J. Furie (1965)

Anzichè James Bond, scegliamo la sua nemesi Harry Palmer. Se il primo è il super-eroe che traina la Nazione fuori dalla decadenza e dalla perdita di prestigio del dopoguerra, quello con il volto di Michael Caine, nato dalla penna di Len Deighton, è un agente segreto impiegatizio e svogliato, dalla condotta non sempre irreprensibile, angustiato per il basso stipendio e capace di granchi clamorosi. Ma che dimostra potenzialità insospettabili se c’è da smascherare chi fa il doppio gioco. Va bene tutto, ma i traditori no.

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Fumo di Londra di Alberto Sordi (1966)

L’infatuazione italica per l’Inghilterra non poteva che avere il volto di Albertone che, 12 anni dopo Nando Mericoni, esordisce alla regia con un altro personaggio affetto da esterofilia compulsiva, l’antiquario Dante Fontana. Castelli, taxi, capelloni, party alla moda, abbigliamento Mod, risse tra bande. Infine, l’immancabile foglio di via.

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Frenzy di Alfred Hitchcock (1972)

Londra è terrorizzata da un maniaco che strangola le donne con le cravatte. Uno sgradevole veterano di Suez deve dimostrare la sua innocenza, al solito, solo contro tutti. Per il suo penultimo film, Sir Alfred è felice di tornare a casa. Dopo un’apertura trionfale sul Tamigi, subito si fionda nei quartieri popolari della sua infanzia, come i mercati generali di Covent Garden, dove il piccolo Al accompagnava il padre William a prelevare frutta e verdura per il loro negozio. Umorismo nero a palate, scarsa igiene, pub affollati, cibi scaduti, movimenti di macchina magistrali. Facce perfette prese dal teatro londinese, disseminate da Hitch lungo la pellicola a costituire il “coro greco” di un giallo strepitoso, cockney e sgarbato. Geniale battuta finale a doppio taglio: “Signor Rusk, come mai non porta la cravatta?”

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Riff Raff di Ken Loach (1991)

“Giovedì mattina è giorno di paga, ed è pure giorno di licenziamenti. Perciò in campana”. All’alba del decennio dell’economia di mercato trionfante, il cineasta simbolo della classe operaia inglese “pedina” un ex-detenuto che trova lavoro in un cantiere edile ed i suoi colleghi, sul finire dell’era Thatcher. Pochi soldi, macerie ovunque, licenziamenti ingiustificati, un morto sul lavoro, la vendetta. Eccoli qui, i veri responsabili della Brexit, i famigerati “poveri” che dimostreranno con il voto di non apprezzare i vantaggi dell’Unione Europea. O magari di non averli mai visti.

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The Queen di Stephen Frears (2006)

Fine estate 1997. Elisabetta II ha vissuto nella convinzione che un sovrano debba essere esempio di austerità, riserbo, compostezza. L’uragano mediatico scatenato dalla morte di Lady Diana spazza via le sue certezze. Scopre di essere l’unico membro della famiglia reale a credere davvero in quel sistema di valori e imparerà sul campo a difendersi dal rampantismo della nuova classe dirigente. Uno dei capolavori della satira anni 2000. Ancor più che le sacche di conservatorismo estremo, il laburista Frears mette alla berlina la Blair-mania acritica e opportunistica dilagante a fine anni ’90. Macroscopici tutti gli interpreti. Helen Mirren vince una pioggia di premi e Michael Sheen è un ghignante Tony Blair.

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