Sotto accusa: l’eterna lotta tra ong e verità.

ong e migranti

Recentemente una notizia riportata da Frontex ha destato scalpore e attenzione da parte dei media quanto dell’opinione pubblica: le ong che operano nel mediterraneo sono colluse con i trafficanti di esseri umani (?).

Il “J’accuse!“, che letteralmente vuol dire “io accuso” e metaforicamente parlando il titolo sensazionalista usato da Emile Zola nell’Affaire Dreyfus, è la prefigurazione di un modello (e un modo) di far notizia particolarmente amato/utilizzato dai media. L’accusa colpisce dritta al cuore del lettore e dello spettatore, preannunciando una novità che, al di là della possibile verità, potrebbe suscitare aspre polemiche (e riflettori puntati/maggiori click sul proprio sito). In questo caso ad essere nell’occhio del ciclone sono le ong che lavorano nel mediterraneo accusate da Frontex, nell’eterna lotta tra verità e menzogna che ai tempi delle bufale online tanto piace all’opinione pubblica.

Nascita di una notizia e di un “J’accuse!” da verificare.

Tutto comincia dal rapporto annuale Risk Analysis for 2017 pubblicato il 15 Febbraio scorso con un ampio dossier sul Financial Times da parte di Frontex, agenzia europea per le frontiere esterne. Secondo l’agenzia, le operazioni di ricerca e soccorso che sempre più spesso si svolgono vicino alle coste libiche, agiscono da pull factor, ossia da fattore di attrazione che incoraggia i migranti a intraprendere la traversata del mar Mediterraneo. Ma non finisce qui: il rapporto ipotizza, infatti, anche contatti diretti tra le navi di soccorso e gli scafisti a cui viene affidata la guida delle imbarcazioni, accusando a questo punto direttamente le ong di essere colluse con i trafficanti di esseri umani attivi in Libia e costringendo la Procura di Catania ad aprire un’indagine a riguardo.

La sconcertante “verità” di Frontex si colloca in un più ampio dibattito riguardo la delicata questione dell’immigrazione sollevata dai membri dell’Unione Europea, che non intende abbassare i toni e decide recentemente, attraverso la diffusione di un video ufficiale del Consiglio d’Europa, di certificare l’approccio di chiusura dei confini anche ai migranti aventi diritto (che siano le maniere forti del “a mali estremi, estremi rimedi” la risposta di contro allo spettro di una vittoria del fronte euroscettico?).

L’aiuto senza secondi fini e l’opinione della società.

La risposta delle ong ovviamente non si fa attendere troppo: alcune tra le più grandi associazioni umanitarie a livello internazionale infatti, dalla Croce Rossa a Medici Senza Frontiere, non solo smentiscono totalmente la parte del rapporto che riguarderebbe i presunti legami illeciti, ma parlano di una vera e propria “aggressione politica” nei confronti degli operatori che continuano a lavorare nonostante la “deregolamentazione selvaggia” dell’Unione Europea.

A farsi poi portavoce infervorato di chi sceglie di rimanere nel silenzio è Mussie Zerai, candidato al premio Nobel per la pace 2015, la cui storia di vita è in un certo modo baluardo esemplare dell’associazionismo oltre i confini socio-culturali. Mussie, sacerdote eritreo rifugiato in Italia 25 anni fa, nell’ultimo decennio è stato punto di riferimento per migliaia di migranti che lo chiamano chiedendo aiuto dalle carceri della Libia.

Mussie rivendica il ruolo svolto dalle tante ong nel mediterraneo che si occupano oltretutto di porre un freno al far west in atto nella gestione dell’emergenza. Tra gli spari dei trafficanti e gli abbordaggi della guardia costiera libica (come è successo per esempio a Medici senza frontiere), tra i tempi di salvataggio che a volte rischiano di essere eccessivamente lunghi e le numerose omissioni di soccorso che portano alla catastrofe infatti, la situazione necessita di un’attento monitoraggio e coordinamento.

“La verità, nient’altro che la verità”.

La battaglia innescata da Frontex solleva una questione non poco rilevante: è possibile che le ong siano di ostacolo alle autorità preposte all’aiuto, creando più danni che altro? La risposta, oltre ad essere uno scontato “no”, parte da un fatto inquietante e inequivocabile: stando a dati recenti infatti, solo negli ultimi dodici mesi il numero record di vittime del mediterraneo si attesta intorno alle 4800.

Avviando quindi da questo dato un’analisi sulla questione dell’immigrazione, le indagini della procura di Catania hanno attestato una semplice crescita delle organizzazioni umanitarie attive in mare (e se la solidarietà viene giudicata male, poveri noi). Inoltre, ciò che colpisce (come dato di fatto inequivocabile) è il presupposto secondo cui le procedure di soccorso attivate dalle ong in questione sembrano essere di assoluta rilevanza per colmare il vuoto lasciato dalla chiusura dell’operazione Mare Nostrum (il sostituto Triton si occupa solamente della frontiera marittima). Questa già complessa situazione è amplificata poi da alcune istituzioni europee che, in un consapevole/colpevole atteggiamento di chiusura, auspicano alla soluzione del blocco navale, condannando così gli operatori del mare ad un lavoro doppiamente faticoso.

Regime di dubbiocrazia?

Finalmente l’estenuante ricerca della verità sembra aver portato ad una conclusione: per quanto una notizia possa essere giudicata veritiera in base all’autorevolezza della fonte (e qui si parla del Financial Times e di un’agenzia Europea) è fin troppo facile e dannoso strumentalizzarla per aumentare il consenso politico, finanziare una propaganda del terrore e instaurare un regime di “dubbiocrazia“. Per ciò che riguarda quindi il video pubblicato poche settimane fa su YouTube  dal blogger Luca Donadel, in cui secondo il suo parere “professionale (?)” riuscirebbe ad “incastrare” le ong complici di prelevare i migranti sulle coste della Libia, a chi crede ad un sistema che potrebbe essere falsato e si appiglia al classico ritornello “le immagini valgono più di mille parole”, la giustizia risponde che la legge rimane l’ultimo baluardo di autenticità.

 

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