La lavanderia di Papa Francesco e la cultura della dignità

la lavanderia di papa francesco

La Lavanderia di Papa Francesco è un servizio gratuito che consente ai poveri di lavare gli indumenti personali, inaugurato a Roma da qualche settimana.

I senza fissa dimora nella Capitale, secondo le stime della comunità di Sant’Egidio, sono oltre 3mila, un piccolo esercito di invisibili con in comune la grande arte di arrangiarsi. Chi vive sulla strada conduce un’esistenza sempre in bilico, sospesa tra la ricerca di cibo e luoghi riparati dove trascorrere la notte. Non solo. Per strada infatti, anche poter lavare i propri vestiti diventa un’impresa insormontabile, specie se si è in cerca di un lavoro. Da qualche tempo, grazie alla lavanderia di Papa Francesco, allestita presso l’antico complesso ospedaliero del San Gallicano, all’interno del Centro Genti di Pace, lavare la biancheria, però, è diventato più semplice.

Ma di cosa si tratta? Lo abbiamo chiesto a Carlo Santoro della Comunità di Sant’Egidio.

Cosa rappresenta questo spazio e chi sono i frequentatori abituali?

La lavanderia fa parte di un progetto più ampio che prevede, per il futuro, una barberia e una stireria, e vuole essere soprattutto un esempio, uno sprono per molti altri ad aprire nuovi spazi ad hoc in grado di accogliere i poveri che vivono a Roma.

La lavanderia di Papa Francesco costituisce un’apertura importante per l’intera città che in più occasioni ha dimostrato di non essere accogliente nei confronti dei poveri. L’obiettivo principale non è avere dei grandi dormitori ma fare in modo che ognuno guardi ai poveri senza pregiudizi.

Le persone che vengono qua sono quelle che già si rivolgono ai nostri centri di accoglienza: sono italiani indigenti, rifugiati stranieri o rom e gli avventori della mensa di via Dandolo. Dopo molti anni di esperienza diretta a contatto con queste persone, abbiamo costruito un rapporto personale con ciascuno di loro, a partire dal nome. Un elemento non trascurabile se si pensa che è riferito a persone che in questa città sono per lo più invisibili.

E’ passato davvero poco tempo ma possiamo già trarre un primo bilancio sull’affluenza?

Il problema è che fare una lavatrice richiede tempo! Adesso siamo aperti 4 volte a settimana, due pomeriggi e due mattine e potenzialmente abbiamo una media di 20 presenze ogni volta. Noi pensiamo che a regime avremo 500 lavatrici al mese, questo ci consentirà di aiutare molta gente.

Come è stata accolto questo nuovo servizio?

I poveri già sanno che questo Papa è molto amico loro e quindi è un ulteriore segnale di questa grande amicizia che si rafforza giorno dopo giorno, di questo amore che il Santo Padre nutre nei loro confronti. E sono molto grati così come lo siamo anche noi.

La dignità è un diritto che viene spesso calpestato nella società contemporanea. Lei crede che iniziative come questa, contribuiscano veramente a ridare la giusta importanza ad un valore così fondamentale?

Spesso è così, la dignità dei poveri viene calpestata, nel senso che non gli vengono riconosciuti i principali diritti, tra cui la cura della persona. Immaginate cosa vuol dire, ad esempio, non potersi lavare o avere dei vestiti puliti se si va alla ricerca di un lavoro. Un luogo comune piuttosto diffuso nell’opinione pubblica è che i poveri sono persone sporche, che non si lavano per scelta. Ma non è così.

La lavanderia viene sentita un po’ come un profumo di casa perché in fondo chi ha la lavatrice ha anche una casa, ed è un primo passo affinché prima o poi ciascuno di loro arrivi ad averne una. E’ un messaggio di speranza.

L’accoglienza ai bisognosi negli altri paesi europei come viene gestita rispetto all’Italia? Esistono strutture simili?

E’ diversificata da paese a paese, c’è una lunga tradizione nei paesi britannici; a Londra ci sono mense, dormitori ma i poveri per strada ci sono sempre perché il bisogno è sempre maggiore dell’offerta. La novità di questi ultimi tempi in Europa è spesso l’inospitalità nei confronti di tutti i reietti, dei mendicanti ma anche la chiusura di chi scappa dai paesi in guerra. E questo oggi è un dato molto allarmante se si cominciano ad alzare muri.

Fare del bene è contagioso, e allora lasciamoci contagiare! Giusto???

Assolutamente sì. A noi della Comunità di Sant’Egidio piace molto la parola ‘amicizia’ proprio per il suo senso di reciprocità, così come il contagio perché ci rende tutti più umani.

 

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