Rupi Kaur, la forza della poesia in un account Instagram

Rupi Kaur

Poesia: sarà morta? E poi, è proprio vero che chi scrive in versi fa a pugni con web e social network? La parola a Rupi Kaur.

Le risposte sono, rispettivamente, no e no. Due volte no.

No, la poesia non è affatto morta, anche se la crisi dell’editoria l’ha costretta a mettersi in profonda discussione. Oggi più che mai guadagnarsi uno spazio nello scaffale di una libreria è una battaglia. E scegliere la poesia può diventare una forma di resistenza.

Vale ancora la pena di esprimersi in versi. Sì, anche sul web. Non a caso si è creato un sottobosco di poeti che hanno cominciato ad utilizzare Instagram, Facebook e Tumblr per pubblicare i propri stralci – e qui la mente corre veloce agli Instapoets. Ed è proprio andando ad esplorare questo mondo di poeti social che spicca il profilo di Rupi Kaur.

Un caso di censura a lieto fine

Rupi Kaur è un’autrice che risiede in Canada, ma è di origine punjabi. Il suo nome è diventato noto soprattutto quando, dopo aver pubblicato una serie di foto sul ciclo mestruale, è stata colpita dall’austera censura di Instagram. La foto incriminata è questa, e l’accusa è stata quella di aver violato le norme della community. Rupi Kaur, con un moto di orgoglio, non ha lasciato cadere la faccenda e ha colto l’occasione per controbattere. Ha ripubblicato la foto, aggiungendo un lungo commento:

“you deleted a photo of a woman who is fully covered and menstruating stating that it goes against community guidelines when your guidelines outline that it is nothing but acceptable. the girl is fully clothed. the photo is mine. it is not attacking a certain group. nor is it spam. and because it does not break those guidelines i will repost it again. i will not apologize for not feeding the ego and pride of misogynist society that will have my body in an underwear but not be okay with a small leak. (…)⠀⠀ ⠀⠀⠀⠀ ⠀
this image is a part of my photoseries project for my visual rhetoric course. you can view the full series at rupikaur.com the photos were shot by myself and @prabhkaur1 (and no. the blood. is not real.) (…)”

La polemica ha avuto un esito decisamente positivo: moltissime persone hanno cominciato a seguire il profilo della Kaur. È così che ha cominciato ad essere apprezzata la sua poesia.

Dai social media alla carta stampata

La Kaur ha alle spalle un passato da immigrata. Ha provato sulla sua pelle la resistenza altrui all’integrazione. Ma allo stesso tempo ha scelto di sublimare tutti gli ostacoli che ha incontrato durante la sua vita, facendoli diventare espressione poetica. Trasformandoli in un qualcosa di condivisibile e quasi universale. Si definisce come un’autrice femminista.

Le sue poesie sono state raccolte nel 2014 in un libro autoprodotto che porta il titolo di Milk and Honey. Un’autoproduzione che è entrata a far parte dei best seller del New York Times. L’interlocutore principale delle poesie di Rupi Kaur è la comunità femminile. Dai suoi versi emerge un continuo slancio di solidarietà, un invito al mutuo soccorso, a resistere alla misoginia. Ecco come la poesia può diventare energia e resistenza. E i social media si mettono al servizio di questa resistenza, rendendosi veicoli di umanità.

Quando poesia e social lottano per una causa comune

Ci chiedevamo se poesia e web sono da considerarsi come universi in guerra, e abbiamo avuto la prova che non è affatto così. Il caso di Rupi Kaur, a prescindere dal fatto che possiamo apprezzare o meno il suo stile, smentisce la morte della poesia e la fa rinascere su internet. I social media diventano posti in cui puoi dare eco alla tua voce. Anche se sei donna, se sei immigrata, se sei emarginata. E, se sei forte, migliaia di persone ti ascolteranno. E allora viva i social network, viva la forza della poesia, viva l’innovazione al servizio della cultura. Viva il pensiero che grazie al web può parlare a voce alta.

Fonte immagine: Rupikaur.com

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