Calcio e nazionalità: questione di cuore o di prestigio?

Calcio e nazionalità: questione di cuore o di prestigio?

Affrontiamo oggi un argomento a volte scomodo e controverso che tocca il mondo dello sport più di quanto non sembri. Parliamo della nazionalità dell’atleta e dei diversi punti di vista.

Derby Marusic-Kolarov: quando la doppia nazionalità non perdona

Partiamo da un episodio recente che ha per protagonisti due calciatori: Kolarov della Roma e Marusic, della Lazio. Nelle scorse settimane infatti i due si sono punzecchiati in una sorta di “derby a distanza”, dopo che Marusic, serbo, ha deciso di sfruttare il suo doppio passaporto e giocare invece per il Montenegro. Kolarov, che della Serbia è il capitano, risponde in modo duro “Non mi piace la sua scelta! Dovrebbe vergognarsi! Si vede che lo fa solo per il curriculum, vuol dire che non pensa di essere abbastanza per la Serbia, se ha deciso di giocare per qualcun altro!”. Più o meno questa la replica che il difensore della Roma ha fatto al collega.

Tralasciando per un momento le ferite che Serbia e Montenegro si portano dietro da anni, analizziamo un po’ la cosa. Il gesto di Marusic non è nuovo nel mondo del calcio, dove anche le squadre nazionali si avvicinano sempre più a squadre di club. Tanti ragazzi infatti, in nome di una importante carriera internazionale, scelgono di giocare per un’altra nazione, che può essere il paese d’origine dei genitori, quello della moglie o quello dei nonni addirittura.

Calcio e nazionalità: questione di cuore o di prestigio?

Quindi che cos’è oggi la nazionalità nello sport? Per rispondere abbiamo deciso di fare una panoramica sugli innumerevoli casi che riguardano l’argomento.

Nazionalità e paradossi italiani

Di casi italiani ce ne sono pochi, nel senso che generalmente nella nostra nazionale giocano ragazzi italiani, figli di italiani, al massimo con uno solo dei due genitori proveniente da un altro paese. E qui, in realtà, si apre il capitolo al contrario: ma i figli degli immigrati? Questi ragazzi non sono infatti sempre convocabili, anche perché per la legge italiana prevede che, pur nascendo in Italia da genitori stranieri, si diventi italiano con il raggiungimento della maggiore età. È italiano invece chi si è fatto passare la cittadinanza da generazione in generazione dal trisavolo emigrato, solo che è nato e cresciuto in un paese dell’America latina, e per questo più appetibile.

Non vogliamo ovviamente inserirci nelle dinamiche sentimentali di queste persone, certo è che vista così la questione appare molto singolare. Ricordiamo che, anche se si possiedono due o più passaporti, non si può andare da una parte all’altra in eterno. Arrivati in Under-21 si sceglie e poi non si torna più indietro. È così che Papu Gomez non ha potuto sfruttare il suo doppio passaporto italo-argentino… Ventura aveva tentato la convocazione, ma non è stato possibile alla luce dei pochi minuti che Gomez aveva disputato con la Seleccion Under-21.

Calcio e nazionalità: questione di cuore o di prestigio?
Fonte: http://www.numerosette.eu

Gesti che vanno oltre il calcio

I casi più eclatanti sono quelli che riguardano i calciatori dell’Est Europa, visti i trascorsi politici di questa particolare area. Alcuni di questi ragazzi hanno purtroppo affrontato la guerra e sono fuggiti con le proprie famiglie in altri paesi, che li hanno ospitati e in alcuni casi li hanno anche fatti diventare cittadini. Come l’Albania, che possiede ben due squadre nazionali: la propria e la nazionale svizzera. Si scherza ovviamente, eppure negli ultimi mondiali abbiamo tutti notato quanto poco di svizzero ci fosse nella Svizzera, esultanze comprese. Alcuni ragazzi non si definiscono nemmeno albanesi, ma addirittura kosovari e nel caso dovesse nascere una nazionale di questo stato, si paventa addirittura il cambio di sponda di alcuni calciatori.

Di questi vogliamo proprio far notare Xherdan Shaqiri, che gioca per la Svizzera, ma che nel cuore a quanto pare ha ancora l’Albania. Durante una partita del mondiale non è infatti passata inosservata la sua esultanza “politica”: mima l’aquila bicipite della Grande Albania con le mani e stessa cosa farà il compagno Xhaka qualche minuto dopo. Questo gesto è costato ad entrambi una multa salatissima, ma a Shaqiri anche una protezione speciale per la prossima Champions League, visto che con la sua squadra di club dovrà recarsi in zone non proprio simpatizzanti della Grande Albania.

A questo punto ci chiediamo però se per quei ragazzi abbia senso rappresentare la Svizzera, di cui non cantano nemmeno l’inno nazionale. E allora perché l’hanno scelta? Perché non rappresentare l’Albania se è così importante per loro?

Quando il prestigio conta di più

Vediamo altri casi ancora, che vedono giocatori vestire una maglia che per loro non conta, ma non hanno troppi problemi a dirlo in pubblico. Ricordiamo su tutti Gerard Piquè, che nonostante sia uno dei punti fermi della Spagna, non si è mai definito spagnolo, ma catalano. “Gioco nella Spagna solo perché la mia nazione non è riconosciuta come tale!” spiega e lo ricordiamo anche durante la recente questione catalana, quando giunse ad accusare in modo pesante Rajoy, allora premier della Spagna e il governo, fino a beccarsi fischi ogni volta che toccava palla. Stessa cosa per Karim Benzema, che dopo la non convocazione ai mondiali di Russia, decide di togliersi qualche sassolino dalla scarpa. “Giocavo nella Francia semplicemente per il prestigio, perché io non sono francese, il mio paese è l’Algeria!” dice durante un’intervista.

A questo punto, è lecito farsi qualche domanda in più riguardo la nazionalità. Nel caso di Benzema o di Piquè deve sentirsi offesa la nazionale di cui vestivano la maglia perché considerata da poco? O la nazionale che hanno deciso di non rappresentare, perché meno prestigiosa a livello calcistico? Perché è più italiano un ragazzo con il trisavolo italiano di uno che in Italia nasce e cresce? Perché vestire i colori di una nazione, quando poi in qualunque gesto se ne considera un’altra?

Queste sono solo alcune delle domande che si affacciano nella nostra mente e meglio anche non spingersi troppo oltre, vista la delicatezza dell’argomento. Certo è, che anche la nazionale sta diventando ormai un business, in nome dei soldi o solo del semplice prestigio.

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