Burt Reynolds: l’antieroe americano di successo

Burt Reynolds: l’antieroe americano di successo

Investigatori squattrinati, sbirri disillusi, galeotti, personaggi pazzi ma generosi, cowboys, corridori automobilistici. In 60 anni tra grande e piccolo schermo, Burt Reynolds ha incarnato alla perfezione i losers del Sogno americano, senza mai perdere l’ironia.

Immortalato nella giungla mentre sta per scagliare una freccia dall’arco, nel 1972 Burt Reynolds diventa un’icona degli anni ’70 grazie a Un tranquillo week end di paura di John Boorman. Alla fine del decennio, la classifica degli esercenti cinematografici Quigley Poll lo incorona attore di maggior successo commerciale ininterrottamente dal 1978 al 1982, negli anni del suo sodalizio con il regista Hal Needham.

Un (futuro) nome illustre

Scomparso il 6 settembre scorso a 82 anni, Burt Reynolds è il perfetto attore-cerniera tra la serie A di Hollywood e il b-movie. Classe 1936, esordisce in tv alla fine degli anni ’50. Nel 1962 è nel cast del telefilm western Gunsmoke. Tra i milioni di fan incollati al televisore, c’è una giovanissima infermiera di nome Connie McHugh. In onore del personaggio di Reynolds, Quint Harper, quando Connie avrà un bimbo dal compagno Tony Tarantino, lo chiamerà Quentin: Quentin Tarantino.

Tra cinema d’autore e b-movies

Nel 1966, le origini Cherokee di Reynolds probabilmente lo aiutano a ottenere il ruolo di protagonista nella serie poliziesca Hawk l’indiano, incentrata su un detective mezzosangue di New York. Casualità? Lo stesso anno, Sergio Corbucci lo vuole come protagonista dello spaghetti western Navajo Joe. La faccia, il fisico, il carattere, il portamento, la mimica lo indirizzano fatalmente verso ruoli da duro, ma dotato di un’incontrollabile carica ironica, talvolta comica. Nel 1967 Sam Fuller lo vuole nel suo Shark! (il titolo italiano lascia un po’ perplessi: Quattro bastardi per un posto all’inferno).

Con il nuovo decennio e la consacrazione definitiva con Boorman, si aprono le porte del cinema che conta, sempre a metà strada tra l’azione e la comicità. Viene diretto da Woody Allen in Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso (ma non avete mai osato chiedere) e da Richard C. Sarafian in L’uomo che amò Gatta Danzante, da Don Siegel in Taglio di diamanti e da Mel Brooks ne L’ultima follia di Mel Brooks. Lavora con cineasti intellettuali come Peter Bogdanovich e Stanley Donen.

Ma è il regista dei “duri” Robert Aldrich a consegnargli nel 1974 un altro dei ruoli simbolo della sua carriera: il detenuto-giocatore di football che affronta sul campo la squadra dei secondini del penitenziario in Quella sporca ultima meta.

Gli anni ‘80

Il nuovo decennio inizia con i successi del dittico La corsa più pazza d’America. Poi comincia un periodo meno sfavillante. Reynolds si autodirige in film di minore successo. Sintetizza il suo talento per l’azione e la parodia accanto a Clint Eastwood in Per piacere… non salvarmi più la vita di Richard Benjamin, per cui viene inspiegabilmente candidato al Razzie Awards come peggior attore (certi abbagli della critica satirica sono paragonabili a quelli della critica seria).

Nel 1988 Ted Kotcheff gli affida un ruolo illustre, da cui sono già passati Adolph Menjou, Cary Grant, Walter Matthau: quello del direttore d’assalto nella quarta trasposizione cinematografica del testo teatrale di Ben Hecht The Front Page. La nuova versione della commedia dedicata allo strapotere dei mass media si trasferisce dalla carta stampata alla tv. Si intitola Cambio marito e accanto a Reynolds c’è Katleen Turner. Il tutto risulta però molto poco incisivo, soprattutto alla luce del confronto con i precedenti.

Caratterista di lusso negli anni ‘90

Dopo apparizioni dai risultati altalenanti, nel 1997 ancora una resurrezione artistica e ancora un ruolo che fonde la faccia “alta” e quella “bassa” del cinema. In Boogie Nights – L’altra Hollywood di Paul Thomas Anderson, Burt Reynolds interpreta Jack Horner un regista-boss del cinema porno degli anni ’70 e conquista una nomination all’Oscar. La sua carriera cine-televisiva prosegue fino all’ultimo, tra interpretazioni-revival sul grande schermo e apparizioni in serie tv di successo, come X-Files e My name is Earl. Non lo vedremo in C’era una volta a Hollywood. Sarebbe stato una maschera perfetta nella galleria degli antieroi tarantiniani.

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