Obsolescenza programmata non è una teoria complottista

L’obsolescenza programmata è una delle pratiche più odiose, maligne e fraudolente che l’economia reale possa affrontare, poichè i benefici che ne ricavano le imprese produttrici sono totalmente a discapito del consumatore.

L’allarme viene lanciato dal CESE (Comitato Economico e Sociale Europeo), che attraverso uno dei suoi ultimi pareri, ha affrontato il tema, ovvero i danni che si producono nei confronti dell’ambiente, della società e della economia, e quindi anche nella fiducia dei cittadini nei confronti dell’industria nostrana, grazie alla costruzione e commercializzazione di prodotti che, come una bomba a orologeria, devono essere sostituiti per “malfunzionamenti programmati”.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) fa una netta distinzione tra la difettosità programmata e l’accelerazione dei consumi che caratterizza la nostra società. Difatti bisogna ben distinguere quelle che sono le prassi di natura commerciale, e marketing, nel promuovere nuovi prodotti più innovativi rispetto a quelli precedenti, rispetto alla progettazione e sviluppo di prodotti che dopo un predefinito periodo di usura smette di funzionare, obbligando il consumatore a rimpiazzarlo.

L’obiettivo del CESE, quindi, è quello di promuovere un regime di tutela nei confronti del consumatore, e questo attraverso sia la promozione di una legislazione più restrittiva che porti al divieto di produzione di prodotti che fragrantemente presentano difettosità programmate, sia alla diffusione di politiche commerciali da parte delle imprese produttrici che garantiscano ai consumatori un accesso più facilitato ai programmi di riparazione, all’acquisto di pezzi di ricambio almeno fino a 5 anni dopo l’acquisto del prodotto. Inoltre è noto che vi siano imprese, una per tute ad esempio i tablet che fissano le batterie all’apparecchio per impedirne la riparazione e costringere ad acquistarne uno nuovo, e per tale motivo il CESE auspica che le imprese abbiano un approccio più responsabile nella progettazione tecnica dei loro prodotti.

Appare evidente come l’obsolescente programmata è un problema di natura culturale, e politica, difatti l’auspicio del CESE è che vengano adottati programmi di sensibilizzazione nei confronti delle aziende, ad esempio promuovendo un sistema di certificazione volontaria, a titolo esemplificativo, nel settore degli elettrodomestici la garanzia di poter riacquistare i pezzi di ricambio per 10 o 20 anni è un argomento di vendita vincente. Analogamente si potrebbero incoraggiare le pubbliche amministrazioni a prevedere dei vincoli di affidabilità, o garanzia, dei prodotti messi a bando di gara, poichè come è noto in media i paesi dell’Unione Europea investono il 16% del PIL in commesse pubbliche, e questo potrebbe rappresentare un chiaro segno di trasparenza e politica sostenibile in materia di acquisti pubblici.

Non da sottovalutare, inoltre, l’ingente danno ambientale che l’obsolescenza produce, difatti il CESE dichiara che il consumo di risorse naturali in Europa è aumentato di circa il 50 % negli ultimi 30 anni: un europeo consuma 43 kg di risorse al giorno, mentre un africano ne consuma 10 kg. Inoltre la obsolescenza ha implicazioni di natura sociale, diffondendosi sempre più la così detta obsolescenza psicologica, ovvero l’inclinazione a percepire prodotti ancora nuovi già vecchi, oltre a diffondersi la pericolosa prassi dell’acquisto dei prodotti a credito, il che ha portato ad un livello di indebitamento personale senza precedenti.

In definitiva quella del CESE è una pesante accusa nei confronti dell’industria europea, ed un monito alla politica, che in questa fase di crisi economica dovrebbe promuovere i consumi sostenibili, invece i più aggiornati sondaggi d’opinione indicano che esiste una importante distanza tra i consumatori e i produttori, che si domandano come mai fino a 20 anni fa un elettrodomestico aveva una durata media di 10-12 anni.

Ad oggi il vuoto legislativo europeo ha creato una grande falla nel sistema produttivo, che fa gravare sulle spalle dei cittadini le responsabilità di una politica che troppo spesso rivolge lo sguardo alla finanza o alle grandi lobby, e non al popolo, che può portare a un aggravarsi della crisi economica, favorendo il monopolio dei “furbetti del quartierino”. Speriamo che il CESE possa aprire una breccia verso lo sviluppo di un tessuto produttivo sostenibile e virtuoso.

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