Una settimana d’Italia: dal caso Ligresti, alle palle di Letta, al marasma politico più totale

Una settimana di fuoco, questa che si sta chiudendo, anzi d’acciaio, come le palle di Enrico Letta. A tenere banco per quasi tutta la settimana, tranne che per un puntatone del Vespone nazionale dedicato a Rita Pavone, è stato il caso Ligresti.

Il Ministro Cancellieri è finito nell’occhio del ciclone per delle intercettazioni telefoniche che hanno portato alla luce un suo interessamento sulle condizioni di Giulia Ligresti. Un atto di umanità, si difende Ministro, che spiega quanto si sia sempre interessata anche alla gente comune. Oltre agli esponenti del Movimento 5 Stelle e quelli del Carroccio, che chiedono la testa del Ministro, ben protetta da Letta e da Alfano, ci si mette anche Renzi.

Il populista piddino parla a qualche ora di distanza dagli altri. Dopo attenta valutazione il ciclista fiorentino ha sparato a zero contro il Guardasigilli, affermando che, se fosse stato lui il segretario del Pd (e perché non il Presidente del Consiglio, ndr.), non avrebbe difeso la Cancellieri e le dimissioni sarebbero state doverose.

Dura lex sed lex? Ma che. Il populista, adirato per la divulgazioni di dati che lo danno in svantaggio rispetto al dalemiano Cuperlo, non ci sta e mira a recuperare il Gap.

Intanto, Giulia Ligresti mostra che non tutti quelli che escono per amnistia, indulto o grazia tornano a delinquere. Il Ministro sarà felice di sapere che Giulia Ligresti ora sta bene e ha trovato nello Shopping al centro di Milano il suo trampolino per la riabilitazione.

C’è chi si riabilita con lo shopping e c’è chi decade per un voto palese. Il Cavaliere tiene botta, e pure banco, ed è di lui che si discute più di ogni altro. Dalla decadenza da senatore, all’appello alla grazia a Napolitano, alla leadership all’interno della coalizione di centrodestra, fino ad una delle solite gaffe a cui ci aveva abituato ma che mancavano da tempo dalle colonne della stampa: “I miei figli dicono di sentirsi come dovevano sentirsi le famiglie ebree in Germania durante il regime di Hitler. Abbiamo davvero tutti addosso“, questa la frase scandalo di Silvio. Glissiamo, anche se ancora una volta si tratta di una dichiarazione contenuta nell’ultimo libro di Bruno Vespa; caspita che lancio l’ultimo libro del direttore dei direttori.

Ma torniamo al nodo sul voto palese. Dalla conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama è stata partorita la data del 27 novembre, giorno in cui l’aula voterà la decadenza di Silvio Berlusconi da senatore. Ma non è tutto, a spuntarla sono stati i favorevoli al voto palese. Il Pd affonda i denti su di un cadavere già morto e trova accaniti sostenitori come il Sel e il M5s, che avevano anche chiesto di anticipare alla prossima settimana il voto per far decadere Berlusconi.

Tanto rumore per nulla. Di fatto, dopo la condanna per frode fiscale, bastava aspettare che la Cassazione passasse in giudicato l’interdizione dai pubblici uffici e la decadenza sarebbe arrivata comunque. Un accanimento politico inutile, che non giova di certo alla tenuta di un Governo che esiste su un patto di non belligeranza (anche se di reciproco sospetto,ndr.), le larghe intese.

Così, mentre sullo stato delle carceri, del metodo e della certezza della pena, si dice tutto e il contrario di tutto, sull’Italia pendono tre condanne dell’Europa, tra cui anche una pecuniaria. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha infatti condannato lo Stato italiano per l’attuale sistema carcerario. Cosa c’entra Berlusconi?

Il Cavaliere aspetta, e spera, che Napolitano gli conceda una grazia o che proceda con un indulto o una amnistia e torna a farlo dalle pagine del libro di Vespa. Di certo l’argomento è scottante e Napolitano e il governo Letta si trovano tra l’incudine e il martello. Con Bruxelles che incombe e la politica di casa che abbaia, mentre gli italiani stanno a guardare. Sembra una puntata di Dallas, Dinasty et similia. Ad ogni nuovo episodio, si accumulano i fatti che ancora non si sono conclusi e il telespettatore lavora di immaginazione. Sulla questione, premesso che uno svuota carceri non risolve il problema, si sono opposti quelli del M5S. Per gli “stellati” sarebbe una manovra per salvare Berlusconi.

Non poteva non occupare la cronaca politica di questa settimana il teatrino che anima il centrodestra: diviso. Compatto. A rischio spaccatura. Ben saldo con Berlusconi al comando. Altro che soap opera, qui il mago Silvan rischierebbe lo strabismo nel complicato tentativo di capire il gioco del chi corre dove e da chi.

Per fortuna che c’è Silvio che, tra momenti di depressione e vittimismo storico, con un colpo di reni anticipa il Consiglio Nazionale del partito al 16 novembre, (invece dell’8 dicembre), per la resa dei conti. Berlusconi e i suoi più leali compari sono stufi di non essere invitati alle cenette segrete organizzate da Alfano, tanto che l’amore tra i due sembra definitivamente finito. Alfano, infatti, scompare dalla pagina del sito di Forza Italia e al suo posto viene posizionato un banner per iscriversi a “forzasilvio.it”. Un messaggio chiaro. Ma è troppo presto per decifrare quale sarà realmente il futuro del centrodestra italiano.

Anche in casa Pd le cose non vanno meglio. Tra tesseramenti farlocchi e controversie sui dati riguardanti le intenzioni di voto alle primarie dell’8 dicembre, Letta traballa e incassa anche il disappunto di un Pierluigi Bersani che in questi mesi è restato nell’ombra. L’ex numero uno del Pd non è soddisfatto della strada intrapresa e critica la legge di stabilità.

La sfida tra il dalemiano Cuperlo e il populista Renzi, poi, è nodo pericoloso. La battaglia rischia di riportare indietro una unità politica che la sinistra aveva ritrovato da pochi anni. Da una parte, Cuperlo rappresenta un ritorno ad ideali e posizioni del passato e, forse, preoccupa di più l’approccio con il futuro di una politica che deve rinnovarsi; dall’altra, una ascesa alla segreteria del partito di Matteo Renzi lascia spazio a parecchi interrogativi.

Renzi non rappresenta alcuna continuità con gli ideali di una sinistra democratica e, anzi, non è un segreto che aspiri ad attrarre consensi dall’ala più moderata dell’elettorato di centrodestra e dai grillini delusi. Il populismo è la sua arma vincente; il berlusconismo mediatico il suo modello di formazione.

In mezzo a tutto questo trambusto i cittadini navigano nell’incertezza. Dai balzelli sulla prima e seconda casa (per la quale tornerà l’irpef), al collegato alla legge di stabilità costituito da 16 articoli e contenente “disposizioni in materia di sviluppo economico e semplificazione”, come ad esempio: le misure sul credito d’imposta per la ricerca; la portabilità a costo zero dei conti correnti (ma non lo erano già?) e i voucher per digitalizzare le Pmi; una misura taglia-bollette “grazie” a una diminuzione degli incentivi sulle rinnovabili.

Ma la domanda di tutti è: pagheremo di più o pagheremo di meno? Per la Cgia di Mestre nel 2014 si pagheranno circa 1,1 mld in più, con un miglioramento per l’anno seguente; per il Ministro Saccomanni invece i cittadini pagheranno 1 mld in meno.

Chi avrà ragione?

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