Una poltrona per due: senza, non è Natale

Esiste una manciata di film in cui, a un certo punto della visione, anche se stiamo ridendo a crepapelle, per un attimo sospiriamo e pensiamo: “Qui doveva esserci John Belushi”

In Una poltrona per due dovevano tornare a riunirsi, sotto la regia di John Landis, John Belushi e Dan Aykroyd, una delle più grandi coppie della storia del cinema.

La scomparsa di Belushi lanciò in pista Eddie Murphy, allora giovane comico ventenne cresciuto, come i suoi già illustri colleghi, alla scuola del Saturday Night Live, il gotha della comicità televisiva americana. E il successo fu storico.

“Trading places” (questo il titolo originale), per il pubblico italiano è indissolubilmente legato alle Feste ed è il capostipite di tutti i film anti-buonisti e politicamente scorretti sul Natale. La trama è un “Il Principe e il povero” trapiantato negli anni ’80. A Philadelphia (la città dell’amore fraterno…), due anziani e ricchissimi pirati della finanza si divertono a scambiare le vite di un ladruncolo di strada e dell’integerrimo giovane direttore generale della loro compagnia, che finiranno col fare fronte comune, prendendosi la rivincita.

Iniziando dalla sua ambientazione a Philadelphia, la città più “antica” degli Usa, la chiave comica del film si precisa poco a poco: immergere traumaticamente nei tempi e nello stile della comicità anni ’80 i clichè del cinema americano ottimistico e “natalizio” alla Frank Capra, facendoli scontrare con una feroce satira del clima politico dell’America di quegli anni: i due anziani fratelli Duke sono due vampiri, ma del capitalismo “sano” e “tradizionale”, che tratta beni per famiglie, come la pancetta di maiale o il succo d’arancia surgelato. Il loro ufficio è costellato di foto di presidenti repubblicani; sulla scrivania dell’”innovatore” Randolph c’è Reagan, su quella del “tradizionalista” Mortimer c’è Nixon. Il loro club è l’”Heritage”, perfetta metafora degli Usa: “fondato nel 1776, con libertà e giustizia per tutti (ammessi solo i soci…)”. Ed Eddie Murphy/Billy Ray Valentine, una volta diventato “socio” del club, una volta toccato dalla grazia del “Sogno americano”, una volta che avrà un diritto di proprietà da far valere, inizierà ad esercitarlo in maniera piuttosto intransigente. Il trader di borsa tratteggiato da Dan Aykroyd (Louis Winthorpe III…) non ha assolutamente niente dello yuppie anni ’80 (il film precede “Wall Street” di soli quattro anni). Vive in una casa vittoriana, con un maggiordomo senza il quale andrebbe (e va) in pezzi, ha una fidanzata “bene” che sembra uscita da un film anni ’40 e la sua massima aspirazione sembra quella di essere accettato tra i suoi colleghi più anziani (e più potenti). Non è minimamente quella di soppiantarli.

Un altro rapporto molto particolare è quello, assolutamente sacrilego e iconoclasta, che il film ha con gli anni ’70. Tra i tanti monumenti ai “Padri della Patria” inquadrati per le strade della città, c’è quello a Rocky Balboa. Nello stesso anno dell’uscita di “Rambo”, Eddie Murphy entra in scena fragorosamente fingendosi cieco e storpio per aver combattuto in Vietnam e, scoperto, improvvisa una guarigione miracolosa. Il cinema “black” del decennio precedente viene sbeffeggiato pesantemente. In una parodia della “blaxploitation” quasi incessante, i neri non sono più “black panthers”, rivoluzionari o gangster pericolosi, ma appariscenti e gaudenti frequentatori di bar, autisti di Rolls Royce, o addirittura poliziotti che, in un cortocircuito sfrenato, brutalizzano Dan Aykroyd, ex-campione della classe dirigente wasp caduto in disgrazia.

Il film, sostenuto da una sceneggiatura ferrea  e retto dalla consueta regia matematica di John Landis (la stessa ricetta di “The Blues Brothers”), deve gran parte del suo successo allo strepitoso cast. Oltre ai due protagonisti, i due premi Oscar Don Ameche e Ralph Bellamy, trionfali nel ruolo dei due vecchi squali, Jamie Lee Curtis, al suo primo ruolo brillante dopo un inizio carriera all’insegna dell’horror (un titolo per tutti: “Halloween” di John Carpenter); l’inglese Denholm Elliott, che in America trova il suo secondo ruolo memorabile dopo “I predatori dell’Arca perduta”, e Frank Oz, regista americano, collega e amico di Landis che, dopo aver interpretato in “The Blues Brothers” il poliziotto che scarcera John Belushi restituendogli i suoi improbabili effetti personali, qui veste nuovamente l’uniforme, arrestando l’innocente Winthorpe. Una menzione speciale merita anche Paul Gleason, altro celebre caratterista americano, nel ruolo di Beeks, il losco figuro di cui i Duke si servono per i propri sporchi affari, cattivo che più cattivo non si può: pericoloso, maleducato, manesco, minaccioso, stende con un pugno il “gorilla” James Belushi (suo fratello non ha potuto essere il protagonista ma lui regala un esilarante cameo) e, come somma dimostrazione plastica della propria malvagità, in treno legge l’autobiografia di Gordon Liddy, uno dei protagonisti dello scandalo Watergate.

Nel finale del film, si chiude il cerchio dell’analogia con Frank Capra: nessun uomo è (o rimane) povero se ha degli amici…

Anche questo Natale insomma non bisogna affatto rinunciare a questo classico, pena il rischio di diventare troppo buoni.

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