“ Il buono, il brutto, il cattivo ”: il cinema natalizio negli anni ‘60

Il 23 dicembre 1966 esce in sala il capolavoro di Sergio Leone. Si tratta del terzo capitolo della cosiddetta “Trilogia del dollaro”, con Clint Eastwood  e Lee Van Cleef

“Ci sono solamente due categorie di individui, quelli che sono cattivi e quelli che sono molto cattivi. Ma noi siamo giunti a una convenzione e chiamiamo i cattivi i buoni e coloro che sono molto cattivi i cattivi”. E’ a questa massima di Fritz Lang che Sergio Leone ha intitolato tutto il proprio cinema.

Il disincanto feroce intinto abbondantemente nel sarcasmo, la sfiducia pessimistica verso la natura umana, il massimo scetticismo verso le grandi impalcature dottrinarie e ideologiche, l’individualismo come regola esistenziale, tutte cifre tipiche della filmografia leoniana, trovano la loro sintesi perfetta ne “ Il buono, il brutto, il cattivo ”, uscito nelle sale italiane esattamente 47 anni fa, il 23 dicembre 1966. La trama: nel West attraversato dalla Guerra di secessione, tre individui, ovviamente poco raccomandabili, tra scontri durissimi e fragili tregue, danno la caccia a duecentomila dollari d’oro sottratti da un disertore all’esercito sudista e nascosti in una tomba. C’è chi conosce il nome del cimitero, chi conosce quello sulla lapide, ma ovviamente i soldi andranno a chi riuscirà a ricomporre il segreto per intero.

Si tratta del terzo capitolo della cosiddetta “Trilogia del dollaro”, dopo “Per un pugno di dollari” (1964), con Clint Eastwood e “Per qualche dollaro in più” (1965), con Clint Eastwood e Lee Van Cleef. In entrambe le pellicole, l’antagonista era uno straordinario (come sempre) Gian Maria Volontè. “Il buono, il brutto, il cattivo” nasce nel 1965 al Supercinema di Roma. Gli autori del film hanno invitato alla proiezione due rappresentanti della United Artists. I due americani, entusiasti, chiedono anticipazioni sul capolavoro successivo. A nome di tutti risponde di getto il soggettista Luciano Vincenzoni, senza avere ancora scritto nemmeno una riga: “Tre canaglie danno la caccia a un tesoro”. Il film viene comprato a scatola chiusa, con cinquecentomila dollari d’anticipo sull’unghia. Come sempre, si gira tra Cinecittà e la Spagna.

IL BUONO

Clint Eastwood

Leone si mette immediatamente all’opera (anche) sul cast. E’ un momento cruciale nella carriera di molti. Clint Eastwood è preoccupato per il proprio futuro. I primi due film di Leone hanno avuto un successo clamoroso in Europa e in Asia, ma in America non sono stati ancora nemmeno distribuiti. In patria, Clint è ancora soltanto l’allampanato protagonista della serie televisiva western Rawhide, accompagnato da una bizzarra fama di interprete di curiosi film europei. Oltretutto, si è appena conclusa la diatriba tra Leone e Akira Kurosawa. Quest’ultimo aveva accusato “Per un pugno di dollari” di essere un po’ troppo pesantemente “ispirato” al suo “La sfida del samurai”. Risultato: i diritti del film di Leone sul mercato asiatico andranno al maestro giapponese. Inoltre, nel ’65 “Rawhide” chiude, dopo sette stagioni. Eastwood insomma ha bisogno di un successo che lo lanci definitivamente negli Usa. E il nuovo copione, per quanto lo riguarda, non parte sotto i migliori auspici: il suo personaggio ha visibilmente meno spazio degli altri due. I suoi rapporti con Leone non sono mai stati ottimi, a causa del cattivo carattere di entrambi (ognuno sostiene che l’altro gli debba tutto il proprio successo). Ci manca poco che non accetti la parte del Biondo, “l’angelo custode” dalla mira infallibile.

IL BRUTTO

Eli Wallach

Gian Maria Volontè vorrebbe interpretare il messicano Tuco, più teppista che fuorilegge, rumoroso, straccione, urlante, comico, insomma, “bandito per sbaglio”. Ma Leone (che ha avuto rapporti difficili anche con Volontè…) si convince che così Tuco diventerebbe un personaggio nevrotico. Vuole Eli Wallach, classe 1915, insegnante dell’Actor’s Studio, mostro sacro del teatro americano, interprete di primissimo piano della letteratura d’oltreoceano sul palcoscenico. Al cinema però, Wallach si è creato un’immagine sinistra, fatta di personaggi equivoci e morbosi (come ne “Gli spostati” e “Baby Doll”) o, bene che vada, di cattivi a tutto tondo (come ne “I magnifici sette”). Ci vuole pazienza, ma Leone riesce a convincerlo che Tuco, nonostante le apparenze, sarà molto diverso. E infatti diventa il vero mattatore del film, un personaggio quasi solare, l’unico del quale conosciamo anche la storia personale.

IL CATTIVO

Lee Van Cleef

Il ruolo di Sentenza, assassino senza scrupoli e sicario spietato, dovrebbe andare a Charles Bronson, che si è morso le mani dopo aver rifiutato il ruolo da protagonista in “Per un pugno di dollari”. Il futuro Giustiziere della notte, in quel periodo, è però impegnato in “Quella sporca dozzina”; dunque viene richiamato in servizio Lee Van Cleef, al quale, dopo una vita da caratterista, Leone aveva offerto il primo ruolo da co-protagonista in “Per qualche dollaro in più”, dove è un eroe tutto d’un pezzo. Lee Van Cleef, uno dei duri per eccellenza del grande schermo, ma che nella vita ha fama di persona molto poco aggressiva, avrà qualche problema iniziale di concentrazione nell’entrare nel personaggio più negativo della sua carriera (la scena in cui schiaffeggia furiosamente una donna richiederà un bel po’ di tempo, facendo anche spazientire l’attrice), ma il risultato sullo schermo parla da solo.

Eastwood. Wallach e Van Cleef

Quale sarà il titolo? Viene immediatamente scartato il provvisorio “I due magnifici straccioni”, troppo picaresco. E poi i protagonisti sono tre. Non ci sono più un buono e un cattivo, o due buoni e un cattivo, come nei film precedenti, ma tre protagonisti alla pari, con una connotazione “morale” molto più sfumata. Il titolo viene a Vincenzoni in sogno (proprio in sogno, di notte), Leone lo promuove titolo ufficiale sul campo: “Il buono, il brutto, il cattivo”. Azzeccato, anche perché permette di giocare sul fatto che in realtà, i tre tipi umani hanno sì un tratto caratteriale dominante, ma sono tutt’altro che tagliati con l’accetta. Il “buono” (Eastwood) è più o meno lo stesso “raddrizzatorti” dei film precedenti ma è comunque anche capace di colpi decisamente bassi; il “brutto” (Wallach) è un pessimo soggetto, menefreghista e violento, ma è anche accompagnato dal ricordo di una passata vita onesta, nella miseria più nera; il “cattivo” (Van Cleef) non ha bisogno di altri aggettivi, ma quando è “fuori servizio”, e solo allora, sia chiaro, quasi si commuove guardando una “infermeria” (cioè una topaia) popolata da uomini massacrati in combattimento.

Eastwood, Leone e  Wallach
Eastwood, Leone e Wallach

Leone non ha dubbi: è un western ma deve essere anche un film di guerra. Una guerra da cui i protagonisti entrano ed escono a proprio piacimento, quasi sfruttandola, cambiando casacca a seconda delle proprie esigenze, perché non ci sono più bandiere, non ci sono più cause, c’è solo l’interesse particolare. Primo ostacolo di sceneggiatura: la Guerra di secessione in realtà è molto meno “western” di quanto non possa sembrare a prima vista. La guerra civile tra nord e sud che squarcia gli Usa tra il 1861 e il 1865 infatti è stata combattuta praticamente tutta e est del Mississipi. Conciliarla con una storia di pistoleri del lontanissimo ovest diventa problematico. Leone scova però, studiando la fase centrale del conflitto, una serie di combattimenti nel Texas per il controllo delle miniere dello stato. A Washington, l’impiegato dalla Biblioteca del Congresso, dove si è recato in cerca di approfondimenti, lo guarda come un marziano: non può esserci dubbio sul fatto che la guerra non sia mai arrivata così ad ovest, comunque gli dicono di ripassare dopo due o tre giorni. La volta successiva, il bibliotecario, sicuramente con un’espressione ancora più sorpresa gli consegna otto vecchissimi testi sulla Guerra di secessione nel Texas. Nessun americano li aveva mai richiesti.

Studiando il rapporto de “Il buono, il brutto, il cattivo” con la guerra, si rintracciano almeno due “film nel film”, uno squisitamente americano, l’altro prettamente italiano. Orson Welles sconsiglia a Leone, se vuole sfondare sul mercato Usa, un film sulla guerra civile, perché sarebbe un tema che, eccezioni a parte, raramente viene premiato al botteghino dal pubblico americano (evidentemente il geniale maestro del Wisconsin è più bravo nel dare consigli che nel seguirli). Proprio per questo, per tutti gli anni ’50, molti registi americani hanno accarezzato ma sempre accantonato il progetto di raccontare una delle pagine più oscure della storia americana: un film sul campo di prigionia sudista di Andersonville, luogo di torture, omicidi, crimini contro l’umanità, perfino atti di cannibalismo, comandato da quello che verrà ricordato come uno dei più pericolosi criminali di guerra del XIX secolo, il capitano Henry Wirz. Perché simili atrocità vengano attribuite soltanto ai sudisti, non c’è davvero bisogno di spiegarlo. Questo film mai fatto, lo gira Leone, cambiando un piccolo dettaglio: trasferisce il tutto in un campo nordista. Le parole del regista

Mario Brega
Mario Brega

romano valgono più di qualunque commento: “Sappiamo sempre tutto dei comportamenti infami dei perdenti, mai di quelli dei vincitori. Così decisi di mostrare lo sterminio in un campo nordista. Agli americani questo non piacque… La guerra civile americana è un soggetto quasi tabù, perché la sua realtà è folle e incredibile. Ma la vera storia degli Stati Uniti è stata costruita su una violenza che né il cinema né la letteratura avevano mai mostrato come si deve. Personalmente tendo sempre a contrastare la versione ufficiale degli eventi” (Noël Simsolo, Conversations avec Sergio Leone). Il campo nordista di “Betterville” (“Città migliore”…) diventa quindi il mostruoso lager in cui spadroneggia Sentenza, aiutato dal feroce caporale Mario Brega.

 A questa analisi “americana” si aggiunge, come abbiamo detto, la guerra vista con occhio molto italiano. Non può essere un caso se, su quattro sceneggiatori accreditati, Leone, Vincenzoni, Age, Scarpelli, gli ultimi tre sono gli stessi che, nel 1959, hanno scritto “La grande guerra” insieme a Mario Monicelli. In controluce, nelle trincee nordiste e nelle colonne sudiste in fuga, Leone mostra i soldati italiani della prima guerra mondiale, inserendosi in quel filone cinematografico “revisionista”, inaugurato in Italia proprio dal film con Sordi e Gassman e che culminerà con “Uomini contro” di Francesco Rosi, che, a quarant’anni dai fatti, spoglia di ogni enfasi lo sguardo sul conflitto mondiale e mostra, con realismo, la vita quotidiana dei soldati al fronte. Il riferimento diventa lampante con il bellissimo personaggio di Aldo Giuffrè, capitano nordista alcolizzato che spiega ai due “volontari” Eastwood e Wallach come il proprio governo e quello nemico si impegnino perché i propri soldati siano costantemente ubriachi, per poter essere meglio mandati allo sbaraglio. Un monologo che rimanda a “Un anno sull’altipiano” di Emilio Lussu. Comunque la si voglia vedere, la guerra svolge un ruolo fondamentale. I personaggi si muovono su uno sfondo quasi post-atomico, esterni desertici, interni devastati, niente a che vedere con la ricercatezza o con la rusticità ironica dei primi due film della saga.

Se la sceneggiatura è post-moderna, individualista e anarchica, lo stile cinematografico è dichiaratamente barocco. Leone non rinuncia a giocare con i simboli, gli spazi e i personaggi, anzi gioca d’accumulo. Il film è una “danza macabra”, dove spesso i morti rubano la scena ai vivi. Idea che serpeggia in tutto il film e si manifesta apertamente nel finale, nel tanto agognato cimitero, che ha la forma di un anfiteatro, dove i morti assistono da spettatori allo scontro finale tra i tre nell’arena centrale, ridendo anche, grazie alla magistrale colonna sonora di Ennio Morricone, della frenetica “corsa all’oro” del Brutto (la musica riveste come sempre un ruolo fondamentale, data anche l’abitudine di Leone di farla suonare mentre si gira). Il cimitero è stato costruito in due giorni da diecimila soldati spagnoli nella Valle dell’Arlanza. Così come le trincee, decorate da armi, cannoni e mitragliatrici d’epoca provenienti da tutti i musei militari di Spagna, e il ponte che nordisti e sudisti si contendono furiosamente e che viene fatto saltare in aria. Al primo ciak, il ponte esplode con la cinepresa ancora spenta; Leone è furioso con il responsabile degli effetti speciali ma il capitano che ha erroneamente azionato il detonatore interviene prontamente: “Ricostruiremo noi il ponte, non faccia fucilare quest’uomo”. Tutto il film gira costantemente intorno al numero tre: tre i protagonisti; gli incauti nemici che intralciano la loro strada sono sempre in gruppi di tre (o di sei); tre i disertori confederati che rubano l’oro all’origine della storia; tre le volte in cui Tuco ha una corda al collo; tre le volte in cui Leone decide di sguinzagliare, forse per scherzo, un cane a passeggio per il set; tre le pistole che Eli Wallach smonta, nella bottega del rassegnato armaiolo Enzo Petito, per fabbricarne una sola, provandola poi contro le sagome di tre indiani di legno. Soltanto il bottino non è divisibile per tre: duecentomila dollari, segno che la spartizione avverrà in due. Il regista si diverte a rimescolare i personaggi come carte. Nei primi due film della trilogia, Mario Brega ha una cicatrice sull’occhio destro, qui è sul sinistro. In “Per qualche dollaro in più”, Luigi Pistilli è il truce braccio destro di Gian Maria Volontè, stavolta cambia completamente ruolo: è il fratello frate del Brutto.

Con un’altra folgorante intuizione, che anticipa molto cinema contemporaneo, gli autori non fanno de “Il buono, il brutto, il cattivo” un seguito, ma un antefatto. Un “prequel”, come si direbbe oggi. “Per un pugno di dollari” e “Per qualche dollaro in più” sono ambientati in un’epoca successiva alla guerra civile. Poco prima del finale nel cimitero, Clint Eastwood si sbarazza del suo spolverino e trova casualmente un poncho, quello che indossa nei primi due film, diventando così lo “straniero senza nome” che arriva a San Miguel a dorso di mulo.

Sergio Leone
Sergio Leone

 

La mattina del 23 dicembre 1966, dopo 13 settimane di riprese e un’estenuante post-produzione durata cinque mesi, Sergio Leone, avaro come sempre di soddisfazioni ai propri collaboratori, dirà soltanto: “Buonanotte”. La sera stessa il film è in sala. “Il buono, il brutto, il cattivo” totalizzerà incassi leggermente inferiori agli altri due capitoli della Trilogia, ma rappresenta un punto di svolta per tutti.

Sergio Leone passerà a progetti più ambiziosi ma dovrà aspettare ancora 17 anni prima di realizzare il film che ha in mente, “C’era una volta in America”.

Sulla carriera di Eastwood, il film ha effetti immediati piuttosto limitati. Appena arrivato a Hollywood, gli propongono un western intitolato “Hang’em high” (“Impiccalo più in alto”…) e vorrebbero anche far venire Leone dall’Italia a dirigerlo. Clint accetterà, ma il film lo dirigerà Ted Post. La consacrazione del futuro premio Oscar si completerà nel 1968 sul set de “L’uomo dalla cravatta di cuoio”, con l’incontro con il secondo regista che segnerà la sua carriera, Don Siegel, il “papà” dell’ispettore Callaghan. Al momento giusto però, Clint Eastwood saprà dimostrare di aver portato con sé da Cinecittà parecchi segreti del mestiere.

Lee Van Cleef se ne va troppo presto, nel 1989. Il suo sodalizio con Leone lo restituisce al cinema da protagonista, carriera che aveva abbandonato per dedicarsi alla pittura e ne fa uno dei campioni del western e del poliziesco all’italiana negli anni ’60, ’70 e ’80. Viene soprannominato “Mr. Ugly”, perché in America il titolo sarà “The good, the bad and the ugly” ma la foto resterà la stessa del manifesto italiano, facendo diventare lui “il Brutto”.

Eli Wallach, 98 anni compiuti lo scorso 7 dicembre, è uno dei più importanti attori viventi e, in quasi settant’anni di carriera ha lavorato con i più importanti registi della seconda metà del Novecento e portato in scena le più grandi opere del teatro americano. La sua autobiografia del 2005, racconto di una carriera eclettica e lunghissima, si intitola “The good, the bad and me”.

Tag

  • cinema
  • sergio leone
  • spaghetti western

Potrebbe interessarti: