L’Aquila, 5 anni dopo il sisma

“3:32”. E’ sufficiente pronunciare queste tre parole, “tre e trentadue”, per rovinare la giornata di un aquilano. Subito tutto torna alla mente.

Il terremoto, così come la guerra, è comprensibile solo da parte di chi l’ha vissuto, mettiamocelo in testa. Noi esterni possiamo solo tentare di capire cosa significa trovarsi dall’oggi al domani spogliati di tutto.

L’Aquila. Quando cammini tra le polverose vie di questa città distrutta hai l’impressione di trovarti in un luogo bombardato a un anno di distanza dalla fine di un conflitto bellico. Ci sono le coppie che passeggiano tra le macerie con tanto di carrozzina, tirando dritto senza mai alzare lo sguardo al cielo. Ci sono gli anziani che al contrario si fermano, sostenuti dalla propria badante, osservando i singoli particolari di ogni edificio lacerato. Poi ci sono varie comitive di adolescenti che si muovono in gruppo parlando a voce alta fra loro, quasi a dire: “Ma tanto chi ci sente qui, non c’è un’anima”. Ci sono infine le squadre di operai che qua e là ricostruiscono i vari edifici, sotto la supervisione di numerosi uomini muniti di occhiali da sole rigorosamente scuri, che spuntano dalle viuzze limitrofe. “Esso ji ingegneri” (ecco gli ingegneri), vocifera qualcuno a bassa voce. Sarebbero troppe le cose da dire sul terremoto, ma la paura di risultare banali e ripetitivi è forte al punto che eviteremo di pronunciare parole abusate quali “dolore, rabbia, tragedia, distruzione, ricostruzione, rinascita”.

SONY DSCCi limitiamo a esprimere una semplice e sintetica considerazione: a L’Aquila esistono tre categorie principali di individui: quelli che non hanno mai vissuto la città prima del sisma, o perché neonati o perché ancora troppo piccoli per averne coscienza, i quali perciò conosceranno solo la futura realtà urbana; quelli che l’hanno vissuta e avranno la possibilità di vederla ricostruita; quelli che l’hanno vissuta e non avranno verosimilmente la possibilità di sapere come sarà L’Aquila tra 20anni. Le due categorie estreme sono probabilmente quelle più disagiate: i più piccoli dovranno accontentarsi infatti ancora per un bel po’ di vivere in una città parallela, prettamente commerciale, in cui è difficile trovare un posto che possa competere con la bellezza di una piazza o una strada della precedente city. I più anziani sono perfettamente consapevoli della realtà della vita, forse per questo scrutano a lungo le vie che fino a cinque anni fa calpestavano con serenità più che malinconia. Sono queste due anime, vecchio e nuovo, a mischiarsi fra loro mentre ti sposti da una parte all’altra. Quando incontri un segnale stradale o un parcometro sei costretto a chiederti: “Ma questo l’hanno messo ora o c’era già prima del terremoto?”. A tale interrogativo non c’è risposta.

A cura di Silvia Di Pasquale.

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