SLA: la doccia gelata del fundraising

La ricerca fondi nel no profit attraverso i social network: luci e ombre del caso Ice Bucket Challenge

Senza ombra di dubbio il tormentone dell’estate 2014 è stato l’ice bucket challenge, ovvero la sfida di farsi una doccia gelata in nome della ricerca per la malattia SLA. In America, da dove la campagna  è partita, ha sviluppato un vero e proprio contagio virale on line tanto che tantissimi esponenti dal mondo politico, al mondo dello spettacolo o della tecnologia (basti pensare al presidente Obama, o i miliardari Zuckerberg e Gates). E come quasi tutte le mode americane è giunta fino al nostro paese dove tutti, e sottolineo tutti, si sono cimentati in questa doccia fredda sfidando a loro volta altri personaggi e amici fare lo stesso. Una doccia per far parlare della SLA, una malattia neurodegenerativa progressiva che colpisce i motoneuroni, cioè le cellule nervose cerebrali e del midollo spinale che permettono i movimenti della muscolatura volontaria, una doccia gelata per raccogliere fondi per la ricerca e la cura della SLA


La campagna, così detta “virale”, ha oggettivamente raggiunto dimensioni planetarie scomodando chiunque, da singoli cittadini a capi di stato, tra cui il nostro Presidente del Consiglio Matteo Renzi. Eppure, dopo una settimana di campagna ecco alzarsi le voci e i cori dei contrari o indignati. 
Infatti se è vero che una doccia gelata non può cambiare nulla è pur vero che un numero considerevole di persone è venuto a conoscenza almeno del nome della malattia e molti si sono spinti fino alla donazione. E’ infatti innegabile che questa idea ha aiutato la ALS  a raccogliere oltre 50 milioni di dollari, cifra che con i ritmi ordinari avrebbe raccolto forse in 20 anni. Ecco quindi l’entusiasmo di molti che spingono e si entusiasmano per aver fatto un gesto che ha contribuito a a supportare una giusta causa. 

140811-boston-ice-bucket-challenge-1350_26906d39ac7ead702b45e5b7707b8dc6
Pur tuttavia, i contrari sostengono che il gesto in se della doccia gelata ha preso una deriva lontana dall’obiettivo del messaggio e che ci sono molti che approfittano dell’occasione solo per rilanciare la propria visibilità, sia che si tratti di personaggi pubblici che di perfetti sconosciuti che approfittano per farsi notare. Negli ultimi giorni infatti si registrano decine di video e messaggi in cui le docce fredde sono sparite e, anzi, vengono mostrate azioni concrete di donazione, con assegni e bonifici, invitando o come si dice “sfidando” gli altri a fare lo stesso. 
Quale che sia l’opinione sull’evento ci sono dei fattori che vanno presi in considerazione. Di certo prima di questa campagna in pochi avevano sentito parlare della SLA, ma in ogni caso oggi  quanti di quelli che stanno leggendo questo articolo sanno che il nome dell’Associazione promotrice dell’iniziativa ‘è ALS? Quanti lo ricorderanno tra un anno? Questo ci da alcune indicazioni sull’efficacia reale dell’azione in termini di brand awareness e di capacità di dare continuità dello stimolo. 


Ma la domanda più importante, per noi attori del terzo settore, è se questo tipo di campagne può rivoluzionare la modalità di fare beneficenza nel terzo settore così per come la conosciamo oggi?
La risposta arriva da un interessante articolo di techeconomy  che ci ricorda come un evento di successo non costituisce la regola, ma una bella eccezione da cui farsi ispirare. Sicuramente l’ice bucket challenge rappresenta un passaggio importante verso l’adozione di nuove forme di marketing virale all’interno del no-profit. Ma queste non possono che affiancare e non sostituire le procedure di raccolta fondi tradizionali. 

L’analisi dell’autore del pezzo, Stefano Epifani, infatti sostiene che l’iniziativa ha raccolto su scala globale quello che per esempio Telethon raccoglie su scala nazionale. Quindi un pò poco per pensare davvero di poter sostituire le classiche raccolte di beneficenza e riuscire a sopravvivere in questo modo. Infatti eventi come quelli di Telethon sono prevedibili in termini di risultati poichè sulla base di questi possono programmare e pianificare strategie operative decine di organizzazioni ed enti di ricerca, sono replicabili in termini di modello poichè può essere ripetuta ogni anno ottenendo gli stessi risultati, e sono quantificabili e capitalizzabili in termini di brand awareness poichè tutti riconoscono il logo e il motivo dell’evento organizzato.

ice-bucket-challenge-anche-matteo-renzi

Sicuramente questa campagna tormentone ci insegna che il terzo settore deve iniziare ad integrare questi nuovi modelli comunicativi aprendo la strada a alla rete in modo più serio e professionale. Di certo il settore no-profit deve utilizzare bene questo strumento perché un contesto che vive di sovvenzioni non ci si può permettere di sbagliare nemmeno una campagna. Tuttavia lasciare questo strumento solo nelle mani di consulenti che assalteranno le organizzazioni promettendo facili guadagni con poco impegno, con la scusa che “virale è bello” è un rischio che il terzo settore non può correre. E’ necessario quindi informarsi ed essere preparati.
Nel frattempo non possiamo anche noi non esprimere un commento sull’iniziativa, che se seppure ha il merito di aver davvero aiutato l’associazione a fare raccolta in un momento tendenzialmente morto come è quello estivo, ha quasi totalmente dimenticato l’aspetto umano e profondo che ha spinto a fare una campagna di questo tipo. Poche sono le persone che si sono chieste cosa è davvero questa malattia e quali danni comporta, noi che invece di terzo settore viviamo ce lo siamo chiesto e siamo andati a ricercare un modo per poterlo raccontare anche a voi, “sfidandovi” a fare anche voi la doccia, ma non quella di acqua gelata che l’acqua è un bene prezioso da non sprecare, ma fatta di tante piccole ma reali donazioni allassociazione italiana sclerosi laterale amiotrofica.
Il video di seguito va visto dall’inizio alla fine, sarà un pò lungo forse, ma davvero vale la pena capire.
Buona visione e buona donazione!

Anthony Carbajal, ha 26 anni e sa di avere la SLA da 5 mesi, la stessa malattia che ha colpito la mamma e la nonna. Così ha deciso di pubblicare un video per cercare di convincere chi inizia a non sopportare più questa catena.
https://www.youtube.com/watch?v=h07OT8p8Oik

“Se avessi semplicemente fatto una doccia gelata, non sarebbe servito a nulla. La SLA è così spaventosa, non ne avete idea…”

Tag

  • ALS
  • Anthony Carbajal
  • ice bucket challenge
  • sla

Potrebbe interessarti: