Halloween: quando l’horror fa festa

Il film di Carpenter ha reso universale la notte delle streghe prima che nella realtà

“Halloween – La notte delle streghe” è tuttora uno dei più celebrati film di John Carpenter, uno dei maestri riconosciuti del cinema indipendente. Realizzato nel 1978, scritto dal regista e dalla produttrice Debra Hill, viene girato a tempo di record in soli 20 giorni, con un budget di 300mila dollari. Ne guadagna oltre 50 milioni al botteghino e per lungo tempo detiene il record di incassi per una produzione indipendente.

In perfetto stile Carpenter, la trama di “Halloween – La notte delle streghe” non potrebbe essere più archetipica e lineare: una baby-sitter che lotta contro l’”Uomo nero”. Debra Hill, come milioni di ragazze nel mondo, baby-sitter lo è stata davvero, dunque può sbizzarrirsi con una miriade di ricordi. L’idea vincente di ambientare il tutto ad Halloween è del produttore esecutivo Irwin Yablans. Ogni bambino sa perfettamente: 1. Cos’è una baby-sitter. 2. Cos’è l’Uomo nero. 3. Cos’è Halloween (almeno in America, all’epoca). I presupposti per il successo ci sono tutti.

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John Carpenter

Nonostante il voluto minimalismo, le gesta truci del serial killer Michael Myers (interpretato dal futuro regista Nick Castle) che, nella Notte delle streghe, terrorizza Haddonfield, sonnolenta ma inquietante cittadina dell’Illinois, confermano l’horror come il più “politico” tra i generi. Volutamente o no, da sempre il cinema del terrore metabolizza e dà sfogo agli umori che covano sotto la pelle della società.

Negli anni ’30, lupi mannari, vampiri, mostri di laboratorio incarnavano la minaccia ancestrale dei totalitarismi europei. Nei ’50, alieni con sembianze umane e liquami rossi (sic) capaci di contaminare e distruggere tutto sono stati la chiara metafora della minaccia di una paventata infiltrazione sovietica. Negli anni ’70, i rimorsi inestirpabili di una società che ha mandato i propri figli in Vietnam producono mostri senza volto e dalla psiche bambinesca, carnefici fai-da-te dall’infanzia violata e dall’innocenza perduta troppo presto che mietono vittime essenzialmente tra i propri coetanei. Studenti in crisi ormonale, campeggiatori col pallino dei racconti paurosi, reginette del ballo che si credono dee e atleti con l’uniforme (!) della scuola che si credono intoccabili: a cadere sotto motoseghe, asce, mannaie sono, proprio come nel sud-est asiatico, quasi sempre giovanissimi. Negli anni ’80, It e Freddy Krueger, provvederanno, con le loro incursioni oniriche, a demolire definitivamente ciò che resta del “Sogno americano”.

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Ma torniamo al 1978. Halloween presenta una voluta ed esibita parentela con Psyco, il film che ha emancipato la precedente generazione del terrore, così come John Carpenter si ripromette di fare con la propria. Nel 1960, il capolavoro di Hitchcock sfida e sconfigge i tabù della propria epoca: la violenza del Bates Motel è un atto di sovversione edipica e sessuale. 18 anni dopo, i delitti di Mike Myers sono un atto di ribellione generazionale e l’arma che usa è lo stesso coltellaccio di provenienza perversamente domestica usato dalla “signora Bates”. Personaggio chiave di Halloween è lo psichiatra che aveva in custodia Myers prima della sua evasione dal manicomio e che ora, come un moderno Van Helsing, gli dà la caccia. Il suo nome è Sam Loomis, proprio come il personaggio che in Psyco fermerà Norman Bates e “sua madre”. Ma c’è un cordone ombelicale (e non è un modo di dire) che lega i due film indissolubilmente. Nel film di Hitchcock, Janet Leigh viene uccisa nella doccia. Nel film del ‘78, sua figlia, la debuttante Jamie Lee Curtis, è la protagonista Laurie, l’eroica baby-sitter che riesce a tenere testa al mostro e dissiparne, almeno momentaneamente, la minaccia. Anche la colonna sonora, composta dallo stesso Carpenter in soli tre giorni, sembra citare Psyco e cercare lo stesso effetto straniante e cerebrale degli stridenti e grandiosi archi di Bernard Herrmann.

Il ruolo del Prof. Sam Loomis viene rifiutato da due mostri sacri dell’horror classico, Christopher Lee e Peter Cushing. Viene accettato da Donald Pleasence, navigato e già affermato attore britannico con 107 film alle spalle, che diventerà uno degli interpreti-simbolo del cinema di John Carpenter, vivendo una seconda giovinezza artistica. Per dirla tutta, nemmeno a lui il copione piace molto. Ha accettato solo perché sua figlia è una fan accanita del primo film del regista, “Dark Star”.

Jamie Lee Curtis
Jamie Lee Curtis

Il ritmo è serrato, ma nel film c’è spazio per varie citazioni. L’inquadratura iniziale, un monumentale piano sequenza senza stacchi di quattro minuti, rende omaggio al “carrello” più famoso della storia del cinema, quello all’inizio de “L’infernale Quinlan” di Orson Welles, peraltro giovandosi di un’innovazione tecnica rivoluzionaria per i ’70, la steadycam, la cinepresa portatile.

La maschera dell’assassino rimanda ironicamente a Star Trek: ha infatti le sembianze del capitano Kirk, opportunamente sbiancata e deformata. Originariamente dovrebbe essere, più banalmente, una maschera da clown. Nick Castle le prova entrambe. Quella da clown provoca grande entusiasmo e applausi della troupe; quella di Kirk ammutolisce tutti: la scelta è fatta.

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Nick Castle

Il successo del film è immediato e con il passare dei decenni si consolida dando il via, com’era ovvio, a una quantità di sequel e prequel.

Chi ama Halloween si goda questi giorni, giovanissimi in testa. Resta comunque difficile spiegare a un bambino nato dopo il duemila che, in Italia, in un’epoca non remota, la festa delle streghe così concepita era qualcosa che si vedeva soltanto in tv. E soprattutto, spiegare che un piccolo grande film del 1978 si era incaricato di rendere, per i ragazzi di allora, la notte di Halloween piacevole e gioiosa quanto gli orecchioni.

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