Le sfide del futuro digitale. Intervista a Pier Luigi Dal Pino di Microsoft

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L’economia digitale cresce a ritmi serrati e l’interconnessione tra pubbliche amministrazioni, università, mondo della ricerca, delle imprese e startup, sono la chiave dello sviluppo dell’innovazione digitale.

Tutto questo avviene in un contesto dove l’Italia, madre di grandi menti dell’innovazione, non riesce a seguire questo mercato, che per il 2014 segna solo un +0,7%, secondo l’Assintel Report 2014, la ricerca annuale sul mercato del Software e Servizi IT in Italia effettuata da NEXTVALUE per conto di Assintel: l’associazione nazionale delle imprese ICT di Confcommercio – Imprese per l’Italia, reso possibile anche grazie al contributo di InfoCamere, Ingenico, Kaspersky Lab, e MCube.

Ciò che nella realtà sconcerta è che l’economia digitale privata cresce, se pur le imprese sono timorose negli investimenti, dovuti soprattutto ad un quadro legislativo sempre più farraginoso ed un sistema fiscale asfissiante (basti guardare le difficoltà che il Governo affronta per lo sviluppo di una riforma organica del mercato del lavoro), contro  il taglio della spesa spesa pubblica in quei segmenti di mercato dell’IT che potrebbero rilanciare l’Italia: PA Centrale -4,1%, Enti locali -3,9%, Sanità -3,1%.

Sulla base di queste premesse, abbiamo incontrato Pier Luigi Dal Pino, attuale direttore centrale per le relazioni istituzionali e industriali di Microsoft Italia. Una lunga conversazione, in cui abbiamo cercato di definire alcune parole chiave con le quali il manager ha sviluppato un ragionamento da chi lavora in Italia per conto di una azienda importante come Microsoft. Dal Pino ha parlato di molti aspetti in maniera  lucida e chiara, senza  usare i soliti luoghi comuni del settore e senza badare a qualche critica, specie ai fattori culturali.

Sono state affrontate diverse questioni partendo proprio dal rapporto che esiste tra innovazione, infrastrutture e IT (information technology, ndr). L’Italia affronta un gravissimo problema di digital divide (divario digitale, ndr), ovvero le infrastrutture tecnologiche non supportano l’accesso a internet a tutti gli italiani, e quindi anche alle imprese, ma può essere solo questo il fattore di poca crescita del mercato e soprattutto dell’assenza di importanti investimenti nel settore?

Nella realtà, come ci spiega Dal Pino, spesso nascondersi dietro il digital divide è solo una scusante, poiché innovazione significa applicare tecnologie e infrastrutture esistenti per lo sviluppo di nuove soluzioni. Naturalmente questo non significa che i problemi di infrastruttura dell’Italia non siano un fattore di ostacolo alla crescita, ma di sicuro non solo il primario problema del mercato e dell’economia digitale.

Ci si interroga come in questo contesto la politica stia reagendo, e ci viene in aiuto l’ultimo rapporto del Boston Consulting Group, commissionato dall’ICANN e intitolato “Greasing the Wheels of the Internet Economy“. Considerando che l’Italia viene piazzata penultima, su 65 paesi analizzati, per facilità di accesso al capitale (prestiti), terzultimi per disponibilità di capitale di rischio per nuove avventure imprenditoriali (venture capital) e 61esimi nel rapporto tra investimenti stranieri e Pil, possiamo avere una dimensione dell’attuale fallimento della classe politica di oggi a reagire alle sfide del mercato globale, soprattutto nell’ambito dell’innovazione digitale. L’Italia si è dotata di un’agenzia pubblica per il digitale denominata AGID – Agenzia per l’Italia Digitale, costituita nel 2012, ma solo da qualche settimana il Governo ne ha nominato il Comitato d’indirizzo, attraverso un decreto del ministro della Pubblica Amministrazione Marianna Madia,  il quale che sarà presieduto da Stefano Quintarelli, informatico e deputato del Partito Democratico. Le priorità dell’Agid, ovvero del Governo, in tema di agenda digitale, sono l’anagrafe digitale, la carta d’identità elettronica, e la fatturazione elettronica, ma queste sono sufficienti per una politica dell’innovazione? Sicuramente sono l’indice che la politica, e la governance, hanno assunto la responsabilità di comprendere che al paese serve una strutturale riforma dei processi della PA, che possono passare solo attraverso la digitalizzazione completa dell’apparato burocratico e amministrativo dello Stato, a tutti livelli. Ma sul fronte degli obiettivi non è ancora chiaro quelli che l’Italia vuole perseguire e se ha compreso quanto incide il digitale nella vita dello stato e dei suoi cittadini.

Gli obiettivi sono chiari, invece, sia per Dal Pino, che a tutte le ricerche in ambito dell’economia digitale di interesse per il paese, ovvero non può esserci sviluppo senza l’alfabetizzazione digitale, miglioramento del rapporto del cittadino con la pubblica amministrazione, ed infine un nuovo contesto fiscale e legislativo. In questo ambito il settore privato si sta impegnando al massimo. La stessa Microsoft, come ci testimonia il nostro intervistato,  sta investendo moltissimo nell’education, nelle startup, e nel diffondere ottimismo e sicurezza nei confronti dei suoi clienti, ma non solo, anche nel supportare la governance politica nella giusta interpretazione dell’innovazione e dell’economia digitale.

Dello stesso avviso, difatti, è anche Giorgio Rapari, Presidente di Assintel e della Commissione Innovazione e Servizi di Confcommercio, il quale afferma che “alle aziende tecnologiche spetta un ruolo poliedrico: raccogliere la sfida interna di innovarsi per non soccombere alla crisi, diventare “portatrici sane di innovazione” verso i propri clienti, e infine fare massa critica per sollecitare il sistema politico a creare le condizioni necessarie allo sviluppo”.

Sul fronte degli investimenti innovativi, invece, registriamo un’altra volta la doppia faccia delle incongruenze del nostro paese, dove da una parte si evidenzia il crescente desiderio dei giovani e degli innovatori a credere nel sistema Italia, ma dall’altra una pubblica amministrazione che contrae i suoi finanziamenti. Secondo il report di Italia Startup, The Italian Startup Ecosystem: Who’s Who”, presentato allo Smau di Milano questo ottobre, iniziativa nata con il supporto del Ministero dello Sviluppo Economico e la collaborazione degli Osservatori del Politecnico di Milano e Smau, vi è un aumento delle startup innovative, con diminuzione degli investimenti pubblici ma incremento di quelli non istituzionali. In generale il complesso degli investimenti sono leggermente diminuiti, dove per gli investimenti pubblici si ha una contrazione del 15% (passando da 129 milioni di euro contro i 110 milioni di quest’anno) compensati dagli investitori privati, ma infinitamente inferiori alla media europea. Ad oggi 2.716 sono in Italia le startup innovative, con una crescita del 120% rispetto al 2013 che erano 1227, mentre le startup finanziate crescono del 74% passando da 113 nel 2013 a 197 nel 2014.  Come sempre, poi, anche la geografia delle nostre startup evidenzia un paese diviso in due, infatti, il 57% risiedono al Nord, il 21% al Centro e il 22% al Sud. Gli investitori istituzionali sono dislocati rispettivamente 75% al Nord, 19% al Centro e 6% al Sud. Gli incubatori: 58% N, 21% C, 21% S. I Parchi scientifici e tecnologici: 50% N, 24% C, 26% S. Gli spazi di coworking: 69% N, 19% C, 12% S e così via.

OpenMag, alla pari di altre aziende e gruppi editoriali, se pur nel suo piccolo, vuole contribuire alla crescita dell’Italia, ed investire. Lo faremo con ciò che ci riesce meglio: raccontare i sogni e le sfide. Riprendendo le parole di Pier Luigi Dal Pino, secondo il quale “stimoli e interviste come queste servono a sognare”, vogliamo regalare speranza a tanti giovani innovatori di credere nella forza delle loro idee, e lanciare un monito alle istituzioni: ascoltare, prima di agire.

 

 

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