La Disoccupazione Generazionale

disoccupazione giovanile

Il livello di disoccupazione, in particolare di quella giovanile, rappresenta un dato importante per capire lo stato economico e sociale di una nazione. In Italia la mancanza di lavoro ha radici geografiche precise

Un alto tasso di disoccupazione è chiaramente un problema fondamentale per ogni Paese, non solo da un punto di vista meramente economico ma anche in termini di costi sociali. Lo scenario occupazionale Italiano è notevolmente peggiorato dal 2008 poichè i posti di lavoro persi durante il famigerato credit crunch non sono ancora stati recuperati e tal fenomeno sta pesantemente influenzando la qualità di vita di ogni cittadino. Tuttavia, la mancanza di posti di lavoro nella penisola Italiana è un problema che ha radici geografiche ben precise. Il primo grafico mostra il peso, in termini percentuali e suddiviso per ripartizioni geografiche, che la disoccupazione ha avuto sul territorio dal 2004 sino al 2013 (fonte dati ISTAT):

grafico1

Il grafico qui a lato è abbastanza eloquente. Negli ultimi 10 anni la disoccupazione meridionale ha avuto un peso pari al 51% rispetto al totale, quella settentrionale il 31% mentre il peso del centro Italia è pari al 18%. Il fatto che le regioni meridionali siano quelle piú interessate dal fenomeno della disoccupazione non è una novità ma piú che altro un fenomeno dalle radici ataviche. Tuttavia, esaminando in maniera approfondita i dati è possibile individuare un altro tipo di trend che viene spesso taciuto ma che sta assumendo connotazioni drammatiche nel contesto socio–economico odierno: la disoccupazione generazionale. La crisi scoppiata nel 2008–2009 ha alterato, ed in maniera anche piuttosto evidente, gli equilibri del mercato del lavoro creando delle vere e proprie “classi sociali”. Tali classi hanno un denominatore comune molto diverso da quelli individuati in passato, infatti, le nuove ripartizioni del tessuto socio–economico si basano predominantemente sul fattore cronologico. In altre parole, l’ età anagrafica. In realtà, questo fenomeno ha interessato molte economie sviluppate ma in Italia, soprattutto dall’ approvazione della famigerata legge Biagi in poi, il processo ha seguito una dinamica molto piú veloce. Al fine di meglio comprendere, in maniera quantitativa, come tal processo s’ è sviluppato, si propone di seguito il grafico relativo al tasso di disoccupazione Italiano degli ultimi 20 anni ma ripartito per fasce d’ età (fonte dati ISTAT):

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Il grafico è stato costruito calcolando l’ impatto del numero di disoccupati per ogni fascia d’ età rispetto al totale a partire dal 1993 sino al 2013 e pertanto i numeri riportati sulle asse delle “Y” rappresentano il peso in punti percentuali. Spieghiamo meglio. Nel 1997, ad esempio, i giovani disoccupati (15–24enni) erano 34,34% del totale, quelli tra i 25 ed i 34 anni costituivano il 31,71% del totale, quelli tra i 35 ed i 44 anni erano il 16,98%, quelli tra i 45 ed i 54 anni erano l’ 11,19%, quelli tra i 55 ed i 64 anni erano pari al 5,24% mentre quelli oltre i 65 anni costituivano lo 0,54% del totale. Chiaramente, anche in questo caso, ogni percentuale calcola il peso del numero di disoccupati appartenenti ad una determinata fascia d’ età rispetto al numero totale. Infatti, sommando le percentuali di cui sopra 34,34% + 31,71% + 16,98% + 11,19% + 5,24% + 0,54% si arriva esattamente al totale. L’ analisi del grafico è particolarmente immediata. Nel 2013, i giovani adulti (25–34 anni) sono quelli che hanno risentito maggiormente della mancanza di posti di lavoro ed infatti ben il 29,82% del tasso di disoccupazione totale è costuito da individui al di sotto dei 34 anni. La seconda fascia ad esser stata colpita gravemente è quella immediatamente successiva, 35–44 anni, il cui peso è del 24,16% mentre la terza riguarda i piú giovani (15–24 anni) con il 21,06%. Già da questi primi dati è possibile estrarre qualche informazione utile:

  • Nel 2013 il 50,88% dei disoccupati Italiani totali era al di sotto dei 34 anni
  • Il 75,04% dei disoccupati Italiani totali, nel 2013, aveva meno di 44 anni
  • La fascia 25–34 anni, è quella che pesa maggiormente sul tasso di disoccupazione sin dal 2002 ed è, infatti, circa il 30% del totale
  • Il peso dei giovani tra i 15 ed i 24 anni sulla disoccupazione totale è passato dal 26,62% nel 2002 al 21,06% nel 2013 poichè in molti sono entrati nella categoria degli inattivi
  • Gli individui disoccupati tra i 55 ed i 64 anni, nel 2013, sono solo il 6,44% del totale e sin dal 1993 la cifra ha fluttuato intorno al 5,5%–5,9%
  • La fascia comprendente i lavoratori tra i 45 ed i 54 anni è passata dal 12,4% nel 2007 al 18,53% nel 2013

Le considerazioni fatte sinora sono particolarmente preoccupanti se inquadrate in un’ ottica futura. Infatti, se consideriamo che nel 2024–2025 il motore dell’ economia Italiana sarà strutturato su quegli individui che sino a qualche mese fa costituivano oltre la metà (50,88%) dei disoccupati Italiani totali, lo scenario macroeconomico di lungo termine per il bel Paese diventa preoccupante. Inoltre, se la situazione occupazionale è fortemente a favore della fascia 55–64 anni mentre è incredibilmente ostile per i piú giovani, le cose peggiorano se si da un’ occhiata alla retribuzione salariale media negli ultimi 10 anni e quindi dal 2004 al 2014 (fonte dati EuroStat):

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Sebbene sia pressochè normale che un 55enne guadagni piú di un 30enne poichè molto spesso gli stipendi vengono aumentati in base agli anni di servizio, le curve dal 2007 in poi denotano un cambiamento di trend anomalo per alcune fasce d’ età. È evidente che mentre le curve relative alle retribuzioni dei 18-24enni (in blu) e dei 25–49enni (in verde) fluttuano sostanzialmente seguendo un trend laterale, quella rossa (salari medi 50–64enni) e quella bianca (55–64enni) hanno continuato a salire creando un notevole disequilibrio a livello generazionale. La parte finale del grafico, invece, denota un netto crollo del livello medio degli stipendi per quasi tutte le categorie sebbene quella dei 55–64enni sembra esser stata quella piú colpita. Il prossimo ed ultimo grafico calcola la differenza salariale tra la categoria 55–64 e le due fasce piú giovani e cioè i 18–24enni ed i 25–49enni (le differenze sono espresse in €):grafico4

L’ ultima analisi evidenzia, prima di tutto, l’ enorme gap salariale tra 50–64 e 18–24enni, infatti, le colonne rosse aumentano esponenzialmente tra il 2004 ed il 2010. L’ incremento in altezza delle colonne rosse indica che mentre i salari medi dei lavoratori senior (50–64enni) hanno continuato ad aumentare, la retribuzione per le fasce piú giovani è diminuita oppure è rimasta costante. La stessa cosa può esser detta se estendiamo il confronto tra 50–64enni e 25–49enni (colonne blu). Numericamente parlando:

  • La differenza salariale media tra 50–64enni e 18–24enni era pari a € 1.954 nel 2004 ma ha toccato quota € 4.104 nel 2010 facendo registrare un aumento del 110% in circa 6 anni in favore dei lavoratori senior
  • La differenza retributiva media tra 50–64enni e 25–49enni, invece, è passata da € 788 nel 2004 a € 2.066 nel 2010 aumentando addirittura del 162.18% in favore dei lavoratori senior
  • La crisi ha comportato un crollo degli stipendi medi per tutte le fasce d’ età ed ha contribuito a calmierare il divario salariale tra lavoratori senior e lavoratori junior
  • Dal 2011 sino ad oggi, il divario tra 50–64enni e 18–24enni è sceso da € 3.563 a € 2.965 registrando un –16,78%
  • Dal 2011 sino ad oggi, il divario tra 50–64enni e 25–49enni è passato da € 1.581 a € 1.315 calando del 16.82%

collocamentoOvviamente, il quadro generale sembrerebbe favorire, ancora una volta, i lavoratori senior non ostante negli ultimi anni il divario generazionale in termini di retribuzione salariale si sia attenuato. È necessario evidenziare che sarebbe opportuno abbassare i dislivelli occupazionali così come i divari salariali al fine di garantire una continuità generazionale ed una crescita costante del PIL e della produttività. Infatti, qualora tali disquilibri dovessero cominciare nuovamente ad aumentare, le conseguenze sul PIL potrebbero essere ragguardevoli poichè le fasce piú giovani tendono a contribuire maggiormente allo sviluppo della produttività piuttosto che altre. Il motivo è piuttosto semplice ed è intrinsicamente intuitivo: i lavoratori senior (50–64enni) saranno molto piú propensi a risparmiare poichè sono nella fase finale del ciclo produttivo mentre i lavoratori junior (18–40enni) avendo una vita sociale piú attiva ed essendo all’ inizio o nel mezzo del proprio ciclo produttivo (mutuo per la casa, acquisto autovettura, eventuali figli, vacanze, etc) tenderanno a spendere maggiormente ed a far circolare il danaro piú velocemente. I dati sin qui analizzati sembrano evidenziare che proprio la fascia d’ età piú importante per lo sviluppo dell’ economia sia quella piú in difficoltà: siamo un aereo che vola con un solo motore che è per giunta attempato e destinato a spegnersi nei prossimi 8–10 anni. Grazie per aver volato con noi e buon atterraggio a tutti.

 

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