Sconfiggere l’AIDS entro il 2030? Obiettivo “Close the gap”

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L’1 dicembre si celebra la Giornata Mondiale contro l’Aids, un’epidemia che in 30 anni ha causato migliaia di morti, spesso per la mancata prevenzione. Oggi le speranze di una cura aumentano

di Cristina Panzironi

Erano gli anni ’80 quando in America i medici iniziarono a dover far fronte a nuovi sintomi che lasciavano presagire l’avvento di una malattia fino ad allora sconosciuta. L’AIDS iniziò dunque a far parlare di sé e, nonostante, l’individuazione del virus dell’HIV, ci si dovette arrendere di fronte alle costanti mutazioni che impedivano la scoperta di un vaccino specifico. L’alto grado di instabilità genetica ha contribuito così ad una rapidissima espansione del virus, il quale ha contribuito a generare una vera e propria epidemia; epidemia che ha provocato fino ad oggi 25 milioni di morti nel mondo. Già nel 1988 è perciò apparso necessario dare vita ad una Giornata Mondiale contro l’Aids, che ricorre ogni 1 Dicembre da 26 anni.

L’UNAIDS (il programma delle Nazioni Unite sull’Aids) parla di dati leggermente più alti in Italia rispetto al resto della media europea, con una percentuale dello 0,4% di persone risultate sieropositive nella fascia di età 15-49 anni. Nel nostro Paese un monitoraggio dei casi ha avuto luogo dal 1986 ma i dati sono parzialmente distorti in quanto non tengono conto delle persone contagiate dal virus ma solo di quelle che hanno sviluppato la sindrome. Uno studio completo, risalente ormai al 2007, riportava come, dopo un picco alla fine degli anni ‘80, le nuove diagnosi di infezione da HIV fossero costantemente diminuite fino al 2000 e che i dati più alti riguardo le infezioni continuassero ad attestarsi soprattutto nelle aree metropolitane.

Tuttavia il Rapporto UNAIDS Global Report 2013 – Getting to Zero prospetta uno scenario positivo dovuto alla diminuzione delle percentuali di infezioni e decessi grazie soprattutto alla maggiore disponibilità di accesso alle cure. Le morti relative all’AIDS sono passate da 1.7 nel 2011 e 2.3 milioni nel 2005 a 1.6 del 2012; inoltre dalla fine del 2012, nei paesi poveri e in quelli a basso reddito quasi 10 milioni di persone hanno avuto accesso ai farmaci antiretrovirali, un aumento del 20% in un anno. Altro dato positivo registrato negli investimenti nazionali: nonostante i finanziamenti per la lotta all’HIV/AIDS abbiano subito una forte contrazione, la spesa individuale dei paesi sull’epidemia è aumentata. Il trend mantiene un andamento positivo nel recente “The Gap Report”,  presentato in occasione della conferenza AIDS 2014 – 20th International AIDS Conference lo scorso luglio, in cui le morti si attestano intorno a 1.5 milioni.

L’obiettivo, a primo impatto ambizioso, dell’UNAIDS è dunque quello di porre fine all’epidemia entro il 2030. Se i segnali positivi lasciano ben sperare, tale traguardo risulterà effettivamente raggiungibile solo se entro il 2020 si riuscirà a diagnosticare il 90% delle infezioni, a far entrare in terapia il 90% delle persone diagnosticate e, infine, ad abbattere la carica virale del virus Hiv nel 90% delle persone che assumono un trattamento antiretrovirale (ARV). Secondo associazioni a stretto contatto con il problema, come Medici Senza Frontiere, l’appello non avrà risposta fin quando la distribuzione del trattamento antiretrovirale non verrà radicalmente ridefinita secondo un approccio comunitario che si adatti alle realtà quotidiane di chi convive con la malattia.

In quest’ottica ancor più consono suona il tema scelto per la Giornata Mondiale contro l’Aids – 2014: “Close the gap”. Perché ridurre la distanza diventi una realtà possibile e non solo uno slogan urlato un giorno all’anno.

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