George A. Romero: i mostri e il ‘68

george a. romero

L’autore de “La notte dei morti viventi” compie 75 anni. Da sempre contro lo star system, ha saputo unire il fanta-horror anni ’50 con le pulsioni della New Hollywood

Sette esseri umani barricati in una casa abbandonata in mezzo alla campagna lottano disperatamente contro orde di assassini cannibali che sembrano agire sotto ipnosi. Sapranno dalla tv che si tratta di cadaveri resuscitati dalle radiazioni causate da una sonda spaziale fatta brillare dalla Nasa sulla via del ritorno da Venere. E che esercito e guardia nazionale sono mobilitati per fronteggiare l’epidemia, estesa a tutta la costa orientale degli Usa. L’unico modo per neutralizzare i “non morti” è colpirli alla testa. Il mattino dopo, l’unico superstite sarà ucciso dagli sceriffi, perché scambiato per uno dei mostri.

George Andrew Romero, 75 anni appena compiuti, una vita e una carriera perennemente al di fuori e contro lo star system, non ha mai dato eccessiva importanza alle interpretazioni che, in quasi 50 anni, si sono avvicendate sul suo “La notte dei morti viventi”. Archetipo di una saga con milioni di fan, è l’opera prima di un regista che più di ogni altro ha incarnato la sintesi tra l’horror anni ’50 e le provocazioni della New Hollywood, lo splatter e il cinema politico, le suggestioni fumettistiche ed una costruzione magistrale della suspense imparata dai maestri del passato.

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Nasce a New York il 4 febbraio 1940. Padre cubano, madre lituana, cresce in un ambiente fortemente cattolico e saldamente legato ai valori patriottici. Eppure, fin da bambino avverte qualche problema nell’attraversare la strada in un quartiere, il Bronx, in cui gli ispanici come lui sono una minoranza. L’idea dell’assedio, che serpeggia in tutto il suo cinema, probabilmente passa anche da qui. E’ assistente di produzione in “Intrigo internazionale” di Hitchcock ma la ricorda come un’esperienza ben poco esaltante. Il suo ingresso nel cinema non passa affatto da Hollywood, ma dalla grigia e piovosa Pittsburgh, dove fonda la società di produzione “Image Ten”.

“Night of the living dead” viene girato in economia tra il giugno 1967 e il gennaio successivo, per un costo di poco più di centomila dollari. Nel cast, gli attori professionisti sono solo due: Duane Jones e Judith O’Dea. Un horror in bianco e nero girato in 35 mm, senza lieto fine, senza intrecci sentimentali e con pesantissime allusioni all’attualità, oltretutto in un periodo caldissimo per l’America e il per mondo, viene puntualmente rifiutato dalla grande distribuzione ed esce solo nei drive in. Grazie al passaparola incassa oltre 30 milioni di dollari. Sono nati un autore ed un film di culto.
La prima è il 2 ottobre 1968. Lo stesso giorno si consuma la strage di Città del Messico, con l’esercito che spara sulla folla che manifesta contro l’occupazione militare dell’università. Negli anni passati, davanti alla tv, il pubblico ha visto consumarsi omicidi eccellenti, la guerra in Vietnam raggiungere il suo apice e i manifestanti per i diritti civili caricati dalla polizia per le strade dell’Alabama.
Intenzionalmente o meno, il film di Romero diventa una metafora perfetta di quella situazione politica gravida di violenze e angoscia. Per i sette protagonisti, l’unione non fa affatto la forza. Pressato dall’assedio, il gruppo litiga sul da farsi, è dilaniato da conflitti insanabili e persino i familiari si sbraneranno tra loro. A fronte invece della perfetta coordinazione degli assalitori. Un tema già abbozzato in parte da “Gli uccelli” di Hitchcock che Romero porta alle estreme conseguenze, anche dal punto di vista razziale. L’integrazione è un miraggio irraggiungibile e l’odio cova sempre sotto la cenere di una società solo apparentemente civilizzata, uno dei temi romeriani per eccellenza. Il leader del gruppo, ed eroe positivo, è un nero. Benjamin fortifica la casa, è preoccupato per il bene di tutti, della bambina ferita e della ragazza sotto shock. Si batte come un leone. Ma anche lui è imperfetto. Dal punto di vista “strategico”, aveva ragione l’odioso ed egoista Cooper: bisognava asserragliarsi in cantina. In un finale nichilista strettamente imparentato con “Easy Rider”, al termine dell’eroica resistenza, Ben viene ucciso da un gruppo di rangers che tanto somigliano a quelli che pestano i seguaci di Martin Luther King.

George A. Romero . Stephen King
George A. Romero . Stephen King

Altro tema fondante è quello delle distorsioni procurate dai mass media. In “Notte”, radio e tv cercano di dare consigli utili alla popolazione. Nelle successive puntate della saga, la presenza dei mezzi di comunicazione si farà sempre più folle e fuorviante.
Se il primo film introduce una catastrofe in cui il peggio deve ancora arrivare, il sequel “Zombi” (1978) la presenta al suo culmine e punta a demolire sistematicamente tutti i simboli e i santuari del consumismo. L’azione si sposta dalla campagna alla metropoli invasa da morti viventi. Un ristretto gruppo di umani trova temporanea salvezza rinchiudendosi in un grande magazzino dove inizia a vivere un’esistenza tribale. Negli anni, Romero aggiungerà alla saga dei “morti viventi” altri quattro titoli, con l’aiuto del suo braccio destro e gran maestro degli effetti speciali Tom Savini.martin

Il “figlio prediletto” di Romero non è un film di zombi. “Martin” (1977) modernizza l’iconografia del film di Dracula con la storia di un adolescente tormentato dall’idea di essere un vampiro. Forse è vero, forse è solo il prodotto della superstizione dei suoi parenti. Di fatto, il 17enne Martin narcotizza le donne e le uccide bevendone il sangue. Siringhe, lamette, lacci emostatici, ambienti suburbani, promiscuità sessuale lasciano adombrare un’allusione alla tossicodipendenza. Quando uccide, il “mostro” sembra in preda alla disperazione. Racconta le sue gesta telefonando in radio, con grande divertimento degli ascoltatori. Ancora la perversione dei media e ancora la famiglia come luogo di distruzione e di morte.

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Ed Harris – Tom Savini

Nel 1981 il regista si prende una pausa dal suo pessimismo cosmico con “Knightriders – I cavalieri”, suo primo film non horror/thriller dopo il sentimentale “There’s always Vanilla” (1971). Dopo tanta critica sociale, Romero e la sua factory sembrano proporre una sorta di manifesto programmatico. “Knightriders” trasferisce il mito dei Cavalieri della Tavola rotonda nella sperduta provincia americana, dove un gruppo di bikers guidato dal Re Artù/Ed Harris, scorrazza a bordo delle proprie Harley Davidson allestendo spettacoli medievali, seguendo un rigido codice d’onore e cercando di sfuggire alle continue angherie della legge. La comunità dominata dalla lealtà e dai valori umani è l’unico modo per sfuggire all’oppressione di un potere lontano e senza volto. Perché la vera mostruosità, sembra dirci Romero, è l’omologazione.

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