“A ghost play”, ridere, commuoversi e riflettere al Teatro dei Conciatori

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“A ghost play”, testo e regia di Enzo Masci, sarà in scena al teatro dei Conciatori fino all’ 8 marzo

“È ciò che resta di noi, un ricordo. E se non hai nessuno a ricordarti, allora non esisti”. È questo uno dei principali temi che, snodandosi per tutta la durata dello spettacolo, coinvolgono e appassionano lo spettatore. “A ghost play” dal ritmo incalzante e dinamico, cattura l’attenzione del pubblico già dalla prima battuta. Così, tra una risata e l’altra, tra un momento di riflessione e un altro di commozione, lo spettatore si immerge nella storia di Rossella (Silvia Falabella). Costretta a lasciare la propria casa in mancanza di un lavoro stabile, la giovane fonica free-lance si ritrova a vivere in un appartamento senza spese di affitto, concesso in prestito dall’amica Claudia (Angela D’Onofrio), a patto che lei si occupi della casa.

È proprio qui che vive da più di trecento anni Amedeo (Tommaso Arnaldi), compositore di clavicembalo ucciso in modo brutale ma bloccato sulla terra per assolvere a un compito di cui è ignaro. Vegliato da Arcangela (Ughetta D’Onorascenzo), figura eterea e celestiale che richiama la guida dantesca, aspetta di comprendere e compiere la sua missione, per poter finalmente passare nel mondo ultraterreno.

Inaspettatamente, tra i due protagonisti, nasce un rapporto di amicizia oltre il tempo e lo spazio, un amore puro e spirituale cadenzato in scena da una rosa bianca. Dopo un’infanzia difficile, per la prima volta Rossella si sente finalmente capita e compresa da un individuo etereo: “Tu sei la prova che non sono sbagliata”, gli dice.

Ad accelerare il corso degli eventi sarà il regalo di un pianoforte che risveglierà l’indole di Amedeo. Grazie alla complicità di Rossella, le sue note potranno finalmente oltrepassare i limiti temporali e spaziali imposti dal mondo terreno. Fino a quando un imprevisto…

È la musica a unire le esistenze dei due protagonisti, espediente narrativo piegato per parlare del ricordo, ovvero di come possiamo continuare a vivere attraverso gli altri. Amedeo, immerso completamente nella sua musica, vuole a tutti i costi lasciare un’orma del suo passaggio sulla terra attraverso le composizioni. Ma non capisce che a contare in realtà sono le emozioni e i sentimenti da condividere con gli altri. Perché, alla fine del viaggio, soltanto loro rimarranno nel cuore delle persone. Cosa saremo noi una volta che la nostra esistenza sarà finita? Ricordi e nulla più.

Sono numerosi i temi, più o meno latenti, che emergono dal testo di Masci: la spiritualità, la religiosità e la superstizione, la speranza e il destino. Ognuno di noi è sulla terra per uno scopo preciso ed è nostro compito vivere un’esistenza che valga la pena di essere vissuta. “Ognuno la vede come ha bisogno di vederla”, dice lo spirito alla ragazza.

“Caso è il nome che diamo quando non crediamo in Dio”. L’uomo è spaventato da ciò che non conosce e si domanda cosa ci possa essere dopo la vita. Ma le risposte sembrano non sodisfarlo mai. Ė terrorizzato dal “nulla”, inteso sia come anonimato sia come l’inintellegibile.

La regia, per nulla didascalica, è sotto molti aspetti cinematografica: non mancano i riferimenti e le citazioni alle arti e alla cultura.

Fondamentale per comprendere lo spettacolo è l’elemento musicale che scandisce il passare del tempo tra una scena e l’altra ed esalta i momenti più intensi della diegesi. Vi si ricorre con grande intelligenza, descrivendo nota per nota tutto quello che sta accadendo sul palco. Segue l’andamento del personaggio, è spesso opprimente, come una cappa sotto la quale non si intravede una via d’uscita fine, un’esplosione che non si riesce a scatenare.

L’uso delle luci è studiato per dare maggiore spessore a ciò che avviene in scena. Le luci bianche esaltano i momenti più intensi tagliando l’ombra in maniera caravaggesca. Altri due colori che massimizzano i vari sentimenti sono il rosso e il blu, il primo usato per i momenti salienti e il secondo (principalmente) per i cambi scena.

La scenografia, per nulla invasiva, riesce con pochi oggetti a dare il senso dello scorrere del tempo, accentuandolo anche con fotografie appese sul fondale e sulle quinte.

Chiuso il sipario sulla storia e sui personaggi, i pensieri cominciano a stillare copiosamente. Le molteplici contaminazioni che si accatastano l’una dopo l’altra e i tanti spunti di riflessione non abbandonano lo spettatore. Nonostante una trama semplice, la pièce costringe il pubblico a un’attenta analisi dello spettacolo. Rimugina e si interroga su quanto visto in scena. Si scopre così quello che si cela sotto il velo di contemporaneità.

di Anastasia Angelini

a ghost locandina

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