John Belushi, la via blues alla comicità e all’eternità

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L’America ha aperto i festeggiamenti per i 40 anni del Saturday Night Live: John ne divenne immediatamente l’anima

I giapponesi di 1941: Allarme a Hollywood. I biechi studenti reazionari della confraternita Omega di Animal House. I nazisti dell’Illinois e la Carrie Fisher abbandonata sull’altare in The Blues Brothers. I politicanti corrotti di Chiamami Aquila. Nei suoi film, tutti cercano di uccidere John Belushi. Per punirlo, per metterlo a tacere, per neutralizzarlo. Per disinnescare una volta per tutte la carica eversiva ed esplosiva con cui l’attore insidia le sicurezze, i tabù, le idiosincrasie di un’America desiderosa soltanto di perdersi nell’edonismo degli anni ’80.

John Adam Belushi nasce a Chicago il 24 gennaio 1949, da una famiglia di origini albanesi e macedoni che gestisce un ristorante. Diventa famoso a teatro con la compagnia  The Second City dove, nel 1973, conosce l’amico e collega di una vita, Dan Aykroyd. Due anni più tardi, la coppia approda al Saturday Night Live.

Nella prima puntata ufficiale del più importante show nella storia della tv americana, in onda l’11 ottobre 1975, Belushi si fa notare per una perfetta imitazione di Joe Cocker, cui si aggiungono capacità canore davvero notevoli. Seguono altre 83 puntate di sketch memorabili. Nel ’76 John e Dan hanno l’idea dei “fratelli Blues”. E il 22 aprile 1978, sul palco dove ogni sabato sera si sintonizzano 40 milioni di americani, canta per la prima volta la coppia come noi la conosciamo, con il celebre look studiato da Aykroyd. Al SNL John fa debuttare anche il fratello minore Jim, che dimostrerà notevoli doti artistiche ad avrà una carriera di tutto rispetto.

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Può sembrare incredibile oggi ma ogni nuova proposta, televisiva e cinematografica, di Belushi e dei suoi amici non è stata mai accolta bene al primo tentativo. Il pubblico ha sempre avuto bisogno di tempo per superare lo shock iniziale, per digerirlo, per apprezzarlo. Per intenderci, i Blues Brothers, alla loro nascita devono fare i conti con una certa dose di pregiudizio razziale. Due bianchi così vicini alla cultura musicale nera non vanno bene a tutti.

Nel 1978 il comico si congeda dal SNL per girare Animal House di John Landis, atto d’accusa verso le ipocrisie che si celano sotto la comoda facciata del nuovo corso kennediano. Nel 1962, la confraternita studentesca Delta del Faber College, tra scherzi feroci e atti di sabotaggio, resiste alle angherie del truce rettore Wormer e del losco sindaco De Pasto, il tutto in un’epoca in cui se si va male negli studi si comincia a partire per il Vietnam. Nasce la prima grande maschera cinematografica di Belushi: John “Bluto” Blutarski, il fuoricorso ubriacone che guida la riscossa dei suoi confratelli e instaura una leadership che lo porterà alla carriera politica. Con un incasso da 60 milioni di dollari, è l’unico vero successo commerciale nella filmografia di John. Seguono ruoli non da protagonista in Verso il sud di Jack Nicholson (1978) e Old boyfriend (1979).

Animal House

Come molte personalità dall’apparenza spavalda, Belushi nasconde un’indole molto fragile e sua moglie Judith Jacklin, sua fidanzata dall’età di 15 anni che gli sarà accanto fino alla fine, guarda con angoscia e impotenza al crescente uso di cocaina da parte del marito, accresciuto dalla frequentazione del SNL. Un dramma che racconterà nel 2006 nel libro Belushi. Una biografia.

Un fan entusiasta di Animal House è Steven Spielberg, che, nel 1979, vuole John alla testa del cast stellare di 1941: Allarme a Hollywood. Belushi solca i cieli nei panni del folle capitano Wild Bill Kelso, nella California del 1941 ossessionata dall’idea di un’invasione giapponese. Momenti memorabili ma il genio del cinema Spieberg non sembra a suo agio con la comicità, che in alcuni tratti sembra mancare di sostanza. Senza contare che il pubblico del post-Vietnam non ama i film d’ambiente bellico. Un disastro commerciale.

Nel 1980, i fratelli Blues entrano nella storia del cinema sempre sotto la regia di Landis. 130 minuti di comicità popolata dai pesi massimi della musica black, come Ray Charles, Aretha Franklin, Cab Calloway e molti altri. La musica diventa il grimaldello con cui scardinare il razzismo, le discriminazioni religiose (i Blues Brothers sono cattolici), la repressione poliziesca, la brutalità dell’istituzione carceraria. Un altro capolavoro scomodo e inizialmente incompreso.

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Se Spielberg non è stato il regista perfetto per 1941, lo sarebbe probabilmente per il Belushi “serio” di Chiamami Aquila (1981). Il regista invece rinuncia all’ultimo e viene sostituito da Michael Apted che non ha il polso necessario per gestire la pregevolissima sceneggiatura di Lawrence Kasdan. Un Belushi con 20 kg in meno interpreta un giornalista costretto a lasciare Chicago per sfuggire alla vendetta del gruppo politico-affaristico-criminale che ha smascherato e si reca sulle Montagne Rocciose per intervistare un’ornitologa (Blair Brown). Dalla reciproca insofferenza ovviamente nasce l’amore. Un Belushi più maturo ma ancora una volta non capito.

L’ultima volta sullo schermo è I vicini di casa (1981), con Dan Aykroyd. Una tranquilla famiglia borghese viene sconvolta dall’arrivo dei nuovi vicini, oltremodo disinibiti. Invertire i due personaggi rispetto a quello che lo spettatore si aspetta (Belushi è l’impiegato serioso, Dan il vicino “matto”) potrebbe anche essere un’idea valida. Ma ancora una volta, il regista John Avildsen, Premio Oscar con Rocky e futuro trionfatore al box office con Karate Kid, è irrimediabilmente inadatto alla commedia demenziale. Sul set l’atmosfera è tesissima, con liti che bloccano le riprese per ore.

Queste continue frustrazioni professionali spingono ancor più l’attore 33enne sulla via degli eccessi. Viene trovato senza vita la mattina del 5 marzo 1982 a West Hollywood, in una dependance del residence Chateau Marmont, su Sunset Boulevard (il leggendario Viale del Tramonto, e dove sennò), ucciso da un’overdose di eroina mischiata ad altre droghe. Gli ultimi a vederlo vivo sono stati gli amici Robert De Niro e Robin Williams, oltre alla chitarrista Catherine Smith, che confesserà di aver confezionato, da ubriaca, la dose mortale di eroina e cocaina.

Nei progetti di John Belushi c’erano il ruolo che sarà di Eddie Murphy in Una poltrona per due, quello di Bill Murray in Ghostbusters, il personaggio di Fat Moe in C’era una volta in America, un film in cantiere intitolato The joy of sex. Stava inoltre scrivendo un suo copione dal titolo Noble Rot, con l’autore del SNL Don Novello. C’è addirittura una nuova puntata dei Blues Brothers, per la regia di Louis Malle: The moon over Miami.

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Funerale di John Belushi

La sua morte sfiora il caso politico. Bob Woodward, il potentissimo giornalista liberal che, insieme a Carl Bernstein, ha scatenato lo scandalo Watergate dalle pagine del Washington Post e costretto Richard Nixon a dimettersi dalla presidenza, scrive una biografia ultra-malevola di John Belushi intitolata Wired. L’operazione scatena le ire di John Landis che interviene in difesa della memoria dell’amico. Il regista definisce Woodward un “losco individuo” e la biografia “un libretto disgustoso, veramente spregevole” pieno di forzature e travisamenti. “La realtà” continua Landis “è molto semplice: era un tossicodipendente e la droga l’ha ucciso […] Ma il crimine più grosso di quel libro consiste nel far credere che John non fosse buono, aveva una calda personalità […] Ma il suo problema era di carattere fisico, la droga. In effetti tutti erano sorpresi che fosse vissuto così a lungo”.

Un talento e una vita distrutti dalla debolezza. “Io me ne sono andato, ma il Rock and Roll continua a vivere” è la frase scritta sulla sua lapide. Restano i suoi otto film, di cui cinque da protagonista, i suoi innumerevoli sketch, la sua musica, la sua mimica irrefrenabile a raccontare un artista che ha ceduto all’assedio dal diavolo ma che continua ancora oggi, per milioni e milioni di fan, ad essere in missione per conto di Dio.

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