Pianeta Crowdfunding: Groucho il finanziamento!

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Il crowdfunding continua la sua crescita grazie alla nascita di piattaforme specializzate e ad una nuova concezione di finanziamento collettivo

Tempo fa annunciavamo su queste pagine virtuali l’imminente arrivo di Vittima degli eventi, episodio pilota – ci auguriamo! – di una serie su Dylan Dog, l’indagatore dell’Incubo più famoso al mondo.

L’orgoglio con cui salutiamo questo film nasce non solo da un made in Italy (under 30: Claudio Di Biagio, Luca Vecchi, Matteo Bruno & co.) che riveste l’intero progetto, ma anche dalla qualità del risultato finale, confermata dal successo che sta ottenendo sulla rete e, in una specie di tour, nelle sale di tutta Italia, conquistando anche i fan più severi del fumetto di Sclavi. A dir la verità, un po’ ce lo aspettavamo, ma vorremmo poter contare anche sul suo seguito. Il che potrebbe avere a che fare con lo strumento che ha favorito la genesi del progetto stesso: il crowdfunding. Vediamo di cosa si tratta.

dylan dog crowdfunding

È sotto gli occhi di tutti () che sempre più difficilmente si trova qualcuno pronto ad avventurarsi in un’impresa del tutto nuova, ad accettare il rischio di fallire, se l’alternativa è puntare su una riuscita sicura. Dalla politica, al mondo del lavoro, alle arti – compresa per l’appunto la settima – si è da tempo smesso di sperimentare, di azzardare. Si fa buon viso ad una generale, pervasiva impressione di stantio pur di non perdere quel poco di certo che è rimasto ed allora i protagonisti, le idee non si aggiornano mai veramente, costringendo le menti più spericolate a cercare ventura presso altri lidi. Sarà il timore dell’ennesima sconfitta? O una sorta di resistenza alla necessità di passare il testimone? Non è questa la sede per un’analisi approfondita al riguardo. Il dato che qui importa è che siamo una generazione, sostanzialmente, di autodidatti e, soprattutto, autofinanziati.

Ma anche l’autofinanziamento, in una fase di recessione che va avanti – almeno – da sei anni, abita poche tasche fortunate. Così a qualcuno è venuto in mente che si poteva applicare il principio della raccolta fondi tipico delle opere di beneficenza, all’impresa in tutte le sue forme, sfruttando l’ineguagliabile potere di diffusione di Internet.

Se la prima forma di finanziamento collettivo, come si legge in Il crowdfunding in Italia (di Umberto Piattelli, edito da Giappichelli), viene fatta risalire alla fine dell’Ottocento – precisamente alla campagna di donazioni che Joseph Pulitzer lanciò sul World per la costruzione del piedistallo destinato a sorreggere la Statua della Libertà -, le prime raccolte di fondi online si sono invece diffuse nella seconda metà degli anni ’90 del secolo scorso, a scopo di beneficenza.

Nel corso degli anni 2000 si sono poi sviluppate piattaforme online per l’erogazione di micro-prestiti fino ad arrivare al lancio di piattaforme “specializzate” come KickstarterIndiegogo, veri colossi del settore. Gli esempi di prodotti di successo finanziati tramite crowdfunding sono numerosi e dei più vari, dalla penna 3Doodler che scrive in 3D allo smartwatch Pebble, passando per campagne politiche, libri, bambole, progetti mecenateschi, attività imprenditoriali e chi più ne ha più ne metta, per un volume di affari che si aggira intorno ai due miliardi di euro l’anno.

3doodler

Il crowdfunding si differenzia in base alla causa, diremmo in termini giuridici, dell’investimento: si va dal modello donation based, animato da puro spirito di liberalità, a quello reward based, che prevede una ricompensa o un premio di tipo non monetario (gadgets, sconto sul prodotto finito, anteprima del prodotto, e simili) variabile a seconda dell’entità del versamento; fino ad arrivare a modelli con scopi più remunerativi, quali il lending based, in cui la piattaforma stessa eroga micro-prestiti ai richiedenti utilizzando il capitale raccolto con i finanziamenti, ovvero consente lo scambio direttamente tra i privati, ed il più recente equity based, in cui con veri e propri investimenti nel capitale sociale di una società (generalmente una start-up) i finanziatori condividono il rischio d’impresa con il socio fondatore e ne condividono i frutti.

È chiaro che una movimentazione di denaro di tali proporzioni non possa passare inosservata agli occhi dei legislatori nazionali. Non si tratta più di semplici donazioni per la gloria di un ringraziamento nei titoli di coda, bensì di affari. Va così sulla scena virtuale l’incontro/scontro fra due dimensioni lontanissime per statuto e funzionamento: da un lato i tradizionali modelli di scambio, rigidamente disciplinati dalle legislazioni poste a tutela dei soggetti contrattualmente più deboli e da regole fiscali sempre più stringenti; dall’altro lato l’inafferrabile, dinamica, (quasi) totale democrazia connaturata alla rete. Dopo il J.O.B.S. Act del 2012 negli Stati Uniti (quello vero, in cui la parola JOBS ha un senso in quanto acrostico e non in quanto vezzo yankee-giovanilistico), l’Italia, in cui il fenomeno è in dirompente crescita, è stato il primo Paese europeo a disciplinare il crowdfunding, nella forma equity based, con il regolamento Consob 18592 del 2013, adottato in forza degli artt. 50 quinquies e 100 ter inseriti nel T.U.F. dal d.l. 179 del 2012. La portata di tale regolamento non risiede tuttavia nel fatto che ci fregia di un primato giuridico rispetto al resto del mondo, o meglio non solo, essendo pur sempre un tentativo di cristallizzazione di un processo tuttora in evoluzione; la vera rivoluzione sta piuttosto nel processo di formazione che lo ha preceduto, dal momento che gli utenti hanno avuto la possibilità di esprimersi sul contenuto offerto in pubblica consultazione, fornendo spunti e suggerimenti attraverso discussioni pubbliche su Internet e dando vita ad una delle prime esperienze di legiferazione “dal basso”.

crowdfunding

Daniela Castrataro, presidente di Italian Crowdfunding Network, la chiama democratizzazione dei capitali e, considerando la portata ed il ritmo di crescita di tale nuova forma di finanziamento su scala mondiale, è difficile non trovarsi d’accordo. Attraverso il crowdfunding si realizza un incontro più che ravvicinato tra domanda ed offerta, ma soprattutto un incontro consapevole. L’utente investe sul prodotto che desidera, l’offerente ha una percezione concreta del suo possibile successo. È interessante inoltre rilevare che nei Paesi in cui si è maggiormente sviluppato l’equity based crowdfunding o il social lending, non si sono riscontrate frodi o grandi fallimenti, pur in presenza di tassazione e regolamenti dalla maglie meno strette, a vantaggio di una crescente fiducia nel “sistema”; anzi, in Paesi come il Regno Unito, entrambi i modelli crescono e si radicano sempre più nel mercato. E se da un lato si tratta di uno strumento ancora poco diffuso rispetto a quelli tradizionali, c’è da aspettarsi che in breve tempo aumenterà le sue proporzioni: basta dare un’occhiata ai rapporti Crowdfuture.

Si rende pertanto necessario ragionare sul futuro dei modelli finanziari, sulle nuove forme che assumeranno e sulle condizioni di convivenza accanto ai modelli tradizionali, con tutte le conseguenze che ne derivano sui rapporti di potere. Più in generale, urge riflettere con lungimiranza sul futuro della vita socio economica del XXI secolo e considerare il ruolo che le regole giuridiche e l’informazione saranno in grado di giocare, su una scala così ampia, nei rapporti fra economia e democrazia.

a cura di Margherita Berardi

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