John Landis: risate di terrore

John Landis

John Landis, una carriera in bilico tra horror e commedia, Animal House e Ai confini della realtà, The Blues Brothers e Un lupo mannaro americano a Londra, Amore all’ultimo morso e Una poltrona per due

L’outsider della New Hollywood compie 65 anni, rimanendo fedele al suo cinema corrosivo e provocatorio, senza mai dimenticare un consiglio ricevuto da Hitchcock

Ha firmato alcune delle più importanti commedie americane a cavallo tra gli anni ’70 e gli ’80. Ha lanciato nel firmamento cinematografico l’amico John Belushi. Ha tenuto a battesimo sul grande schermo una generazione di comici, da John Candy a Dan Aykroyd, da Chevy Chase e Eddie Murphy. Ha scoperto la vena brillante di “insospettabili” come David Bowie, Michelle Pfeiffer, Anne Parillaud. I suoi film impertinenti, corrosivi, frenetici hanno dato la scalata ai pregiudizi della critica, imponendosi come classici e dandogli un posto di primo piano tra i registi-simbolo della generazione post-’68.

John Landis però non ama affatto la qualifica di autore e la grande intuizione dei suoi film sta soprattutto nell’aver saputo portare nel cinema ufficiale le pulsioni e le provocazioni underground degli anni ’70. Non è una caso che le sue radici di regista di commedie affondino nell’horror. Un horror in cui già si intravede quella goliardia che accompagnerà tutta la sua opera e che il regista continuerà a praticare ampiamente in tv.

Nato a Chicago il 3 agosto 1950, John Landis incontra il cinema a otto anni. La madre lo porta a vedere Il settimo viaggio di Sinbad. Stregato dalla visione, il bambino chiede: “Chi è che fa i film?”. Probabilmente Mrs. Landis ripenserà a quella risposta per sempre: “Il regista”. A 16 anni John abbandona la scuola per lavorare come fattorino alla 20 Century Fox. Fa l’uomo di fatica e la comparsa, anche vestito da scimmia in pellicole di fantascienza. Un vero inizio da autodidatta, in curiosa controtendenza con la generazione di registi “universitari” suoi coetanei: Coppola, De Palma, Lucas, Spielberg, ecc.

Le mansioni di fattorino gli consentono libero accesso ovunque. Entra in confidenza con molti “grandi” degli Studios. Su tutti, Alfred Hitchcock, che un giorno gli consiglia, se vuole fare il regista, di indossare la cravatta sul set, segno di autorità e di rispetto per il lavoro. Consiglio che John seguirà spesso.

Forse deriva dalla conoscenza con Hitch anche la tradizione delle comparsate nei suoi film. Non sue ma di altri registi. Negli anni, numerosi amici e colleghi sfilano nelle sue pellicole: David Cronenberg, Steven Spielberg, Frank Oz, Dario Argento, Don Siegel, Lawrence Kasdan, Jonathan Demme e molti altri.

Nel 1973 esordisce alla regia con un horror-splatter a basso costo, Slok. Tra il 1978 e il 1980, il dittico che farà la fortuna sua, di John Belushi e della banda del Saturday Night Live: Animal House e The Blues Brothers. Soprattutto nel secondo film emerge l’amore del regista per la musica e l’importanza che gli attribuisce per lo svolgimento del racconto. Scrivendo la saga di Jake ed Elwood, Landis e Dan Aykroyd intendono compiere un “atto di giustizia”, dare il giusto riconoscimento alla musica anni ’60 mentre nel mondo impazza la disco.

Nell’81 torna al cinema “di paura”, con Un lupo mannaro americano a Londra, un classico del gotico-adolescenziale, premiato con l’Oscar per il miglior trucco. L’idea del film risale al 1969, quando il 19enne attrezzista Landis, in Jugoslavia al seguito della troupe del film I guerrieri, si imbatte in un funerale zingaro: il morto era un assassino e viene sepolto in piedi, avvolto in rosari e collane di aglio, perché non possa resuscitare e uccidere ancora. Il film convince Michael Jackson a proporre proprio a Landis di dirigere il suo celebre videoclip Thriller che diventerà l’album più venduto nella storia del pop.

Nel 1982, la tragedia: sul set di Ai confini della realtà, una serie di gravissime imprudenze causa un incidente di elicottero in cui muoiono il protagonista Vic Morrow e due bambini che lavorano come comparse. Il regista deve affrontare un processo per omicidio colposo che si concluderà alla fine degli anni ’80 con la sua assoluzione ma con la condanna della Warner a risarcimenti milionari. La figlia di Morrow, l’attrice Jennifer Jason Leigh, continuerà per tutta la vita ad accusare Landis come principale colpevole del disastro.

La carriera del regista prosegue comunque con titoli che fanno epoca, con una forte tendenza alla parodia: il genere à la Frank Capra con Una poltrona per due, il film di spionaggio con Tutto in una notte e Spie come noi, il western de I tre amigos. Con la fine del decennio si dedica a progetti dalla minore forza satirica: sfrutta con successo le doti trasformistiche di Eddie Murphy ne Il principe cerca moglie (1988); va meno bene il tentativo di convertire Sylvester Stallone alla commedia con Oscar – un fidanzato per due figlie (1991).  Nel 1992, con Amore all’ultimo morso, si cimenta addirittura in una commistione tra il genere vampirico e il film di mafia.

I sequel non gli riescono bene: va male con Beverly Hills Cop III; Blues Brothers – Il mito continua rasenta il sacrilegio. Negli anni 2000 si dedica prevalentemente a varie serie horror in tv. Nel 2010 torna sul grande schermo, armato ancora una volta di humour nero, con Ladri di cadaveri, basato sulla vera storia dei delitti del duo criminale Burke-Hare, nella Edimburgo di inizio ‘800.

Per sua stessa ammissione, alla base della sua idea di cinema come punto d’incontro tra comicità e paura, c’è una celebre battuta del leggendario Lon Chaney, pioniere del terrore sullo schermo. Nel 1924, quando gli chiedono perché abbia interpretato un killer con le fattezze buffe di un clown in He Who Gets Slapped, Chaney dà una risposta storica e lapidaria che si stamperà in più di una memoria: “Non c’è niente di buffo in un clown al chiaro di luna”.

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