Vivian Maier. Gli occhi di New York e Chicago

Vivian Maier. Una fotografa ritrovata

“Vivian Maier. Una fotografa ritrovata”. Gli scatti furtivi e il meraviglioso mondo della Rolleiflex della tata-fotografa in mostra, fino a gennaio, a Milano.

“Oh pensa a come sarebbe bello se potessimo passare attraverso lo specchio!. Sono sicura che ci sono delle cose bellissime la dentro!. Facciamo che ci sia un modo per passarci attraverso, facciamo che sia diventato tutto come un leggero velo di nebbia…ma guarda…si trasforma!. Sarà facile passare adesso”

L. Carrol, Attraverso lo specchio

Questa citazione serve a comprendere cosa accade al mondo che viene ricreato una volta attraversate le lenti di quell’apparecchio, comunemente chiamato macchina fotografica e di cui Vivian Maier è un’ottima rappresentante.

Vivian Maier nasce il 1° febbraio 1926 a New York, una donna capace di immortalare la vita e le persone di un mondo fatto di bianchi e neri come la sua storia. Tata-fotografa nella New York e Chicago di circa mezzo secolo fa, compra la sua prima Rolleiflex nel 1952. Attraverso le sue immagini, create con una Rolleiflex, si comprende il talento di una non professionista, che comunque può stare alla pari di Diane Arbus, altra grande artista nata negli anni ’20. Il  considerare che non c’era una professionista dietro l’obiettivo, bensì una comune persona col cromosoma “F” della fotografia, è probabilmente l’aspetto che più colpisce di questa persona.

La mostra a lei dedicata, “Vivian Maier. Una fotografa ritrovata”, è curata da Anne Morin e Alessandra Mauro e realizzata su un’iniziativa di Fondazione Forma per la Fotografia in collaborazione con la Camera di commercio di Milano e Contrasto. Forma Meravigli offre 120 fotografie in bianco e nero realizzate tra gli anni Cinquanta e Sessanta, oltre ad alcune immagini a colori scattate tra gli anni Settanta e Ottanta, e dei filmati in super 8 che mostrano il vicino contatto tra la tata e i suoi soggetti.

Sino al 31 gennaio 2016 presso la fondazione Forma Meravigli (Milano, via Meravigli 5), è possibile immergersi in quell’atmosfera di mistero proposta da una selezione dei suoi scatti: autoritratti, ritratti, strade e momenti di vita quotidiana, sono il corpus di questa mostra di rilevante impatto visivo. I suoi ispiratori principali erano i bambini, gli anziani, i personaggi insoliti e marginali. Furtivamente realizzati, i suoi scatti mostrano particolari o dettagli delle persone, inconsapevoli di ciò e perciò naturali.

Come scrive Marvin Heifermann nell’introduzione al catalogo “Vivian Maier. Una fotografa ritrovata”: “Seppur scattate decenni or sono, le fotografie di Vivian Maier hanno molto da dire sul nostro presente. E in maniera profonda e inaspettata… Maier si dedicò alla fotografia anima e corpo, la praticò con disciplina e usò questo linguaggio per dare struttura e senso alla propria vita conservando però gelosamente le immagini che realizzava senza parlarne, condividerle. o utilizzarle per comunicare con il prossimo. Proprio come Maier, noi oggi non stiamo semplicemente esplorando il nostro rapporto col produrre immagini ma, attraverso la fotografia, definiamo noi stessi”.

La magnificenza delle sue foto sta nello scatto furtivo che riusciva a realizzare (all’epoca consentito della Rolleiflex). La storia di Vivian Maier resta tuttavia alquanto oscura. Le stesse persone che l’hanno conosciuta danno, ad esempio, versioni diverse sulla sua identità, come visibile anche nelle interviste del documentario “Alla ricerca di Vivian Maier. La tata con la Rolleiflex” di John Maloof e Charlie Siskel. Joel Mayerowitz, nel documentario, spiega che le foto della Maier sono il risultato di “quel momento magico in cui si sentono due presenze vibrare all’unisono, per poi sparire l’istante dopo. Di certo c’è che la tata non voleva che la sua vita fosse a conoscenza della gente, un segreto che coltivava dando nomi falsi a chi la assumeva o tenendo sempre la sua camera chiusa a chiave, intimando “Non aprite mai la porta della mia camera!”.

Ombra e luce, pazzia e arte, sono binomi presenti nella vita degli artisti (anche in quella della Maier). Infatti questa sua scelta di restare “invisibile”, ma allo stesso tempo di essere una affettuosa tata fa pensare che fosse vittima di sofferenza e disagio. I vari autoritratti realizzati tra ombre e specchi, fanno pensare che fosse alla continua ricerca di se stessa e di un posto nella società. I suoi lavori vennero casualmente trovati da John Maloof nel 2007 quando a un’asta acquistò (a scatola chiusa) delle foto su Chicago e oggi ci vengono in gran parte restituiti dalla mostra “Vivian Maier. Una fotografa ritrovata”.

A cura di Lorenzo Polenta.

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