Buster Keaton, l’acrobata impassibile

Buster Keaton

Se ne andava 50 anni fa Buster Keaton, il comico dalla faccia perennemente seria. Sommariamente associato allo stereotipo del divo del muto spazzato via dal sonoro, è stato uno dei cineasti più innovativi del suo tempo e un artista che non ha mai perso l’ottimismo.

A 6 mesi ruzzola giù dalle scale e scoppia in lacrime, illeso, sotto gli occhi di Harry Houdini che esclama: “That’s buster!” (“Che fenomeno!”). Suo padre che, in società con il leggendario illusionista, gestisce una piccola ma agguerrita compagnia di spettacolo viaggiante, decide che il nome del suo primogenito non sarà più Joseph, come vuole la tradizione familiare, ma Buster.

Nel vaudeville, al cinema, in televisione, per decenni Buster Keaton solcherà le scene passando più o meno indenne attraverso disastri di ogni tipo, senza mai perdere la sua aria impassibile. A volte un po’ stupefatta, ma impassibile. Quasi a indicare come niente di quelle catastrofi possa realmente scalfirlo. Metafora perfetta della parabola di uno dei più grandi autori del cinema muto, capace di molteplici cadute e resurrezioni.

Buster Joseph Frank Keaton nasce il 4 ottobre 1895, mentre la compagnia teatrale dei genitori fa tappa a Pickwick, nel Kansas. Poco tempo dopo, la cittadina verrà spazzata via da un ciclone. Le radici e la casa del piccolo Buster sono sempre e solo sul palcoscenico. L’ambiente della sua famiglia è quello del vaudeville, il varietà di origine francese che, negli USA di fine ‘800, viene praticato da compagnie itineranti che viaggiano incessantemente per il Grande Paese proponendo comicità, musica, acrobazie, poesia, prosa, spettacoli drammatici. Costo del biglietto: 10 cents.

Sua madre, Myra Cutler, è figlia di un importante impresario del settore ed è una provetta musicista. Suona violino, cornetta, pianoforte e sarà – racconta il figlio – la prima donna sassofonista a calcare le scene negli Stati Uniti. Suo padre Joe è figlio di un mugnaio, è entrato nella compagnia del futuro suocero come uomo di fatica ma ben presto si impone come ballerino e ottimo cascatore e acrobata.

Buster esordisce ufficialmente accanto ai genitori a 4 anni, ma è attratto magneticamente dalle luci della ribalta – gli raccontano – fin da neonato. Nel 1899 i genitori iniziano a impiegarlo nelle loro gag spericolate. Viene lanciato in aria, girato a testa in giù, usato come proiettile umano, fa capriole, capitomboli, salti mortali. Prima di imparare a leggere e scrivere, sa già tutto su come cadere, come incassare le finte botte (spesso la differenza con quelle vere è labile) e le bastonate che papà e mamma si scambiano freneticamente e assestano anche a lui, mentre la platea ride a crepapelle. Questa via acrobatica e spericolata all’avanspettacolo viene molto apprezzata dal pubblico. Il numero de “I Tre Keaton” è applauditissimo. Ma questo bambino usato in scena come “straccio umano” diventa anche un caso politico che suscita le ire della Società di New York per i Diritti dei Bambini. Dopo una dura battaglia legale, Buster potrà continuare a esibirsi ma i genitori dovranno rinunciare a impiegare i due figli minori, Harry e Louise.

La sua carriera scolastica dura un giorno. I genitori si lasciano convincere a iscriverlo in una scuola del New Jersey. È sicuramente l’unico bambino di sei anni a conoscere uno sterminato repertorio di battute da cabaret e le propone per tutta la mattinata. Nel suo libro Memorie a rotta di collo, scritto con Charles Samuels nel 1960, Keaton racconta così il momento dell’appello: “Smith?”. “Presente!”. “Johnson?”. “Presente!”. “Keaton?”. “Oggi non ce l’ho fatta a venire”. La classe scoppiò a ridere e anche la maestra fece un sorriso. A fine giornata viene espulso.

La sua unica scuola restano i 16 anni di teatro, dalla prima infanzia alla maggiore età. Sono tempi eroici e spericolati. Si va in scena costi quel costi. Pesti, doloranti, febbricitanti, fratturati. Gli impresari non sentono ragioni. Una volta, al Grand Theatre di Pittsburgh, prima che vadano in scena, una pazzo salta sul palco con una pistola in mano, minaccia la cantante che si sta esibendo e poi si spara in testa. Il pubblico resta più o meno al suo posto, lo spettacolo viene fatto continuare. La stessa cantante, in preda a una crisi isterica, è costretta a finire il suo numero.

Ben presto, Buster si accorge che se, nei suoi rovinosi capitomboli, dà l’impressione di divertirsi, il pubblico ride di meno. Se invece resta serio, le risate aumentano. L’impassibilità diventa il suo marchio di fabbrica.

buster keaton

Come molti artisti della sua generazione, Keaton padre rifiuta le offerte del cinematografo, considerandolo una moda di passaggio. Buster non la pensa così. Nel febbraio 1917 a New York conosce Roscoe “Fatty” Arbuckle, in quel momento l’attore più pagato d’America dopo Charlie Chaplin. “Arbuckle il ciccione”, idolo incontrastato dei bambini, i cui film sbancano da costa a costa, ha appena rotto con lo storico produttore Mack Sennett e si è messo in proprio. Buster esordisce così nel cinema, diretto da Arbuckle, in The Butcher Boy (1917). A teatro guadagnava 250 dollari a settimana. Con il cinema, 40. Ma ha ormai capito che lo schermo è il futuro. Con Fatty realizza 15 cortometraggi.

Dopo 8 mesi di guerra in Francia, si toglie la divisa e torna sul set. Dopo aver interpretato il lungometraggio The Saphead, esordisce alla regia con The High Sign (1920).

Fatty Arbuckle buster keatonÈ uno dei pochissimi amici a rimanere fedele a Fatty Arbuckle, quando la sua carriera e la sua vita vengono stroncate dal primo grande scandalo hollywoodiano. Il 6 settembre 1921, Fatty viene accusato di aver violentato e ucciso, schiacciandola col suo peso, l’attrice Virginia Rappe, durante un frenetico party in un albergo di San Francisco. La stampa condanna da subito l’eroe dei film per famiglie ed apre una furibonda campagna accusatoria contro la capitale del cinema. Mai condannato in tre gradi di giudizio, scagionato con formula piena, l’attore ne uscirà completamente rovinato. Keaton si batte incessantemente a favore dell’amico e gli trova lavoro come regista sotto falso nome. Ma il pubblico ha ormai voltato le spalle all’ex campione dello schermo, trasformato dai giornali in un mostro. Roscoe Fatty Arbuckle muore a New York, solo e in miseria, nel 1933.

Gli anni ’20 per Buster Keaton sono quelli dei grandi successi, come Lo spaventapasseri, La casa stregata, The three ages, La palla n. 13, Io e la vacca, Come vinsi la guerra, The Cameraman. Forte della sua preparazione acrobatica, gira senza controfigura scene pericolosissime. Usa la cinepresa per architettare trucchi visivi, illusioni ottiche, effetti speciali. È il primo regista a rendere la tecnica cinematografica parte integrante nella costruzione del meccanismo comico. La filosofia del suo personaggio è quella del self-made man, dell’uomo comune che non cede di fronte alle avversità e, dopo un periodo di disorientamento e varie peripezie, conquista la vittoria, l’amore, la felicità (?). Il tutto sempre con un atteggiamento assolutamente distaccato, come a voler dare per scontate le incredibili difficoltà da affrontare.

Nel 1928 commette quello che definirà il peggior errore della sua vita. Nonostante il consiglio contrario dei colleghi Charlie Chaplin e Harold Lloyd, e contro la sua stessa volontà, permette al suo produttore Joe Schenck di vendere i suoi studios, la Keaton Comedies, alla nascente Metro Goldwyn Mayer. Buster continua a sfornare ottimi film ma la sua creatività ne risulta inevitabilmente imbrigliata. Con l’avvento del sonoro inizia un periodo di transizione molto delicato per la Settima arte. I primi film parlati di Buster, The Hollywood Revue e Free and Easy, sono comunque dei successi. Anche se la dimensione ideale della sua comicità è quella del muto, le difficoltà della seconda parte della sua carriera sono probabilmente dovute più alla mancanza di autonomia creativa che non ai drastici cambiamenti della tecnica cinematografica.

Gli anni ’30 si aprono con un divorzio e qualche ruolo sbagliato, come Il milionario e Viva la birra, titolo amaramente ironico, visto che per l’attore iniziano i seri problemi di alcolismo, che toccheranno l’apice tra il 1933 e il 1935.

Nei 15 anni successivi realizza cortometraggi per la Educational Pictures, fa lo sceneggiatore per i fratelli Marx, gira qualche film di poco conto all’estero. Significative le sue brevi apparizioni in Viale del tramonto di Billy Wilder (1950) e Luci della ribalta di Charlie Chapin (1952).

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Torna al successo negli anni ’50 grazie alla tv con The Buster Keaton Show e numerose partecipazioni in importanti programmi; è l’ospite d’onore in molti spettacoli circensi in America e in Europa.

Nel 1960 riceve il solito, tardivo, Oscar alla carriera. Nel ’63 la Mostra del Cinema di Venezia gli dedica una retrospettiva. Interpreta il cortometraggio Film, tratto da un soggetto di Samuel Beckett, nel 1965. Lo stesso anno è in Italia per Due marines e un generale, con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Il suo ultimo ruolo è in Dolci vizi al foro. La famiglia gli nasconde di essere malato terminale. Buster Keaton si spegne il 1° febbraio 1966 per un cancro ai polmoni.

“Come tutti, a me piace stare con la gente allegra” scriverà nelle sue memorie “Questo è il più grande piacere e il privilegio del comico: l’essere stato insieme a tanta gente felice, che lui stesso ha fatto ridere con le capriole e le altre pagliacciate”.

Sommariamente associato allo stereotipo del divo del muto spazzato via dal sonoro, l’impassibile Buster rimane il cineasta forse più tecnicamente innovativo degli anni ’20. E un artista che, a dispetto della sua aria imperturbabile, ha saputo attraversare mezzo secolo di carriera, e di forti avversità, senza perdere la sua inesauribile carica di ottimismo.

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