Dolce e Gabbana si spingono oltre le barriere culturali e di genere. Una moda per il mondo musulmano, un modo per rendere il velo “fashion”. Ma anche un escamotage per conquistare il mercato islamico e aumentare i propri guadagni.
Inutile dire che il marchio di Dolce e Gabbana sia stato un pilastro importante per tutta la generazione modaiola italiana a partire dagli anni ’80. Sono lontani gli anni in cui il duo di stilisti portava avanti la battaglia dei reggiseni in vista o della donna sensuale e mediterranea con i suoi abiti scuri e pizzi sapientemente posizionati. La globalizzazione apre nuove vie e soprattutto nuovi scambi culturali ed economici e bisogna allargare i propri orizzonti (o mercati?).
Infatti una ricerca della società d’informazione “Thomson Reuters” ha dimostrato che l’anno scorso i consumatori arabi hanno speso quasi 300 miliardi di dollari in abiti e accessori, nel 2019 ne sborseranno 500. Ed effettivamente Dolce e Gabbana non sono stati i primi a voler creare una collezione ispirata al mondo orientale: la prima a farlo fu Donna Karan nel 2014, seguita a ruota dal brand a stelle e strisce Tommy Hilfiger. Poi sono arrivati anche i marchi low cost Zara, Mango e H&M, che ha fatto posare la modella di origini arabe Mariah Idrissi.
Ma tornando alla collezione in questione, resa pubblica nei primi giorni di gennaio 2016, questa prende il nome di Abaya. Questo termine fa riferimento alle lunghe tuniche nere utilizzate dalle donne arabe.
Oltre che ritrovare questo capo di abbigliamento, possiamo notare l’attenzione che il duo di designer ha posto su un altro accessorio utilizzato dalle donne musulmane: lo hijab. Il velo con cui le donne islamiche avvolgono il proprio volto, celandolo parzialmente alla vista altrui.
Su esso sono nate molte polemiche e discussioni ma, oltrepassando l’argomento dal punto di vista sociale e religioso, possiamo concentrarci sull’attenzione e la cura per il dettaglio che Dolce e Gabbana ha avuto nella realizzazione di una moderna versione del velo islamico. Sono stati inseriti tutti gli elementi tipici della loro casa di moda, come pizzi, pietre, stampe floreali (soprattutto le margherite in gran voga nelle loro ultime collezioni).
In più la palette di colori utilizzata è molto neutra: il nero, il grigio, il bianco e il beige. Di certo, però, non si sono risparmiati con gli accessori: orecchini, bracciali e collane lunghe in vista, occhiali con montature extra large impreziositi da inserti a forma di limone ed elegantissime borse in pelle.
Insomma, la femminilità non è un requisito occidentale e addirittura un velo può diventare attraente e modaiolo.
Ma, come ogni scelta rischiosa, la polemica è sempre dietro l’angolo. Soprattutto sulla stampa mediorientale: “Le modelle scelte non vanno bene (sono chiaramente europee, ndr) e gli abaya sono passati di moda” ha tuonato la creativa saudita Nabila Nazer. “Mi piace l’idea ma non il modo in cui è stata realizzata. Se avessero studiato meglio, avrebbero compreso che questi capi per noi non rappresentano più una novità”.
Sulla Rete sono nate delle squadre diametralmente opposte: quella favorevole alla collezione, fatta di tantissime donne e under 25 che hanno ringraziato gli stilisti per aver finalmente pensato a loro; e quella contraria, con l’hashtag “nothanksD&G” e il commento più ritwittato che recita “Il mio hijab non è una dichiarazione di moda. Preferisco pregare Allah per conto mio”.
Un’iniziativa del genere non poteva accontentare l’intera opinione pubblica ed è stato quasi naturale che si venissero a creare degli schieramenti a riguardo, soprattutto per la strategia di mercato legata al progetto. Ma volendo per un attimo togliere spazio alla questione puramente “economica”, i riflettori vanno puntati sul risvolto sociale.
Questa collezione invita a riflettere sul pregiudizio. Cosa rende una donna orientale, con le sue tradizioni e costumi, meno femminile ed elegante di una donna occidentale? Non hanno anche le ragazze del medioriente la volontà di valorizzare e rendere più attuali i loro indumenti? E soprattutto, se la scelta di modelle palesemente occidentali non fosse stato un caso, ma una precisa intenzione di unire due culture così opposte e in combutta attraverso il mondo del fashion?
D’altronde come ci confessa Alia Khan, fondatrice e presidentessa dell’Islamic fashion and Design Council (una specie di Camera della Moda araba) : “Io voglio applaudire questa iniziativa. Domenico Dolce e Stefano Gabbana si stanno prendendo dei rischi e sono da apprezzare. Prima di tutto, hanno dedicato a migliaia di donne dei capi lussuosi ed eleganti. E poi stanno contribuendo a sfatare i pregiudizi che circolano su di noi. Troppi occidentali ci identificano con veli e sottomissione, ma siamo molto di più. E vedere questa collezione sulle riviste e sulle pubblicità permette agli europei di familiarizzare con noi, di capirci.”