Leo Pari tra musica, amore e “spazio”

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Dopo l’uscita del suo ultimo album abbiamo parlato con Leo Pari delle sonorità dei suoi pezzi, della sua crescita musicale e di molto altro.

Il 21 aprile scorso è uscito, per Gas Vintage Records, il nuovo album di Leo Pari “Spazio”, in cui prevalgono i sintetizzatori e le tastiere. Le dieci canzoni sono frutto di un grande lavoro di sperimentazione e la ricchezza di questo disco è fuori discussione. Il sound è ricercato ma immediato e l’impronta cantautorale si percepisce nei suoi testi particolari, mai banali, raffinati, sempre bellissimi. Quinto album dell’artista e terzo di una trilogia iniziata con “Rèsina” (2011) e proseguita con “Sirèna” (2013), “Spazio” è un disco profondamente diverso dai precedenti di Leo Pari e noi vogliamo invitarvi ad ascoltare tutti perché davvero meritano la vostra attenzione.

Questo è quello che l’artista ci ha raccontato di lui.

Ciao Leo, vuoi raccontare ai nostri lettori come è nato il tuo nuovo album “Spazio”?

“Spazio” è un disco che è nato con le idee piuttosto chiare, perché avevo in mente fin dall’inizio che sound dovesse avere, sapevo che volevo un album in cui ci fossero poche chitarre, che invece avevano abbondano nei miei lavori precedenti e volevo un sound tastieristico, pieno di sintetizzatori. Avevo un’idea ben precisa. Ho chiamato Sante Rutigliano, che ha prodotto insieme a me questo disco e gli ho fatto sentire le canzoni che avevo già scritto, ne avevo più di trenta e insieme abbiamo scelto quelle che più si potevano adattare al tipo di sound che volevo, canzoni con accordi abbastanza semplici e ripetuti. È stato un lavoro lungo e sperimentale ma alla fine sono molto contento e soddisfatto del risultato.

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Foto di Ilaria Magliocchetti

Si, è un disco molto bello e soprattutto pieno.

Si è pieno di roba, volevo fare un disco che raccontasse i suoni della mia infanzia, quello che ha segnato la mia adolescenza da video dipendente. Non sono mancate le sonorità prese da telefilm, colonne sonore di film di fantascienza, anime giapponesi. Mi sono ispirato molto al suono di Giorgio Moroder e all’elettronica anni ’80, quella di Vangelis e di Jean Michel Jarre. Diciamo che la scelta di usare i sintetizzatori è stata un po’ dettata da questi ascolti che ho sempre fatto. Le canzoni poi si sono tutte amalgamate l’una con l’altra grazie a questo suono che le ha rese piuttosto omogenee. Credo che “Spazio” sia un disco molto omogeneo che dall’inizio alla fine ti lascia su un piano sonoro, su un certo tipo di sensazione.

Hai detto di aver scritto circa trenta brani e che poi hai dovuto fare una scelta. Che pensi di fare con quelli che non hai inserito in questo disco?

Ci sono tante possibilità, alcune verranno utilizzate sicuramente; capita spesso di avere canzoni in più che rimangono da qualche parte, magari le suonerò più avanti. Alcune sono state scartate perché di impianto folk anche se mi piacevano molto e sicuramente le realizzerò in futuro in un contesto differente, ma in questo disco non avevano proprio una collocazione, erano un po’ lontane dal sound che avevo deciso di dare a “Spazio”. Magari qualcuna la cederò, mi è capitato in passato di dare mie canzoni ad altri anche con un discreto esito.

Si, sappiamo che hai scritto per Simone Cristicchi “Vorrei cantare come Biagio Antonacci” e “La prima volta che sono morto”, brano andato anche al Festival di Sanremo. A questo proposito secondo te quanto è importante per la crescita di un artista collaborare con altri musicisti? Scambiarsi le idee, le sensazioni e magari anche condividere gli stessi palchi…

Io credo che ci siano artisti molto bravi nel loro ripetersi, mentre per altri il punto di forza sta nel cambiare sempre. Penso a De Andrè per esempio la cui forza è stata questa grande costanza, l’essere sempre riconoscibile per un certo tipo di approccio musicale, molto acustico e molto folk a differenza di un Lucio Battisti che invece si è reinventato tante volte lasciando sempre un suo stampo ben preciso, però c’è un abisso tra il Battisti degli anni ’70 e il Battisti che faceva i dischi con Panella. Io penso di appartenere più alla seconda categoria, sono uno di quelli che ha trovato il suo punto di forza nel cambiare, nell’immedesimarsi in diversi ruoli musicali, ho fatto dischi piuttosto diversi l’uno dall’altro, all’inizio facevo una specie di Rap. Ero pazzo. Delle volte l’eclettismo può portare anche ad esperimenti non proprio ben riusciti ma ci sta, mi piace sperimentare e con “Spazio” credo  di essere riuscito a distanziarmi da quello che avevo fatto finora però mantenendo sempre una mia identità come autore.

Tu hai fatto e fai molto POP. Perché secondo te in Italia si parla di questo genere come fosse la peste?

Dipende. In questo momento invece in quella che si definisce scena indie il pop è il mood che va per la maggiore, soprattutto tra gli artisti della cosiddetta scena romana, siamo tutti decisamente pop. Evidentemente a Roma c’è quest’aria. Non credo sia visto come la peste nera, anzi, credo che la parola pop stia riconquistando la sua valenza positiva che è giusto che abbia perché pop per me sono i Coldplay, i Beatles, i Tame Impala. Però farei una distinzione con la musica leggera, l’importante per me è non fare musica leggera e non essere banali anche se purtroppo i nostri network ci propinano una quantità di banalità spropositata. Fortunatamente ci sono radio più indipendenti che fanno invece un buon lavoro, mi vengono in mente Radio Città Futura, Radio Rock, Radio Città Aperta.

Il tuo singolo “Bacia Brucia Ama Usa” è molto trasmesso da Radio 2…

Si sono contento, questo singolo sta passando tanto sui canali Radio Rai e su altre radio indipendenti.

A proposito di testi tu parli molto di amore, allora la domanda è d’obbligo, cos’è l’amore per Leo Pari?

L’amore che racconto in questo album è un amore forte, un amore che potrebbe raccontare un regista  in un film, infatti secondo me “Spazio” è un album molto cinematografico. Spesso i personaggi delle storie nelle canzoni sono inquadrati da angolazioni molto particolari, alcuni sono raccontati da una voce fuori campo, altri invece in prima persona, ma sono tutte storie che nascono da esperienze personali. Allo stesso tempo c’è molta fiction ed è questo il bello della canzone. Tu puoi inventarti di essere qualcuno che non sei. L’amore per me che cos’è? È tante cose. È la passione per quello che si fa, è qualcosa di duraturo in teoria, può essere una cosa bellissima come la cosa che ti fa stare peggio. È un’arma a doppio taglio, bisogna starci attenti all’amore.

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Foto di Ilaria Magliocchetti

Come ti approcci alla scrittura di nuovi brani?

In tanti modi diversi e con tanti strumenti diversi. In “Spazio” ad esempio i brani li avevo pronti, avevo fatto dei provini al pianoforte e alla chitarra e li ho fatti sentire al produttore. Però la maggior parte dei pezzi è stata terminata proprio mentre registravamo, quindi ho cambiato molte cose all’interno della struttura. L’approccio di realizzazione dei pezzi per me è sicuramente cantautorale ma c’è anche un aspetto produttivo che fa si che una canzone poi mi porti da un’altra parte. Alcune canzoni vengono dalla musica, di altre ho scritto prima il testo e poi aggiungo della musica, una canzone va anche saputa costruire nel modo giusto.

Prima abbiamo parlato di questa tua voglia di cambiamento e di sperimentazione ma ad oggi, c’è una dimensione che trovi più adatta a te o preferisci non collocarti in un contenitore specifico?

Ma guarda, io credo di aver sempre fatto canzoni e credo sia questo il mio grande contenitore, sicuramente con abbigliamenti diversi ma sempre canzone pura. Non è detto che in futuro non faccia qualcosa di più sperimentale dove magari la canzone possa anche scomparire, mi piacerebbe fare un disco di pura elettronica. In questo momento sto già lavorando a delle nuove canzoni e sto utilizzando molto i software, ossia lavoro su una base e su quella scrivo un pezzo, cosa opposta allo scrivere una canzone e poi produrla. Il bello della musica è questo secondo me, misurarsi e confrontarsi con diverse metodologie di lavoro, sono sempre stato un musicista molto istintivo senza avere alcuna certezza di cosa fare e poi in qualche modo riesco a uscirne fuori lavorando con altre persone e facendomi aiutare da loro.

Curiosità, c’è qualcosa del mainstream italiano attuale che ti piace?

Ma (esita). Francamente no. Mi piace ascoltare Tiromancino, Max Gazzé, Daniele Silvestri, che sono mainstream ma che hanno un po’ la stessa estrazione musicale da cui vengo io. Bisogna capire poi cosa si intende davvero per mainstream, perché secondo me un gruppo come I Cani ha più seguito di Dolcenera, bisogna stare attenti però perché sinceramente non so se il mainstream è quello con cui ci bombardano o quello che realmente piace alla gente.

Cosa ti ha spinto a fondare l’etichetta Gas Vintage Records?

Sicuramente è un cocktail di tante cose, voglia di fare musica, di farla in un certo modo, di un po’ di follia e tanta passione. È nata un po’ come un’etichetta folk poi abbiamo allargato i nostri orizzonti, ad esempio abbiamo appena prodotto il nuovo disco di Discoverland (Pier Cortese e Roberto Angelini) in cui ci sono rivisitazioni di canzoni note molto sperimentali vicine all’elettronica.

Sei anche tra i fondatori del Folk Fest che sta avendo un grande successo.

Il Folk Fest sta andando sempre meglio, è un’esperienza che sta prendendo piede a livello nazionale perché anche l’edizione di Milano di aprile è andata benissimo. È un’esperienza importante ma soprattutto è un mezzo di comunicazione fondamentale per un’etichetta discografica perché da la possibilità di far girare progetti nuovi in contesti dove c’è già molta gente.

Quanto è cambiato Leo Pari dal “Leo Par’s back” del 2010?

Abbastanza.  Devo dire che l’approccio con cui facevo musica in questo ultimo album è tornato ad assomigliare un po’ a quello dei primi dischi. C’è stato molto computer, il lavoro è stato molto costruito sulle tracce e abbiamo lavorato per sequenze, cosa che facevo all’inizio e che ho fatto in quell’album lì, “Non parlerò d’amore”, che avevo prodotto da solo in stanza, con un computer e una scheda audio di scarsissima qualità. Sono cambiato sicuramente più da un punto di vista compositivo, forse perché mi interessano altre cose in questo momento, non saprei darti una ragione ben precisa di questo cambiamento. La vita è fatta di tante stagioni, ci sono interessi che durano per un periodo e poi vanno a scemare naturalmente. Si cambia, si cresce, si torna anche sui propri passi e la musica è così, non è escluso che possa tornare a fare un disco simile a quello del 2010.

C’è qualcuno con cui Leo Pari sogna di collaborare?

Mi piacerebbe molto registrare un pezzo con Battiato e poi mi piacerebbe fare un pezzo con un testo di Pasquale Panella anche questo è un altro grande sogno.

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