I suoi film sono percorsi da una forte componente spirituale, con personaggi sordidi e criminali alla ricerca di una redenzione impossibile. Compie 65 anni Abel Ferrara, regista poliedrico che non ha mai allentato lo stretto rapporto con le sue origini italiane.
Presentato a Venezia due anni fa, il suo attesissimo Pasolini ha deluso la critica, che lo accusato di banalizzare la figura dello scrittore friulano. E la memoria corre ad un altro Festival in laguna, quello del 1993, quando il Presidente della Giuria Peter Weir stroncò apertamente Occhi di serpente. Nel bene o nel male, si tratta comunque di un capitolo del rapporto di Abel Ferrara con l’Italia, ulteriormente sviluppato negli ultimi anni con i documentari Napoli Napoli Napoli (2009) e Storia di Abele (2013).
65 anni il 19 luglio, autore poliedrico che si è cimentato anche con il teatro, il documentario, il videoclip, la tv, Abel Ferrara si fa notare a partire dagli anni ’80 per la forte componente spirituale e mistica presente nei suoi film. I suoi personaggi cupi e disperati si muovono in un contesto infernale, in cerca di una salvezza impossibile.
La spina dorsale della sua opera si basa sul sodalizio con lo sceneggiatore Nicholas St. John, come Ferrara di origini campane, a differenza di Ferrara, cattolico tradizionale e praticante. Il regista dichiara di non essere religioso ma di credere in Dio. In questa autodefinizione problematica c’è tutto il suo cinema alla perenne ricerca del trascendente; ci sono personaggi divisi tra il Male come condizione di vita oggettiva e la ricerca ossessiva di resurrezione, percorsi da una religiosità ancestrale.
Il cattivo tenente Harvey Keitel usa la sua posizione per vendere droga, derubare i rapinatori della refurtiva, molestare donne. Ma il suo essere un poliziotto è la chiara metafora di un senso della giustizia smarrito. Si dibatte nei vizi e nella corruzione come una belva in trappola, in una narrazione scandita in blocchi, come una Via Crucis. Indagare sullo stupro di una suora farà esplodere la sua sete di redenzione.
In King of New York e Fratelli, Christopher Walken è un gangster che non ha gli strumenti morali ed etici per realizzare quella giustizia che tanto desidera. In The Addiction, Lili Taylor è una vampira che tenta il “suicidio” per uscire dalla sua dimensione di immoralità dannata. E così via.
Abel Ferrara nasce a New York il 19 luglio 1951, in una famiglia del Bronx originaria della provincia di Salerno. Nelle interviste non dedica mai molto spazio al rapporto con la madre e le due sorelle. Dell’infanzia ricorda soprattutto suo nonno Abele (“Mi ha cresciuto lui” dichiara), grossista di uva californiana, conosce l’inglese ma in casa parla solo italiano e di cognome fa Esposito. Il cognome di famiglia viene cambiato in Ferrara dal padre, bookmaker e giocatore d’azzardo che all’inizio degli anni ’60 è costretto a lasciare la Grande Mela per la cittadina agricola di Peekskill. Qui Abel frequenta le scuole fino al diploma e conosce il socio e amico di una vita Nicholas St. John. Insieme iniziano ad interessarsi di musica e cinema.
Dopo una gavetta che non disdegna il porno, il primo vero lungometraggio della coppia è The Driller Killer (1979), horror da 70mila dollari. Il film, che non può iniziare che in una chiesa, narra di un pittore-omicida seriale che uccide le sue vittime con un trapano. C’è chi vede nell’arma un’allegoria della macchina da presa. Sarebbe allora chiaro il rimando all’occhio tagliato col rasoio nell’opera prima di Luis Buñuel Un chien andalou, metafora della vista dello spettatore spalancata su una nuova dimensione.
Il nome di Ferrara si fa strada negli anni ’80 con titoli come L’angelo della vendetta, Paura su Manhattan, China Girl e, soprattutto, King of New York, con il boss Christopher Walken che intende usare i proventi della droga per salvare un ospedale di Harlem.
La collaborazione con St. John viene sospesa da Il cattivo tenente (1992). La furiosa ricerca di Dio del poliziotto corrotto Keitel forse non convince pienamente lo sceneggiatore. La ditta si ricomporrà l’anno successivo per Occhi di serpente. Nel 1996, Fratelli, l’ultima collaborazione tra i due. E forse il loro capolavoro. Entrando nella camera ardente del giovane gangster Vincent Gallo, vegliato dai fratelli maggiori Christopher Walken e Chris Penn (che vincerà la Coppa Volpi), Ferrara affronta di petto i suoi ricordi di un ambiente familiare a volte arretrato e arcaico. Il titolo originale è The Funeral e Nicholas St. John lo scrive subito dopo la morte del figlio. Ma soprattutto, Ferrara smonta i codici e la filosofia del film di mafia. Se per Coppola e Scorsese la famiglia mafiosa è lo spartito per una moderna versione della tragedia, Ferrara la trasforma in un ambiente tribale e folle. La struttura a flashback ci mostra la corsa verso il nulla dei tre figli di un gangster morto suicida.
Gli ultimi due decenni sono quelli delle collaborazioni con Matthew Modine, Willem Defoe, Asia Argento, Gerard Depardieu e molti altri. Nel presente del regista, sembrano esserci ancora i suoi due temi cardine: l’Italia (vive a Roma da alcuni anni) e la spiritualità. Il suo ultimo lavoro è il documentario Searching for Padre Pio, dedicato al Santo di Pietrelcina.
Hard-boiled e Sacre Scritture, pornografia e teologia, cinema di genere e filosofia. Abel Ferrara sembra dunque voler proseguire in Italia il suo percorso di autore perennemente alla ricerca di una nuova morale ma lontano da ogni moralismo.