River Blonde, cuore e ritmo di un disco sorpresa

River Blonde, cuore e ritmo di un disco sorpresa

“THE HEART, THE HEALER & THE HOLY GROOVE”, le novità musicali attraverso le parole e la musica del disco sorpresa dei River Blonde.

La cosa bella di ascoltare un disco per la prima volta è scoprire quali e quante emozioni diverse può provocarci ogni singola traccia sapendo, inconsciamente o forse no, che l’idea che ci siamo fatti al primo brano, deve fare spazio a un’idea diversa e poi a un’altra ancora e così via fino ad arrivare alla fine dell’album.

The Heart, The Healer & The Holy Groove”

The Heart, The Healer & The Holy Groove” primo lavoro del duo RIVER BLONDE, è una specie di cilindro magico dal quale escono canzoni e sensazioni sempre diverse e sempre nuove. Allegria, tenerezza, sensualità, elettricità, curiosità, voglia di alzarsi e ballare. La sorpresa è la cifra stilistica di questo album i cui brani sono legati da un unico comun denominatore: il groove.

Nel disco sono presenti sette tracce originali più quattro cover prese dal grande repertorio country blues tradizionale, alle quali i River Blonde hanno dato un nuovo e personalissimo vestito. “Police Dog Blues” di Blind Blake acquista una nuova espressione, molto swing e decisamente ritmata. La seconda cover è “The Six O’clock Train and a Girl with Green Eyes” di John Hartford che, tradotta interamente in italiano, diventa “Il treno delle sei”. “Stand by me” in una versione che non ti aspetteresti mai ha un arrangiamento soffice e commovente arricchito dal suono del slide e poi c’è “Long John” che prende vita grazie a piano, mandolino e alle armonie vocali.

I brani

I sette pezzi originali, scritti da Stefano Tavernese, sono tutti curati nei minimi particolari e il suono è così ricco che sembra che a suonarli siano molte più di due persone. Ad aprire il disco non poteva non esserci “The Preacher’s Tale”, il classico brano che ti fa battere il piede sotto al tavolo, seguito da “Deep Of My Heart” una ballad acustica dal sound semplice ma decisamente intrigante e sensuale.

Il brano strumentale “The Banshee Stomp” dalle influenze etniche e celtiche è talmente bello che starebbe benissimo nella colonna sonora di un film alla Braveheart. “Maggie’s Dance” e “Sgroovin” sono gli altri due brani strumentali dell’album, nel primo prevale la slide elettrica, il secondo ha invece un andamento più funk. Chiudono il disco “Oh Mother Can You Save Me” in cui il suono è ridotto veramente al minimo lasciando così prevalere l’intensità del canto di Stefano Tavernese, e “She Would Always” il classico pezzo pianoforte e voce, quello che ti commuove e che, messo li per ultimo, ti lascia quella bella sensazione di completezza. Completezza di idee, di suoni e di arrangiamenti. Questo è “The Heart, The Healer & The Holy Groove”, musica fatta con minuzia di particolari ma con la costante della semplicità che lo rende un disco per tutte le orecchie. Ve lo consigliamo.

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Di seguito una breve intervista all’autore dei brani dei River Blonde Stefano Tavernese.

Ciao Stefano. Per cominciare ti andrebbe di raccontarci come nascono i River Blonde?

Ho iniziato a suonare pezzi dal repertorio e di ispirazione blues negli anni ’80 ma poi per un lungo periodo mi sono dedicato ad altre cose. Solo qualche anno fa, grazie all’incontro con altri musicisti con cui condividevo l’interesse per certe cose, soprattutto chitarristiche come la slide, sono tornato a un progetto concreto di questo tipo. A quel punto la prima cosa che ho cercato era un percussionista fuori del comune, qualcuno con una personalità particolare e per fortuna un amico mi ha indicato Guit-Armando Serafini con il quale tutto ha preso gradualmente una forma.

Quanto tempo avete impiegato per la realizzazione del vostro primo album  “The Heart, The Healer & The Holy Groove”?

Una manciata di giorni per registrare, diversi mesi per integrare con alcuni interventi esterni e per rifinire nel mixing. Tieni conto che abbiamo anche dovuto aspettare i permessi degli autori americani per le due cover che abbiamo utilizzato con un adattamento particolarmente evidente (una è “Stand by Me”). Inoltre, abbiamo cercato di trovare un’etichetta interessata a produrlo, nel senso di contribuire alle spese, e alla fine abbiamo optato per il crowdfunding che ci ha dato i fondi per stampare in proprio. Questo ha portato bene, comunque, perché poi abbiamo trovato un distributore, IRD e anche un’etichetta la MRM/Appaloosa.

I brani, scritti tutti da te, sono in inglese. Trovi che la lingua italiana non si adatti al vostro stile country-blues?

Non si adatta facilmente salvo casi particolari come “Il treno delle sei”, l’altra cover importante dell’album. C’è anche da dire che io canto in inglese fin da ragazzo e che la cosa viene spontanea.

Qual è la vostra opinione riguardo la scena musicale italiana attuale?

Sotto lo schermone dei vari talent-show che abbagliano tanti ragazzi in cerca di notorietà mi sembra che ci sia un certo fermento anche in ambiente indie, alternative, rock in generale. Ci sono diversi nuovi giovani cantautori che provano a cercare una loro personalità e anche la scena blues sta crescendo, andando oltre quel suono tradizionale urbano Chicago-style che è stato per molti anni l’unica proposta in questo senso. Il blues italiano sta diventando più vario e più interessante.

Quanto è difficile adesso vivere di musica?

Non poco. Con la situazione economica generale che abbiamo non è in un paese come l’Italia che si può trovare strade facili per vivere suonando. Fino a una ventina di anni fa i musicisti bravi potevano mirare a entrare nel giro professionale per guadagnare cifre sufficienti al sostentamento, ma con la sostanziale sparizione delle case discografiche e delle relative produzioni la professione musicale è cambiata. Oggi è necessario muoversi a 360 gradi e saper suonare, registrare, programmare, scrivere, e soprattutto essere pronti a cambiare a seconda della situazione.

C’è un artista contemporaneo per il quale vi piacerebbe scrivere un brano?

Non saprei… da un lato c’è un’antica affinità con songwriter intriganti come Francesco De Gregori, dall’altro ci sono lo spirito e l’essenzialità di un Ligabue. Ma forse sarebbe ancora più interessante lavorare con un giovane musicista, contribuire alla sua formazione.

Ci sono altri progetti in cantiere? Magari qualche live?

Dopo la presentazione ufficiale fatta in dicembre a Roma in un teatro gremito di gente, nel prossimo periodo continueremo a muoverci per portare in giro il nostro album. A marzo saremo a Milano al Nidaba Theatre e in altri club di Emilia e Liguria. Poi vedremo. Mentre aspettavamo che il disco trovasse una forma concreta sono nate diverse altre canzoni e pezzi strumentali, ormai c’è materiale per farne un altro.

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