Apologia dell’autismo versus i radicati preconcetti

In linea con il tema del mese di Openmag sullo stereotipo e in onore della Giornata Mondiale della consapevolezza per l’autismo, la rubrica di Terzo Settore sceglie di raccontare questo “sconosciuto” universo, dalla scoperta della disabilità alla decostruzione dei più diffusi preconcetti connessi ad essa.

Fin dalla notte dei tempi l’umanità possiede un grande privilegio da poter sfruttare: quello della comunicazione. La società contemporanea delle immagini (e da “mouse e tastiera”) però sembra voler (o saper?) fare a meno di questa capacità, rifugiandosi in frasi e aforismi preordinati e affidando le proprie opinioni ai commenti social delle fake news online. Nonostante il “bug” comunicativo comunque, l’insita possibilità di espressione, verbale o scritta e che sia di un’idea così come di un sentimento, è sempre lì. Cosa accadrebbe quindi se si fosse privati dell’opportunità? Questa è la storia di una disabilità mentale chiamata autismo, e parte dalla comprensione/ accettazione della diagnosi per arrivare allo sradicamento dei più diffusi stereotipi al riguardo, in nome di una battaglia contro l’alienazione sociale.

“Soffro di autismo”: la consapevolezza del disturbo.

Per arrivare alla decostruzione di un pregiudizio, soprattutto ben radicato nel tempo e nella mentalità di una società che per quanto riguarda l’autismo si ispira al modello stereotipato di Rain Man, è necessario compiere un lungo percorso che dalla diagnosi porti alla consapevolezza. L’autismo infatti è definito come “un disturbo del neuro-sviluppo caratterizzato dalla compromissione dell’interazione sociale e da deficit della comunicazione verbale e non verbale che provoca ristrettezza d’interessi e comportamenti ripetitivi.”

Data la varietà di sintomatologie e la complessità nel fornirne una definizione clinica coerente e unitaria, è recentemente prevalso l’uso di “Disturbi dello Spettro Autistico” (DSA o, in inglese, ASD, Autistic Spectrum Disorders). Questa definizione comprende tutta una serie di patologie o sindromi aventi come denominatore comune le caratteristiche comportamentali, a vari gradi o livelli di intensità.

Secondo la letteratura la sindrome tenderebbe a manifestarsi fin dagli esordi dell’età infantile, o comunque entro i primi tre anni di vita e riguarderebbe nello specifico tre ambiti problematici. Il primo la sfera delle interazioni sociali e dell’empatia, in particolare quando si verifica una mancata condivisione di scambi; il secondo la sfera della comunicazione, intesa sia come assenza di linguaggio che come deficit dei più comuni codici comunicativi e, infine, quella degli interessi, che si manifesta spesso con atteggiamenti stereotipati e con ossessive preoccupazioni.

La lotta allo stereotipo.

Nella lotta contro tutti gli stereotipi legati al mondo dell’autismo, viene aggiunto un tassello importante dalla ricerca (ed è emblematico come si sia fatto un grande passo avanti in concomitanza della Giornata Mondiale per la consapevolezza dell’autismo celebrata il 2 Aprile scorso): infatti proprio un articolo recentemente pubblicato sulla rivista “Scientific Reports” in collaborazione tra la SISSA (Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati) di Trieste e l’Università di Vienna dimostra che gli individui affetti da autismo hanno una risposta empatica simile a quella di una persona priva del disturbo.

Mentre il ricercatore Indrajeet Patil, primo autore della ricerca, spiega che oltretutto il tratto autistico sarebbe associato a una tendenza più forte della media a evitare di fare male agli altri, la conclusione porterebbe a comprendere che anche di fronte a scelte difficili con grosso carico emotivo, la persona affetta da autismo sarebbe in grado di elaborare un pensiero morale favorendo l’opzione meno utilitaristica.

Sfatato quindi il falso mito del “distacco emotivo”, che sembra essere dovuto ad un altro tratto caratteristico (presente spesso anche nella popolazione non affetta da autismo) chiamato alessitimia (presente quasi nel 50% dei casi di autismo); o in altre parole, mancanza di comprensione di emozioni proprie e altrui.

Realtà contro pregiudizio.

Andando oltre la semplicistica etichetta “autismo” perciò, è possibile attraverso la consapevolezza abbattere alcuni pregiudizi dettati dall’ignoranza?

In ambito l’ambito legislativo sono stati fatti enormi passi in avanti: L’Angsa, Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici, il Gruppo Asperger, Anffas e Fish riconoscono in un comunicato la Legge per l’autismo 134 del 2015 e  l’autismo è stato inserito nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) nel marzo 2017. E anche le iniziative a livello solidale sono molto aumentate, dal telefono blu per l’autismo, al registro di patologia per i disturbi dello spettro autistico. Tuttavia, le cieche convinzioni sono difficili da sradicare.

In Italia, infatti, si stima che la sindrome colpisca 1 bambino ogni 100 e che nel paese il numero di persone affette da autismo oscilli intorno ai 400 mila. E, nonostante questo, una certa parte di società, colpevole di disinformazione, non solo accusa chi è affetto da autismo di non voler comunicare con gli altri, ignorando la fondamentale differenza tra volere e sapere, ma alimenta con il fuoco il dibattito mai esaurito sulla strana correlazione tra vaccini e autismo.

Vaccini e autismo?

E’ bene ricordare, rispetto a questa falsa correlazione, non solo che non esiste al momento alcuno studio in grado di dimostrare che il vaccino esavalente provochi la sindrome, ma soprattutto che questa convinzione diffusa si basa su una falsa credenza legata ad uno spiacevole episodio verificatosi nel 1998, quando il Dottor Andrew Wakefield ipotizzò che la vaccinazione contro il morbillo, la parotite e la rosolia potesse causare autismo confessando poi di aver inventato i dati per interessi personali.

L’immagine ricorrente e “stereotipata” di un bambino con disturbo autistico seduto solo e al buio in un angolo non è altro che la riprova di una collettività che inconsapevolmente (?) decide di ostracizzare ciò che potrebbe “stravolgere” le comuni regole di comunicazione solo perché colpevole di diversità.

La lotta agli stereotipi, quindi, ha ancora una lunga strada da percorrere.

 

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