Il retake romano dei rifugiati: la rivincita degli esclusi

Il retake romano dei rifugiati: la rivincita degli esclusi

Tra le polemiche su Ius Soli e quote di redistribuzione, per le strade di Roma i rifugiati, armati si scopa e paletta, restituiscono l’immagine di persone pronte a contribuire attivamente allo sviluppo di una comunità migliore. OpenMag li ha incontrati per voi.

Non muri, ma ingressi. In una società che deve (ma non vuole) fare i conti con una delle maggiori problematiche del suo tempo, l’immigrazione, ogni scusa è buona per strumentalizzare la questione “rifugiati“. Del resto, “l’occasione fa l’uomo ladro”, e se da una parte le istituzioni forniscono domande al contrario di soluzioni (attacchi alle ong operanti in mare, chiusura delle frontiere), la collettività giustifica l’inerzia della politica, trovando nel migrante il perfetto capro espiatorio. Nonostante esistano ancora casi di esclusione sistematica e generalizzata, alcune storie, come quella di Abdullaj e di  Festus e del loro insolito progetto di riqualificazione dimostrano la volontà ostinata di chi vuole fornire un modello di integrazione positiva.

Retake come simbolo di integrazione dal basso.

L’integrazione tra culture diverse sfrutta tanti linguaggi universali: quello della cucina, della musica, dell’arte, dello sport. C’è chi però sceglie consapevolmente di uscire da questi schemi convenzionali, creando nuovi linguaggi fatti di gesti e di una grande dose di altruismo, che favoriscano interazione pura e libera da pregiudizi. Per la strade di Roma infatti, ultimamente (e piuttosto spesso) è possibile notare diversi migranti che, armati di scopa e paletta, puliscono la zona da loro prescelta, secondo una libera reinterpretazione del progetto “retake”.

Ai bordi del marciapiede, un piccolo secchio, con un foglio stampato sopra (standard in tutti i casi), spiega la mission:  “Gentili signore e signori, desidero integrami onestamente nella vostra città senza chiedere l’elemosina. Da oggi terrò pulite le vostre strade. Vi chiedo soltanto un contributo di soli 50 centesimi per il mio lavoro. Buste, scope, palette e altro materiale per la pulizia sono ben accetti”. Le parole scritte, che risuonano come il motivo conduttore di una insolita canzone, hanno sicuramente il potere di raggiungere “il pubblico pagante”: i passanti infatti, incuriositi, si fermano con l’intento di scoprire qualcosa in più.

Il retake romano dei rifugiati: la rivincita degli esclusi

La scelta di Abdullay.

Quando Abdullay, ragazzo nigeriano di 21 anni appena compiuti, decide di aprirsi raccontando la sua esperienza, prende vita una storia fatta di caduta e ascesa, di sofferenza e (possibile) redenzione: Abdullay infatti ha 19 anni quando perde entrambi i genitori e decide di scappare dalla sua terra natia, la Nigeria, per sfuggire ad un futuro fatto di incognite negative. Arriva dopo un faticoso viaggio in Germania, la nazione della sua rivincita, ma i cavilli burocratici lo riportano in Italia. Sta svolgendo attualmente le pratiche perché gli sia riconosciuto lo status di rifugiato, ed essendo un ragazzo dallo spirito combattivo, non solo non abbandona la sua aspirazione, ma decide di essere grato ai cittadini italiani che lo ospitano, rendendosi ogni giorno protagonista di un modello di cittadinanza attiva.

Alla domanda sul perché abbia deciso di pulire quotidianamente le strade di San Lorenzo e su quali fossero le reazioni dei passanti, Abdullaj risponde che per lui la prospettiva di passare intere giornate davanti ai bar a chiedere l’elemosina è priva di senso: se deve avere dei soldi è giusto e doveroso che inizi a guadagnerseli, e qual è il modo migliore se non “rendere omaggio” ai cittadini romani, curando le loro strade? Per quanto riguarda il rapporto con i passanti, Abdullaj racconta con il sorriso sulle labbra storie di integrazione sconosciute al business dei media: da chi ormai è suo amico e gli porta da mangiare, al passante che di sfuggita gli regala una parola di incoraggiamento.

Il retake romano dei rifugiati: la rivincita degli esclusi

Il retake di Festus.

Festus , di 22 anni, conferma la versione di Abdullaj, pur trovandosi in una zona diversa (Abdullaj lavora vicino Piazza Bologna mentre Festus davanti alla città universitaria): anche lui si imbatte quotidianamente nei ragazzi che, mentre corrono per andare a lezione, non perdono occasione per salutarlo o per incitarlo a non mollare. Nelle sue parole infatti non c’è spazio per racconti dettati dallo stereotipo o dalla critica ridondante del “se pago l’AMA non vedo perché dovrei pagare lui”, ma solo per testimonianze di vicinanza e solidarietà.

Anche Festus è scappato dalla Nigeria, nello specifico in seguito a conflitti di tipo etnico che perseguitavano lui e suo padre, ma a differenza di Abdullaj, lotta ogni giorno per rimanere in Italia: i pochi soldi che si guadagna pulendo le strade perciò servono per pagare l’affitto di un piccolo appartamento, che divide in zona Cornelia con altri ragazzi. Alla domanda sul perché decida di “viaggiare” ogni giorno da una zona all’altra di Roma, risponde che San Lorenzo è stato il primo quartiere ad ospitarlo e che, ora che è andato via, paga una sorta di debito di riconoscenza, in cambio del dono di un futuro diverso.

Il retake romano dei rifugiati: la rivincita degli esclusi

La morale di un gesto insolito.

Cosa lasciano storie come quella di Abdullaj o di Festus? L’idea che l’attuazione di un modello integrativo tra accolti e ospitanti sia, anche se sconosciuta ai più, possibile. Dare voce agli esclusi induce a scoprire nuove realtà e invoglia a farne parte per la costruzione di una società che si basi concretamente sull’idea di uguaglianza, giustizia e pari diritti. In un’Europa che (a detta dell’ONU) a causa dell’inesorabile declino demografico, nel 2050 sarà salvata proprio dai migranti, il valore di una corretta integrazione diventa inestimabile.

 

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