Evasione e musica, dietro i palchi di Apolide Festival

Dietro i palchi di Apolide Festival

Il Festival piemontese Apolide, è giunto alla sua XIV edizione e conta tre palchi, più di cinquanta artisti, quattro aree campeggio… Circa 350 i volontari fuori e dentro i backstage.

di Marta Perroni

Per quest’ultima edizione, il team di comunicazione di Apolide, per me impersonato da Elisa Olivero, ha scelto una piccola squadra di ragazzi, gli Ambassador, che riuscissero a trasmettere sotto diverse angolazioni le varie sfaccettature del festival.

È stato questo il mio difficilissimo compito durante questi quattro giorni: ho vissuto il molesto ma piacevole affollamento del “Joongla Camp”, ho assistito a quasi tutti i concerti correndo da un palco all’altro, ho conosciuto e incontrato persone che mai avrei pensato di incrociare ad Apolide, ma, soprattutto, ho vissuto le “72 ore di evasione” a stretto contatto con lo staff e i volontari. Così, tra una birra e l’altra, ho deciso che mettermi dietro le transenne dei backstage sarebbe stato il punto di vista migliore per parlare di (quasi) tutto quello che succede prima e durante Apolide.

E, oltre al Main Stage, la cui line up è stata un susseguirsi di band dall’alto valore artistico, due erano i palchi “minori” dedicati ai live e alle performance:

SOUNDWOOD

Tra uno scroscio di pioggia e un caffè caldo, incontro Filippo Tha, insieme a Valentina Pantano,  responsabile dell’area. «Questo Stage è nato dall’esperienza ad Alpette Rock, quando il festival si svolgeva in un paesino a mille metri —Alpette appunto —, là c’è un Planetario che durante il festival veniva musicato, era davvero suggestivo», mi racconta, «quando abbiamo cambiato location, non potendo spostare il planetario, abbiamo creato SoundWood, un palco in mezzo agli alberi qui a Pianezze».

Soundwood è infatti dedicato alla musica elettronica e alla sperimentazione, che si è inserito nel momento in cui il festival ha perso la parola “rock” (da Alpette Rock, poi Apolide Rock Free Festival, ad Apolide), lasciando più spazio alla scena elettronica.
Un’attenzione particolare è infatti dedicata alla scelta degli artisti, «è stata anche la parte più divertente» continua Filippo, «quest’anno ho voluto scegliere musicisti che volevo conoscere qui, e che volevo conoscere personalmente, per farlo ho usato soundcloud e varie webzine, così ho esplorato e cercato suggestioni musicali e sonorità nuove con un’attenzione particolare prima agli artisti italiani, senza chiedermi quanto l’artista che notavo fosse famoso».

Filippo Tha mi spiega che ha poi collocato gli artisti all’interno delle varie line up giornaliere immaginando una giornata tipo del festival nell’area di Pianezze: «per la parte del giorno, ho pensato a giornate soleggiate, ai boschi e alla natura, quindi, principalmente, ad un filone di musica elettronica ambient, non “da ballare”, ma quell’elettronica che è più mentale, introspettiva, e ho cercato poi di dare più spazio a chi suona live, con una strumentazioni anche complesse».

La parte serale invece comincerà fra poche ore ed «è dedicata principalmente ad un sound più tirato, più ballabile, alla techno, e oggi tocca ad un ragazzo francese di Grenoble, qui vicino, è giovanissimo e si chiama Otter».

Mentre parliamo il tempo sembra non volerci risparmiare ma siamo tutti ancora fiduciosi, così alzando gli occhi verso cielo grigio saluto Filippo e Valentina con la promessa di incrociarli, ballando, sotto il palco del soundwood.

BOOBSTAGE

Un divano, una pantera di ceramica bianca, una parrucca fuxia, un pappagallo di stoffa coloratissimo, un paio di radio d’epoca, qualche bicchiere di birra: devo confessare che nel backstage “di Boobs” mi sono sentita a casa. Ad accogliermi subito in una vera e propria famiglia ci hanno pensato Paolo Dordi e Elisa Troglia, i due responsabili dell’area. «La location originale di Boobs, nelle prime edizioni del festival, era un campo da bocce, da qui il nome Boobs che poi è rimasto» mi raccontano tra una risata e l’altra, sotto lo sguardo attento del pappagallo di pezza.

Questo stage, attivo dal 2012, è nato dall’esigenza di sviluppare temi diversi all’interno di Apolide, «allargando anche l’offerta culturale con l’obiettivo anche di prolungare le ore di festival anche all’intera giornata e coinvolgendo il pubblico a 360 gradi» continua Paolo, «così, anche per la XIV edizione l’intento è stato quello di aprirci a diversi linguaggi che fossero trasversali alla linea principale del festival, quindi anche interviste a scrittori o performer oltre che, ovviamente, musicisti».

Ma anche la line up musicale, che ha avuto inizio venerdì 27 luglio, è molto ricercata e particolare, si è potuto passare, ad esempio, dalle delicate sonorità folk dei The Spell Of Ducks, o a quelle intense e introspettive di Neverwhere aka Michele Sarda, all’energia di un duo modenese giovanissimo, i Mood: una batteria che tiene una parte ritmica precisa e trascinante e una chitarra le cui sonorità giocano fra loop e distorsioni, intrecciandosi in pezzi dal grande potenziale artistico, restano per me forse la più bella sorpresa del festival.

Continuando a parlare appoggiandoci tra il divano e la pantera di ceramica, Paolo e Elisa mi spiegano anche che il festival è sapientemente costruito durante tutto l’anno dall’associazione Tolocals e Dunter, che ne elaborano l’offerta artistica, la comunicazione, i rapporti con le istituzioni fino ai tecnici e le grafiche.

Quello che ho visto passando quattro giorni nei backstage di Apolide— quello di Boobs, in particolare, è qualcosa che resta davvero nel cuore — è stato un intrecciarsi di vite ed esperienze in perfetta armonia e coordinazione, che ha permesso di risolvere anche imprevisti o problemi improvvisi.

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