L’Italia dei (non) giovani nel calcio: tra domande e riflessioni

L'Italia dei (non) giovani nel calcio: tra domande e riflessioni

Il calcio italiano è morto? Di certo lo è la fiducia nei confronti di tanti giovani “nostrani”. Riflessioni, esempi e domande tra presente e futuro.

Partiamo da una riflessione, ma non la riflessione di uno qualunque, la riflessione di Francesco Totti, forse uno dei più grandi del nostro calcio. “Preferivo il calcio di quando io ero ragazzino, quando si facevano crescere i ragazzi, adesso invece si punta di più sugli stranieri”. In poche parole, il caro Francesco esprime una saggia verità, ma non è stato il solo in questi ultimi tempi ad accorgersi che qualcosa nel calcio italiano non va.

Ciò di cui vogliamo parlare in questo articolo sono i giovani italiani, quelli che il 13 novembre 2017 hanno visto fallire il loro calcio, quelli che fanno fatica a giocare in Serie A, quelli che militano in Lega Pro, ma spesso valgono molto di più. Perché? A mancare, spesso, nei loro confronti è la fiducia.

La verità fa male

La recente disfatta contro la Svezia ci ha sbattuto in faccia la cruda verità: il calcio italiano è morto. Ma, se anche fosse ancora vivo, è gravemente malato. Quella sera sono stati pochissimi i giovani in campo, anzi, si è constatato che l’Italia avesse una delle rose più vecchie di tutta Europa. E questo nonostante sulla scena ci fossero un buon numero di ragazzi promettenti ai quali concedere un’opportunità in più. Risale proprio a quei giorni il pittoresco sfogo di Pochesci, l’allenatore della Ternana, che senza mezzi termini durante una conferenza stampa asserisce che il campionato italiano non ci appartiene più, perché popolato da stranieri. I nostri giovani, anche i migliori, militano infatti quasi tutti in Lega Pro, mentre talvolta gli allenatori vengono quasi costretti a inserire degli stranieri in campo.

C’è chi va su…

L’Italia ha vinto l’ultimo mondiale nel 2006, con un’infornata di giocatori straordinari, fra cui Totti stesso, ad esempio. Giocatori non giovanissimi in quel frangente ma molto piccoli nell’esordio in serie A qualche anno prima. Adesso, dopo la partita d’esordio, questi ragazzini vengono girati in prestito per farsi le ossa in una squadra più piccola, ma quante volte tornano da dove sono partiti? Pochissime. Per esempio, Claudio Marchisio ha più volte ammesso che se la Juventus non fosse scesa in Serie B, lui probabilmente non vi avrebbe mai trovato spazio. Claudio infatti ha sempre fatto parte della Juventus, durante tutte le giovanili, poi viene girato in prestito all’Empoli. Ma la sua fortuna arriva proprio con la discesa in Serie B della sua squadra che, per la penuria di giocatori, si trova costretta a dover fare affidamento anche sui suoi ragazzi.

Diverso è il discorso per Andrea Petagna e Bryan Cristante. I due, scuola Milan e classe ’95, vengono da subito presentati come il futuro della squadra. Vengono aggregati alla squadra durante l’estate ed esordiscono anche in Serie A, ma dopo qualche tempo vengono scaricati. Non se ne è sentito parlare più per qualche tempo, fino allo scorso campionato. Entrambi si ritrovano all’Atalanta, dove mister Gian Piero Gasperini sembra averli revitalizzati. Questo perché l’Atalanta è una squadra che punta molto sui giovani, tanto da aver il miglior settore giovanile d’Italia nel quale nascono molti talenti italiani. Dopo questi due esempi in cui o la fortuna o una diversa politica societaria ha aiutato il talento a sbocciare, prendiamo un esempio che ha avuto purtroppo una parabola discendente.

L'Italia dei (non) giovani nel calcio: tra domande e riflessioni
fonte: http://www.svsport.it

…e chi purtroppo deve accontentarsi

Ottavi di finale di Coppa Italia. L’Inter, capolista in Serie fino a qualche tempo fa, deve vedersela col Pordenone, che milita invece in Lega Pro con risultati non lusinghieri. Ebbene, per 120 minuti il Pordenone resiste stoicamente contro la corazzata interista, che riuscirà a spuntarla solo ai rigori. Eroe assoluto della serata è Simone Perilli, classe ’95, portiere del Pordenone.

È proprio la sua storia ad interessarci da vicino. Eh si, perché Simone è uno di quei ragazzi che non si è visto accordare fiducia. Ha un passato fra le giovanili di Roma e Lazio e per un certo periodo anche il Sassuolo ha avuto il suo cartellino. Eppure nessuna di queste tre squadre ha dato fiducia a Simone, preferendogli giovani stranieri, nomi prestigiosi esteri o comunque portieri italiani che vogliono ancora dimostrare qualcosa. E magari dopo averlo visto nella partita contro l’Inter, alcune di queste squadre potrebbero accorgersi di lui. Già, accorgersi, come se lo vedessero per la prima volta, quando l’hanno avuto sotto gli occhi per molto tempo.

La risposta si è persa nel vento

Come Simone, sono tanti i ragazzi che arrivano alla soglia delle serie professionistiche, ma proprio sul più bello vengono sorpassati da un coetaneo straniero. Ma, ci si chiede, perché se i talenti nascono nella periferia di Salvador de Bahia, non possono fiorire allo stesso modo anche in quella di Milano, Roma o Napoli? Perché attualmente è così difficile le squadre seguire il modello Atalanta e sfornare giovani italiani giorno dopo giorno? Come sempre, troppe domande, poche risposte ma anche la speranza che una riscoperta dei nostri giovani possa diventare una soluzione alla “morte” del nostro calcio.

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