We Neet You: una corsa ad ostacoli per l’indipendenza sociale

We Neet you: una corsa ad ostacoli per l’indipendenza sociale

In Italia aumenta il numero dei cosiddetti Neet (Not in Employment, Education or Training): mancanza di concretezza da parte dei giovani o inefficienza delle politiche inclusive?

“Tutti sono utili, nessuno è indispensabile”: nell’Italia dei record (in negativo) che “vanta” il più alto tasso di Neet (alias Not in Employment, Education or Training) d’Europa, sembra quasi che sia un mantra quotidiano. Il belpaese è davvero l’oasi dei bamboccioni o dietro un’immagine stereotipata e abusata si nasconde l’inconsistenza delle politiche sul lavoro giovanile?

“Ti presento i Neet”.

Pochi ne parlano, nessuno lo sa. Chi sono quindi i Neet? L’acronimo di Not in Education, Employment or Training rappresenta una parte di giovani che non studiano, non frequentano percorsi di formazione e non lavorano. Secondo i dati di un sondaggio condotto dall’Università Cattolica nel 2017, in Italia sarebbero più di 2 milioni. In testa la Lombardia che conquista la vetta con il 16%.

In Italia la fascia d’età presa in considerazione per lo studio sui neet va dai 15 ai 29 anni, di contro a quella europea che si ferma ai 24, a causa della maggior difficoltà riscontrata dai giovani nel cercare di inserirsi in un contesto lavorativo. Gli studi oltretutto mostrano che il Belpaese ha il più alto valore registrato in Europa con rapporto di un neet su cinque ragazzi.

Per quanto riguarda la composizione dei Neet, è decisamente eterogenea. Si registra dal neolaureato in cerca di un impiego che soddisfi i propri desideri, fino al giovane demotivato che abbandona precocemente gli studi, passando per chi sceglie consapevolmente di non entrare nel mercato del lavoro per prendersi del tempo e compiere esperienze diverse.

Riforma del lavoro si, riforma del lavoro no.

Qual è il quadro che emerge dall’analisi dei dati? L’immagine di una parte della società delusa ed esasperata, che per mancanza di fiducia nelle istituzioni e nelle riforme fatte si rifiuta di avere un ruolo attivo nella collettività, auto-condannandosi all’alienazione.

Così, nel paese del lavoro retribuito in voucher (il 54,1% delle persone che nel 2015 sono state pagate con i voucher hanno meno di 35 anni) e di “Garanzia Giovani”( che nel 53% dei casi si è tradotto in uno stage), tagliarsi fuori risulta essere meno doloroso che rischiare e provare, data l’alta probabilità di uscirne sconfitti: biasimarli risulta difficile.

Lo strano caso dell’Alternanza Scuola-Lavoro.

Anche alcuni programmi di accesso all’inclusione sociale/lavorativa si sono rivelati inconcludenti: l’Alternanza Scuola-Lavoro (che prevede l’obbligo di svolgere 400 ore per gli istituti tecnici e 200 per i licei in un contesto lavorativo) sembra essere la punta dell’iceberg di politiche del lavoro fallimentari.

Frustrazione e sfiducia iniziano già dal percorso scolastico, la fase più delicata nella formazione dei lavoratori di domani. Piuttosto che essere spronati a valorizzare le proprie capacità, infatti, schiere di giovani vengono semplicemente sfruttati dall’azienda di turno per aggirare il problema di pagare le tasse su nuovi contratti di lavoro, o per compiti imbarazzanti che nessun lavoratore formato si sognerebbe di fare.

La verità sulla formazione

Tantissime le denunce e i casi documentati. Ad Agrigento, ad esempio, i ragazzi di un liceo Scientifico sono stati costretti a raccogliere bottiglie e mozziconi di sigarette sotto il sole. Mentre in Veneto una struttura alberghiera propone agli studenti di un Istituto Alberghiero sempre la stessa mansione: pulire a terra e spalare il letame.

Secondo il sondaggio fatto dalla Rete degli studenti Medi, associazione studentesca presente in tutta Italia, su un campione di 4000 studenti, il 46.7 per cento non ha avuto un percorso personalizzato mentre il 90.7 di chi frequenta un liceo la giudica un’esperienza poco formativa, confermando l’inutilità del progetto.

Il business dell’alternanza

Sembra il caso di dire “oltre il danno anche la beffa”: l’ultima novità in fatto di Alternanza Scuola-lavoro è il giro d’affari per la compravendita di ore, con cifre che che superano i 500 euro per 54 ore.

Il business è a portata di clic: basta scrivere sul motore di ricerca “alternanza scuola lavoro a pagamento” e compaiono magicamente pacchetti appositamente ideati da proporre non solo al singolo studente, ma anche a tutta la classe. Poco importa l’eticità della proposta e il fatto che non tutti possano permetterselo.

I Neet verso l’indipendenza economica e sociale

In questo contesto a dir poco sconfortante, due esempi virtuosi cercano di rilanciare la formazione e il lavoro giovanile trasformando i Neet in risorsa preziosa per il paese.

Dall’Ufficio Giovani del Comune di Bologna nasce “We Neet You”: un progetto rivolto ai ragazzi tra i 18 e i 25 anni che non lavorano e non studiano finanziato da Anci con 190 mila euro. Il progetto si inserisce nelol’ambito del bando ReStart su progetti di innovazione sociale, prevenzione e contrasto del disagio giovanile.

L’obiettivo è quello di fornire gli strumenti per raggiungere l’indipendenza e conquistare un ruolo attivo nella società, grazie ad un programma attivo tra Aprile e Novembre 2018 che prevede 350/400 ore a tempo pieno dedicate all’acquisizione e formazione in ambiti diversi.

Una rete per i giovani.

A Verona, dove il tasso di copertura di Garanzia Giovani sul totale dei Neet è il più basso del Veneto insieme a Vicenza, nasce il progetto Net for Neet.

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Un’idea ambiziosa che si promuove attraverso una campagna pubblicitaria accattivante che mostra la famiglia come la vera vittima dell’esclusione sociale. L’iniziativa in 3 anni coinvolgerà 80 giovani dai 16 ai 25 anni attraverso percorsi personalizzati e tirocini retribuiti, l’obiettivo centrale è la promozione dell’autonomia attraverso la co-abitazione con altri coetanei.

Comincia l’ardua scalata verso l’indipendenza economica, sociale e culturale.

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