Fenomenologia di John Travolta, dai ruoli simbolo a Gotti

Fenomenologia di John Travolta, dai ruoli simbolo a Gotti

John Travolta. Appunti sul più “giovane degli attori adulti” e su che cosa può non aver funzionato in Gotti.

Un’aria perennemente svagata e distante, quello sguardo sempre al di là dell’orizzonte che sembra un invito del dna a sviluppare la passione per il volo. Uno schermo che John Travolta ha sempre interposto tra i propri personaggi, irrequieti, proletari, emarginati desiderosi di riscatto, e un ambiente ostile e creatore di frustrazioni. Quasi un velo di pudore che crea una strepitosa distonia con quel senso del ritmo che gli fa animare scene musicali leggendarie, che lo rendono una versione suburbana di Gene Kelly (il fratello del grande Gene, Fred, sarà maestro di tip tap dell’adolescente John). E creano un’empatia con il pubblico che rimanda più ai grandi divi del passato che allo star system contemporaneo.

Nato nel 1954 a Englewood, New Jersey, ultimo di sei fratelli di una famiglia italo-irlandese appassionata di spettacolo, la sua carriera è di quelle con poche mezze misure. Trionfi che marchiano la storia del cinema e disastri epocali. Le tragedie familiari, la scomparsa del figlio Jett nel 2009, e le polemiche legate a Scientology. Quando balla con Lady Diana a un ricevimento alla Casa Bianca nel 1985, John Travolta non è più un attore. È un’icona pop.

Gotti, un passo falso

Probabilmente è questa empatia che è mancata in Gotti – il primo padrino, l’ultima interpretazione di Travolta che non sembra aver incontrato il favore della critica. Da sempre l’attore è stato capace di far affezionare il pubblico anche a personaggi negativi. Ma con un gangster reale la sfida era davvero fuori portata, complice una regia di poco polso e un tono generale che a tratti appare celebrativo. Gotti sembra il classico film sul cui progetto si è rimuginato troppo e il protagonista, oltretutto, appare davvero poco credibile, con i suoi 60 anni suonati, nei flash-back truccato da giovane.

I ruoli-simbolo

Il vero John Travolta è sempre stato altro. Quando è sullo schermo, per chi è bambino e/o adolescente, negli anni ’80-’90, è impossibile non tifare per lui. Sia che si tratti di Tony Manero, di Danny Zuko, di Vincent Vega, di Billy Nolan, l’imprudentissimo spiritosone che ha la pessima idea di infastidire Sissi Spacek in Carrie, lo sguardo di Satana, o di James Ubriacco, lo spericolato aspirante papà di Senti chi parla.

Fenomenologia di John Travolta, dai ruoli simbolo a Gotti

La forza del personaggio Travolta è sempre stata la capacità di spiazzare, di essere imprevedibile. Fin dagli inizi, quando a 12 anni, partecipa a un seminario dell’Actors Studio e viene scritturato per uno spettacolo teatrale. Sua madre Helen, che non è riuscita a sfondare come attrice, crede molto in lui. Tanto che la famiglia non fa eccessive obiezioni quando, a 16 anni, lascia la scuola e raggiunge sua sorella a New York per tentare la via di Broadway. Diventa famoso grazie al ruolo di Vinnie Barbarino nella serie tv I ragazzi del sabato sera, che interpreterà dal 1975 al 1979.

L’esordio sul grande schermo è nel 1975, con l’horror Il Maligno. Conosce sul set la collega Joan Prather, che lo introduce nella chiesa di Scientology, di cui diventerà il più celebre sostenitore.

Il successo planetario

Alla fine del 1976 gli viene offerto un copione per un film da girare quasi per passatempo, in attesa che diventi operativo il suo contratto faraonico da un milione di dollari. Lo script di Norman Wexler è tratto da un articolo del giornalista Nik Cohn, uscito qualche tempo prima, Riti tribali del sabato sera, sulla nuova passione dei ragazzi per le discoteche. Il protagonista è un giovane sbandato che trova la via d’uscita dalle proprie frustrazioni scatenandosi sulla pista da ballo: Tony Manero.

Diretto da John Badham, La febbre del sabato sera cambia il volto della cultura giovanile, rende Travolta una star mondiale e gli consegna la prima nomination all’Oscar. Ottenere il ruolo di Danny Zuko, protagonista di Grease, per la versione cinematografica del celebre musical, è praticamente automatico.

La crisi e la resurrezione

Gli anni ’80 iniziano con il fiasco di Attimo per attimo. Seguono altri film importanti, non sempre premiati al botteghino: Urban Cowboy, Stayng Alive, Due come noi. Si cimenta nel thriller con Blow Out di Brian De Palma. A fine decennio appare un po’ in affanno ma ancora una volta spariglia le carte dandosi alla commedia familiare, con la fortunatissima saga di Senti chi parla. Ma c’è davvero qualcosa che manca. L’afflato epico degli esordi non sembra più arrivare.

Pulp Fiction

Ci pensa un tipo esagitato che Travolta incontra per la prima volta a una festa a Los Angeles. Gesticola in continuazione, sa a memoria le battute dei film di John, è un fan di Blow Out e vuole a tutti i costi fare un film con lui. Quentin Tarantino litigherà con i produttori per avere Travolta a tutti i costi, a rischio di far saltare Pulp Fiction. Ingrassato, strafatto, look da poliziottesco di Fernando Di Leo, il gangster imbranato Vincent Vega riporta Travolta tra le star e gli fa ottenere la seconda nomination. L’attore è di nuovo tra i grandi (e tra i più pagati: dopo i 150mila dollari per il film di Quentin, il suo cachet salirà verso i 20 milioni).

Il nuovo millennio

Il 2000 si apre con il disastro di Battaglia per la Terra, film fantascientifico tratto dal romanzo di L. Ron Hubbard, il fondatore di Scientology. C’è chi lo considera il peggior film della storia del cinema e ha sicuramente buone ragioni. Ma la capacità trasformistica di Travolta è intatta: nel 2001 è quasi una parodia dei suoi personaggi action in Codice: Swordfish; nel 2007, recita in abiti femminili in Hairspray – Grasso è bello; il 2009 è l’anno di uno dei suoi tanti “cattivi”: il rapinatore di Pelham 123 – Ostaggi in metropolitana (remake de Il colpo della metropolitana del 1974, nel ruolo di Travolta c’era Robert Shaw); nel 2010 ancora un personaggio parodistico: il poliziotto rapato e spaccatutto, appassionato di cheeseburger nel non riuscitissimo From Paris with love.

Come definire il fenomeno Travolta?

“Suppongo di essere l’unico attore che la gente va a vedere come alternativa a uno squalo” ha modo di dire di se stesso. Per anni è l’unico attore che, da solo, fa comprare biglietti. Non per gli effetti speciali, non per grandi registi. Nelle sue pellicole, è per lui che il pubblico fa la fila: per la sua capacità camaleontica trapiantata su una figura da divo ma comune al tempo stesso, non a caso particolarmente adatta a personaggi imperfetti, frustrati, ripresi fedelmente dalla vita reale. Scrive Time a proposito di John Travolta-Tony Manero: “Non è possibile spiegare esattamente che cosa fa di un attore una star, ma si possono trovare degli esempi. E nel 1978, quella camminata è il miglior esempio possibile”.

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