La street artist Laika: anche i muri parlano… E denunciano

La street artist Laika: anche i muri parlano... E denunciano

Una chiacchierata con la street artist Laika, l’artista/attacchina che cerca di aprire le menti denunciando razzismo, intolleranza e discriminazione.

Ah, se quei muri potessero parlare… E quelli che accolgono le opere della street artist Laika sembrano farlo benissimo. Parlano una lingua semplice e diretta, quella dell’arte. Un’arte che si serve di colla e carta (lei stessa si definisce street artist/attacchina), che si trasforma altre volte in murales e che è sempre soggetta al rischio di venire spazzata via da chi, passando, non vuole sentir parlare di temi che ci riguardano più da vicino di quanto non sembri.

Questo mese su OpenMag ci siamo concentrati sulla discriminazione, un argomento centrale nel dibattito politico e culturale ma affrontato spesso superficialmente attraverso retorica e luoghi comuni. Artifici che l’arte, dicevamo, non conosce. Per questo abbiamo chiesto a Laika, capace di aumentare l’eco di denunce sociali importanti con ironia e incisività, a che punto siamo con i muri costruiti per rafforzare razzismo e discriminazione. E, se proprio di muri si deve parlare, che almeno diventino strumenti per andare oltre le maschere.

È dello scorso giugno la tua opera Wall of Shame, un collage di commenti pubblicati online e intrisi di razzismo e intolleranza. L’arte può diventare lo strumento per parlare un linguaggio diretto contro il fenomeno?

“L’arte lo è già. Ogni volta che qualcuno, nel mondo, disegna, dipinge, suona, canta o recita, apre la propria mente e quella di chi fruisce della sua arte. Il razzismo è la chiusura mentale; l’arte, in ogni sua forma, è l’esatto contrario. Ovviamente ci sono e ci saranno sempre artisti di qualsiasi tipo che utilizzeranno il proprio linguaggio per attaccare direttamente razzismo ed intolleranza.

L’arte rende più immediata la comprensione e la metabolizzazione profonda di un concetto, quindi credo che sia importante che chi la fa sposi certe cause, anche se, come dicevo all’inizio, l’importante è creare e regalare agli altri qualcosa che apra le menti.”

Dopo neanche 24 ore il Muro della Vergogna è stato rimosso, come denunciato sui tuoi social. Credi sia la dimostrazione che avevi colpito nel segno?

“Non mi aspettavo durasse molto, onestamente, ma non pensavo neanche sarebbe rimasto attaccato così poco. Chi ne ha chiesto la rimozione è stato piuttosto solerte, non c’è che dire. Non so se questo voglia dire che ho colto nel segno; di sicura sono soddisfatta di quello che ho realizzato e non escludo che il wall of shame possa ritornare sui muri della città, prima o poi. Vedremo…”

La street artist Laika anche i muri parlano E denunciano

La street art è spesso vista come una ribellione di qualche ragazzo in cerca di esprimersi. La tua, come quella di altri street artist, cerca invece di dimostrare anche ai più reticenti il contrario, e di lanciare sempre messaggi molto diretti. Come nasce l’idea di una nuova opera?

“Il termine street art è abusato: vi si raccolgono dentro talmente tante correnti, idee, visioni che è impossibile generalizzare. Posso parlare per me e per ciò che faccio e rispondo dicendo che, per me, oggi come oggi, alla base di ciò che creo c’è il messaggio che voglio far passare. Decido di trattare un argomento e poi cerco di capire la sua resa grafica. Non è assolutamente detto che mi riesca sempre, anzi spesso ho messo da parte dei progetti, perché non mi riusciva di trasformare in un’immagine incisiva il pensiero e la sensazione del momento.

Sto cercando di crescere, in termini di conoscenze e capacità, quindi mi auguro di riuscire, col tempo, a colmare sempre di più il gap tra ciò che ho voglia di dire e il modo in cui lo faccio.”

Laika, secondo te quanto è discriminante il genere anche nella street art? Essere una donna “che scrive sui muri” è più difficile che essere un artista uomo?

“Essere una donna è più difficile, punto. Credo non ci sia bisogno di spiegare questa affermazione: è un dato di fatto. Se questo valga in modo particolare nel mondo della street art non sono in grado, per adesso, di giudicarlo. Il mio modo di starci dentro è comunque particolare, quindi non credo che la mia esperienza possa essere troppo paradigmatica.”

Il tuo ultimo murale è in memoria del bracciante attivista Soumaila Sacko assassinato due anni fa a San Calogero. Quanto lavoro c’è ancora da fare?

“Troppo. Decisamente troppo. Quello che è accaduto due anni fa a San Ferdinando a Soumaila Sacko è esemplificativo di quanto molte persone non considerino le vite degli altri come meritevoli di rispetto. Sacko è morto perché stava cercando dentro una fabbrica abbandonata delle lamiere per rinforzare la sua capanna. Qualcuno ha pensato bene di sparargli.

La street artist Laika anche i muri parlano E denunciano

Da una parte c’è il razzismo, lo spregio per la vita umana, dall’altra c’è la condizione miserevole in cui la grande distribuzione del cibo costringe i braccianti nel nome della massimizzazione del profitto. Siamo un paese in cui si parla sempre di cibo, ci sono canali tematici, reality, riviste, blog e siti che parlano solo di cibo, eppure troppo pochi si chiedono da dove viene ciò che mangiano.

Durante il lockdown si è dibattuto molto sul ruolo dei braccianti, ma troppi ne hanno parlato solo in termini utilitaristici, vedendoli solo come strumenti per raccogliere frutta e verdura, e non come esseri umani. C’è tanto da fare, anche tra chi dice di essere dalla loro parte.”

E, se il percorso è ancora lungo, la consapevolezza è il primo passo per impegnarsi personalmente nel cambiamento. Quindi, occhi aperti per le vie delle città. Anche i muri parlano e, spesso, di problemi ancora troppo sottovalutati.

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