Riders e diritti Umani. Perché deve interessare a tutti noi

Riders e diritti Umani. Perché deve interessare a tutti noi

Cibo da asporto, food delivery… Azioni diventate sempre più frequenti eppure, ancora oggi, i riders soffrono ingiustizie lavorative e sociali che non possono più passare inosservate.

Il food delivery è comodo

Siamo sinceri. Quanti tra noi hanno ordinato cibo d’asporto durante questi ultimi mesi?

Soprattutto durante il lockdown generalizzato di marzo anche chi non conosceva questa possibilità ha iniziato a scoprirla. E, ancora più spesso, a fruirne.

Un po’ per pigrizia, un po’ per mancanza di fantasia nella preparazione dei pasti (ah se solo Chef Cannavacciuolo ci vedesse cucinare…) e un po’ come coccola che ci migliori la giornata… Il food delivery è una soluzione sempre più attraente!

Come se non bastasse, le piattaforme fra le quali poter scegliere sono pressoché infinite: UberEats, Glovo, Deliveroo e molte altre; e ti permettono di usufruire e accumulare sconti da riusare negli acquisti successivi.

Un circolo quasi “vizioso” non si riesce o non si vuole più uscire ma oltre tutto questo c’è chi sta soffrendo di numerose ingiustizie, magari non così visibili e conosciute: parliamo dei cosiddetti Riders (i fattorini, per usare un termine meno inflazionato).

Chi sono i rider

Rider per la consegna di cibo e bevande. Uber Eats (SEBASTIANO TERRENI, Milano – 2019-02-04)

Sono soprattutto studenti ma anche over 40 coloro che tramutano un ordine su Internet in una consegna a domicilio. E, se all’aumento della domanda deve corrispondere un’adeguata risposta, negli ultimi anni in Italia il numero dei rider è cresciuto esponenzialmente fino a raggiungere oltre diecimila unità.

In questi casi il datore di lavoro è rappresentato da una delle tante piattaforme di food delivery, che si occupano appunto della consegna a domicilio di cibo.

Sebbene siano i datori a concordare la paga e a decidere le modalità di svolgimento delle attività, i rider sono considerati lavoratori “autonomi”. Per tale ragione lavorano senza le tutele di chi lavora come “dipendente” (malattia, ferie) e senza differenze significative di salario tra festivi, weekend, e orari notturni.

A cavallo tra il 2018 e il 2019, l’Università degli Studi di Milano ha realizzato una ricerca per individuare un profilo socio-economico dei fattorini che lavorano in città, e ne sono uscite informazioni interessanti. L’81% degli intervistati che hanno risposto alle interviste lavora come rider per più di 30 ore settimanali, il 29% per più di 50 ore. Una buona parte di intervistati afferma di usare attrezzatura propria per lavorare (biciclette, per lo più) e, nel caso in cui gli venga fornita dal committente, questa non sempre è adeguata. Oltre a ciò, un’altra porzione ha anche affermato di non aver ricevuto attività formative.

Queste ultime non sono da sottovalutare: dato che il 60% dei rider è rappresentato da stranieri forse brevi corsi preparativi al lavoro potrebbero risultare necessarie, soprattutto ad esempio per la parte relativa a indicazioni e chiarimenti sul Codice della Strada.

Cosa sta succedendo con i Riders in Italia

Protesta rider a Milano – Foto del quotidiano “Il Giorno”

Era il 16 settembre scorso quando le società di food delivery e un sindacato si sono accordate per la regolamentazione dei rider, con la conseguente decisione di mantenere il lavoro a cottimo e gli algoritmi che sulla base di un sistema di rating decidono chi sia più affidabile per lavorare e chi no.

È scoppiata quindi l’ira dei fattorini, obbligati a dover firmare un nuovo contratto che non li rappresentava, e che avrebbe tagliato fuori tutti coloro che non lo avessero accettato.

Sono sorti quindi diversi cortei e scioperi nelle piazze di Milano, dove è stato esplicitamente chiesto a tutti i clienti di non ordinare cibo d’asporto. In diverse altre città italiane come Torino e Roma è stato seguito l’esempio e ci sono stati anche alcuni scontri con le forze armate.

L’obiettivo era chiaro, richiamare l’attenzione sul nuovo contratto collettivo definito “pirata” e sulle diverse ingiustizie che questi lavoratori continuano a ricevere.

Le critiche sul nuovo contratto

Su tutti, la parte più criticata è quella che sancisce compensi basati su una piccola parte fissa, e il resto sulle consegne effettuate. Un cottimo quindi, e non il minimo orario richiesto dai lavoratori.

Secondo il collettivo di rider “Deliverance Milano”, il nuovo accordo abbassa anche le tariffe di tutti i riders. Nello specifico, UberEats  fornisce 1,99€ a consegna con lavoratori in turno tutto il giorno, Deliveroo ha abbassato le paghe e tolto i turni; e JustEat ha allungato le tratte e diminuito la paga minima, portata sotto i 6€ netti.

Oltre a ciò, ha ricevuto molte opinioni negative il mancato cambio del tipo di rapporto lavorativo che è per l’appunto rimasto autonomo (si reclamava la subordinazione), e la difficoltà nel vedersi riconosciuta l’indennità.

Quest’ultima infatti viene garantita solo in concomitanza di una o più circostanze; per arrivare al 20% per esempio bisogna lavorare di notte, in un giorno festivo e con il maltempo.

La concessione di indennità integrative, incentivi, dotazioni di sicurezza, e di attività di formazione, infine, rappresenta sicuramente un passo positivo, che dev’essere però un punto di partenza verso il riconoscimento di molti altri diritti che ancora mancano.

Perché è un discorso che ci deve interessare

Le riflessioni che si possono fare sulla base di tutto ciò sono molte.

Sicuramente la crescita esponenziale dell’epidemia da Covid-19 ha reso più marcate e insicure le condizioni di lavoro dei fattorini, i quali sono al tempo stesso “categoria produttiva essenziale” e categoria più esposta al rischio.

Durante il primo lockdown i rider sono stati essenziali per davvero, consegnando la spesa a chi era malato e il cibo a chi non poteva uscire.

Con il passare dei mesi però la situazione è rimasta simile, per questo oggi la battaglia è portata avanti sul piano dei diritti umani. Si parla di Persone prima che lavoratori, che in questo momento stanno chiedendo il riconoscimento di diritti e garanzie che in molti campi si danno per scontati.

E non è solo una discussione che riguarda imprese, governi e rider, bensì tutti noi. Perché le battaglie per i diritti umani riflettono il progresso di una società e dei suoi cittadini, e perché in piccola parte noi cittadini ne siamo complici, ordinando cibo d’asporto ed evitando di supportare questa causa.

Se è vero quindi che i riders sono lavoratori essenziali, che essenziale sia anche il riconoscimento dei loro diritti.

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