Le donne devono studiare ingegneria, la storia di Maura Mengoni

maura mengoni - intervista a lei per lei

Con il mese di aprile, la rubrica “A lei per lei” si concentra su una nuova start up innovativa, Emoj, progetto che punta a trasformare l’esperienza del cliente sfruttando le potenzialità dell’intelligenza artificiale e sulla sua co-fondatrice Maura Mengoni.

Nel mondo dell’imprenditoria è sempre difficile scalfire pregiudizi e abbattere muri divisori fra i mestieri prettamente maschili e quelli che, secondo il pensiero comune, sono fatti appositamente per le donne. Se pensiamo alla figura dell’ingegnerie o del manager di successo, l’immagine che proiettiamo nella nostra testa è quella di un uomo in giacca e cravatta con la sua 24 ore.

Invece la storia di Maura Mengoni ci racconta tutto il contrario. Una donna può essere un’insegnante, ingegnere e anche fondatrice di una start up innovativa, senza mai dimenticare la sua femminilità e i suoi punti di forza, che risiedono nelle conoscenze e competenze acquisite negli anni, ma anche nella sua volontà di autodeterminazione attraverso il suo lavoro.

Maura Mengoni - Intervista "A lei per lei"

È proprio questo lo spirito che le ha permesso di creare Emoj nel 2017 come spin-off universitario insieme ai soci Luca Giraldi e Andrea Generosi. Il progetto ha come obiettivo quello di cambiare il mondo della Customer Experience, offrendo ai brand l’opportunità di creare un’esperienza unica, sensoriale e digitale per aumentare la soddisfazione dei propri clienti in fase di acquisto. Questo importante obiettivo viene raggiunto grazie ad una nuova tecnologia che combina Deep Learning, 3D vision e Artificial Intelligence.

Maura Mengoni, dato il suo impegno nel settore e la creazione di Emoj, è stata nominata da Wired tra le 50 persone più importanti e influenti nell’ambito digital e innovazione nel 2018.

Nessun importante risultato si ottiene da un giorno all’altro, infatti, Emoj è frutto di un lungo percorso, che parte da un incontro fortuito a Cuba, passa attraverso lunghi e approfonditi studi, per poi arrivare allo sviluppo sperimentale della tecnologia più adeguata a rispondere alla domanda: cosa prova il cliente e come coinvolgerlo nell’esperienza di acquisto?

Così decidiamo di farci raccontare questa avventura direttamente da Maura, per conoscere da vicino la nascita del progetto e gli influssi creativi e tecnici alla base di quest’idea così innovativa.

Sono imprenditrice e professoressa – ci dice Maura Mengoni – lavoro nel campo dell’ingegneria meccanica e del design industriale. Prima di fondare Emoj, avevo già partecipato alla creazione di un altro spin-off universitario sullo sviluppo di software per la progettazione, ma dopo alcuni anni di collaborazione sentivo che il mio percorso era terminato perché non riuscivo a ritagliarmi un ruolo nella crescita dell’iniziativa che valorizzasse le mie attitudini e capacità.

Nel 2014 avevo voglia di mettermi di nuovo in gioco e affrontare una diversa sfida. Fondamentale è stato l’incontro con Luca Giraldi, esperto di customer marketing, nel 2015, ci siamo conosciuti per un viaggio a Cuba. Data la sua esperienza, iniziò a parlarmi dell’importanza dell’emotività durante la fase di acquisto e del fatto che per analizzare questo aspetto si ricorre ad esperti che fanno solitamente interviste, sondaggi, metodi tradizionali tra l’altro molto costosi e che richiedono tanto tempo per rispondere ad un semplice domanda: cosa fidelizza di più il cliente?

Lui mi chiese “Hai una soluzione su questo tema?”.  Non mi ero mai interrogata sull’argomento, quindi, tornati da Cuba cominciamo a ragionare sull’idea di sfruttare le telecamere per indagare cosa fa e prova il cliente in un negozio. E poi scopriamo l’intelligenza artificiale. Comincio a mettere in moto la mia rete, fatta di professionisti nel campo universitario, per cercare specialisti del software. Incontriamo Andrea Generosi, l’altro co-fondatore e da lì iniziamo un’attività di ricerca per capire se ci fossero soluzioni percorribili e come potessimo noi innovare.

Intorno alla metà del 2017 Emoj parte come spin off universitario dove il mio ruolo era chiaro e importante, dove sentivo di essere rappresentata. Noi parliamo di cose belle. In tutti i progetti dove siamo coinvolti, ci occupiamo di spazi sensoriali, di piattaforme digitali per migliorare la user experience. Mi sento a mio agio ad aver investito su Emoj. Il team è coeso, c’è un approccio orizzontale, le decisioni si prendono insieme e poi ci si allinea. Questa è una tipica attitudine femminile che ho ritrovato nella gestione di questa start up.

Immagino che l’esperienza iniziale ti abbia aiutato molto a capire le criticità di una start up e come migliorarle, soprattutto nel lato della comunicazione del team o delle mansioni… Alla fine ogni esperienza precedente, ci aiuta a migliorarci nei progetti futuri.

Certo, pensa che la persona che gestiva tutto nel precedente spin-off è stata il mio mentore, sia nella start up che nella ricerca. Mi ha insegnato degli approcci fondamentali nel mio lavoro, come ad esempio creare dei rapporti con le imprese e come aiutarle nell’innovazione.

Quello che però ho capito dalla precedente esperienza è che un approccio verticale per me non va bene, in una una start up, c’è bisogno di confronto e dialogo. Per esempio io sono una donna molto concreta, talvolta troppo decisionista, non mi piace vedere chi cincischia e gira attorno alle cose. Questo comportamento viene mitigato all’interno del team dall’altro co-fondatore Luca che si occupa anche di tutte le beghe amministrative e finanziarie e di gestire le risorse, i nostri professionisti e collaboratori. Io posso così dedicarmi alla ricerca e al rapporto con i nostri clienti.

Nella nostra azienda abbiamo fiducia l’uno dell’altro e rispettiamo i diversi ambiti e mansioni in cui ognuno di noi è professionista.

Come hai affrontato la fase iniziale della start up, spesso molto critica e instabile, per poi farla crescere sempre di più?

Nella fase iniziale abbiamo preso la decisione di investire personalmente come team con un capitale iniziale. Siamo partiti che eravamo 8 soci, ora siamo in 5. Il primo anno, il 2017, è stato molto difficile perché abbiamo affrontato i primi clienti e siamo stati messi di fronte al fatto che dovevamo dedicare tanto impegno al progetto, ma purtroppo non tutti potevano dare lo stesso contributo, c’erano inevitabilmente delle differenze.

Bisognava trovare una soluzione a questa situazione e alcuni soci hanno deciso di uscire perché non potevano dedicare tempo e risorse personali, altri sono rimasti, ma solo come finanziatori. È stata dura perché c’erano soci istituzionali, colleghi, dottorandi. Ma non potevamo andare avanti così, in due anni forse saremmo diventate una delle tante startup che falliscono, perché rimangono nel limbo tra ricerca ed impresa.

Oggi funziona perché i 3 soci che sono rimasti lavorano nell’azienda in maniera consolidata e continuativa. Adesso non siamo più uno spin off universitario, ma una start up vera e propria. Rimanere nell’ambito dell’incubatore universitario ti dà un certo comfort, ma in questo modo non ti cimenti mai con il mondo reale.

In questa nuova fase ci ha aiutato molto la Regione Marche. Abbiamo partecipato ad un bando di finanziamento per progetti di ricerca e sviluppo e lo abbiamo vinto. Questo ci ha aiutato molto ad affrontare la fase difficile dei primi due anni in cui non riuscivamo a concretizzare degli ordini. Avere a disposizione un rimborso per i tuoi studi e le tue ricerche è stato fondamentale.

In una start up è fondamentale scegliere soci, partner e colleghi giusti che possano portare tempo, risorse e competenze nel progetto. Quanto è importante il concetto di team per Maura Mengoni? 

Per spiegare il rapporto tra i soci di una start up faccio sempre l’esempio del fidanzamento. Con i soci di Emoj ci siamo subito sposati, saltando il fidanzamento!

E in questo modo il matrimonio è finito con alcuni di loro! La prossima volta deciderò di fare un lungo fidanzamento e poi sposarmi.

Non è facile trovare il team, ma una volta che l’hai trovato la strada è in discesa. Poi quelle persone diventano più che colleghi. Si passa tanto tempo assieme, per questo è importante trovarsi bene, altrimenti la start up non funziona.

Maura Mengoni - Team Emoj - Intervista "A lei per lei"
Team di Emoj

Emoj sfrutta la tecnologia per capire i sentimenti e le sensazioni umane. L’intelligenza artificiale come riesce a comprendere le emozioni?

L’intelligenza artificiale è una specie di motore che è in grado di leggere l’immagine di un volto. Da ogni fotogramma riesce, tramite le reti neurali, a vedere  se l’espressione assunta riflette un certo stato emotivo.

Emoj riesce a fare tutto questo perché abbiamo sviluppato nuovi modelli con cui “addestriamo”  le reti per riconoscere queste espressioni facciali. Basandoci sulle teorie di Ekman e Russell e mettendo poi insieme più algoritmi, riusciamo a scandire l’intensità dell’emozione su una scala da 1 a 100.

È come se avessimo un database enorme di foto e il sistema va a cercare informazioni da queste foto precedentemente classificate e stabilisce la probabilità secondo cui la nuova foto mostra un volto felice, disgustato, arrabbiato, ecc. e quanto è felice.

Noi – continua Maura Mengoni – riusciamo anche a catturare la direzione dello sguardo, ovvero come si muovono le pupille. Questo grazie a tutta la ricerca che è stata fatta. Tramite questo sistema capiamo l’identità, il sesso e il range di età. E stiamo muovendo i primi passi verso il riconoscimento dei movimenti del corpo.

Quello che ci differenzia dagli altri competitors è che mentre loro riconoscono solo alcuni punti notevoli del viso, noi leggiamo l’immagine nella sua interezza grazie al fatto che abbiamo costruito una base dati molto ampia. Il singolo punto notevole non basta quando i visi sono asimmetrici o non sono molto espressivi.

Maura Mengoni - fondatrice Emoj Lab - Intervista "A lei per lei"

Lavori in un ambito prevalentemente maschile, quali sono state le tue esperienze?

Il mio è un ambiente totalmente maschile, sono quasi sempre l’unica donna. Ti faccio un esempio, come professoressa universitaria lavoro con industrie della meccanica. Generalmente il mio referente è il responsabile di prodotto o della produzione. Agli inizi, quando ero ancora molto giovane, capitava che fossi trattata come l’assistente di qualcuno. Questo mi ha fatto soffrire per anni, perché non riuscivo a trovare il modo per ritagliarmi uno spazio dove essere riconosciuta per le mie competenze, ma tutto questo mi ha aiutato a maturare in determinazione e caparbia. Nel caso di Emoj, i nostri clienti sono più nei settori automotive, retail e fashion, ambiti dove c’è un equilibrio tra bellezza e funzione, tra tecnica e ispirazione. Questo secondo me determina una diversa sensibilità verso l’altro. La nostra interfaccia è solitamente il responsabile ricerca e sviluppo o marketing, che sono più aperti verso la “donna manager”.

Quindi condividi il pensiero secondo cui in altri settori c’è ancora tanto pregiudizio.

Assolutamente sì. In alcuni settori industriali e in alcune aree della ricerca, c’è ancora tanto pregiudizio verso le donne. Nel caso delle aziende dipende anche dalle dimensioni, per esempio le grandi aziende, le multinazionali che lavorano nel campo della meccanica sono più sensibili nei confronti del lavoro femminile e adottano politiche di inclusione di genere. Le aziende più piccole, invece, hanno ancora una visione ristretta in questo senso, semplicemente quando c’è da prendere decisioni preferiscono interfacciarsi con uomini.

Maura Mengoni: donna e imprenditrice di successo. Cosa pensi della sensibilizzazione da parte dei media sull’imprenditoria femminile?

Fortunatamente se ne parla molto più che in passato, ma sempre in maniera politically correct. Si parla sempre di grande apertura, di parità, di approcci volti all’inclusione. I casi contrari dove l’inclusione è ancora difficile non hanno tutta questa visibilità.

Io dico sempre alle mie studentesse, in netta minoranza rispetto agli studenti, “dovete iscrivervi a ingegneria meccanica, perché voi siete il futuro delle nostre imprese manifatturiere e soprattutto della meccanica. La donna è molto più precisa, sistematica e ha un approccio più orizzontale al lavoro. Se le aziende italiane vogliono eccellere nel panorama europeo, hanno bisogno di donne perché queste riescono a dare dei contributi, anche tecnici, che a volte svoltano il progetto. L’uomo si concentra sulla vite, la donna vede tutto il collegamento.”

Questo per dire che la donna non vede solo il dettaglio, ma tutto l’insieme.

Io non credo che la parità stia nelle quote rosa, piuttosto la parità viene dal basso: più donne ci sono che si cimentano in determinati ambiti, più imponi la tua maggioranza.

Il Covid ha messo a dura prova l’attività di molte aziende. La vostra start up quali difficoltà ha dovuto affrontare? E quali sono state invece le nuove opportunità?

Siamo un’azienda digitale, quindi le modalità di lavoro in smartworking ci sono sempre state. Sicuramente c’è stata una scossa emotiva nel team. Oltre al fatto che alcuni accordi con aziende sono saltati perché la customer experience non veniva vista come una priorità.

A quel punto Luca, co-fondatore, propone di implementare la nostra tecnologia per migliorare la DAD. Uno dei nostri clienti cercava una piattaforma per fare formazione obbligatoria sulla sicurezza e ci chiese consiglio su quale strumento utilizzare. A quel punto si è presentata l’occasione perfetta. Il team si è spostato rapidamente per sviluppare una piattaforma per la didattica a distanza, in cui la tecnologia di Emoj era completamente integrata. Mentre si segue il corso, vengono monitorate le presenze, l’identità, il livello di attenzione, il livello di gradimento… E ti certifica pure le ore effettivamente seguite.

Da lì abbiamo ottenuto 3 clienti nell’ambito della sicurezza e abbiamo deciso di migliorare il prototipo aggiungendo la parte relativa agli esami e la stiamo proponendo alle università telematiche.

Tecnologia di Emoj applicata alla DAD

Cosa consiglieresti ad una donna che vuole intraprendere una strada simile alla tua?

Come prima cosa gli consiglierei di scegliere un ambito dove lei si sente di poter dire qualcosa e che rifletta la sua personalità ed attitudini. Anche per superare le difficoltà, una donna deve trovare un settore dove riesce ad autodeterminarsi e rappresentarsi.

Il secondo elemento è quello della competenza e delle conoscenze, così da poter smentire chi ti dice che “non è vero, non è corretto”.

Il terzo elemento è mettiti vicino ad un uomo che ti rispetti e che comprenda che il tuo successo è anche il suo successo, almeno all’inizio. Avere lo spazio giusto si trasforma in un’opportunità per dire qualcosa di importante e trasformare l’idea in un business.

La donna non può fare tutto da sola, nonostante la sua bravura, deve avere un team di persone che possa affiancarla e se queste persone sono degli uomini, almeno per la mia esperienza, non è assolutamente un male.

Noi donne poi abbiamo un modo di fare gentile e cortese che può avvicinare e predisporre l’altro ad ascoltarti, è un pregio incredibile. Non dobbiamo fare “l’uomo” della situazione, anche se abbiamo un ruolo manageriale, dobbiamo mantenere la nostra femminilità a partire dall’outfit fino al nostro modo di fare.

Maura Mengoni – Emoj

La storia di Emoj e di Maura Mengoni ci insegna che non importa se il tuo ambito è prettamente maschile e se persino nel tuo team rappresenti l’unica quota rosa perché la vera parità di genere sta anche nel saper lavorare in uno staff senza alcun tipo di discriminazione e gerarchia.

Un ostacolo insormontabile per qualsiasi nuovo progetto è trovare il team adeguato e coeso, non solo all’inizio ma anche nel corso del tempo, soprattutto quando compaiono le prime difficoltà.

C’è bisogno di fiducia e sostegno e perché no, anche di compensazione fra i pregi e difetti di ognuno.

Maura Mengoni è la prova che ci si può sentire rappresentate e appagate da un proprio progetto, anche se condiviso con altri uomini. L’importante è avere davvero qualcosa di differente da dire e le competenze per farlo, lo spazio e l’opportunità per concretizzare l’idea si creano e vengon da sé.

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