La nuova protagonista di “A lei per lei” è Martina Capriotti, co-founder di Mirta, piattaforma che (ri)lancia la manifattura italiana, ridefinendo il concetto di luxury ed esportandolo a livello internazionale.
Un progetto ambizioso quello di Martina Capriotti, ma già destinato a riportare in auge un vero concetto di Made In Italy, sia a “casa nostra” che all’estero.
Si crede spesso che i colori della nostra bandiera, spesso rintracciabili nelle etichette di brand blasonati, siano un retaggio dei soli grandi marchi che nel corso del tempo hanno completamente surclassato tutti quegli agglomerati di piccoli artigiani che lavorano manualmente ad ogni opera, che sia essa un capo di abbigliamento, una calzatura, o un oggetto di design.
Il luxury è anche questo: portare sulla propria pelle qualcosa di unico e riconoscibile che non solo è stato creato da mani esperte, ma è stato forgiato con materiali eccellenti che durano nel tempo e non sfioriscono al cambiare delle stagioni.
Dietro ogni prodotto c’è una storia, una connessione umana che lega l’arte alle tradizioni manifatturiere, alla cultura della bottega e del suo artista, il cui sapere spesso viene tramandato da generazioni. Recuperare questo storytelling è importante, soprattutto per i consumatori di oggi che fanno scelte di acquisto più consapevoli e più in linea con i propri valori etici.
Da questo concetto molto importante, è partita tutta la macchina operativa che ha dato vita a Mirta, l’e-commerce dell’artigianato che fornisce una vetrina importante a tutti quei designers e artigiani che non hanno grandi spazi di visibilità, soprattutto all’estero.
Parleremo del concetto di Made In Italy, delle difficoltà di una start up, soprattutto durante il periodo della pandemia da Covid 19, discuteremo di opportunità e di visioni future sul concetto di moda e abitudini di acquisto. Analizzeremo quanto l’evoluzione e la dinamicità siano fattori imprescindibili per il successo di una star up. Tutto questo insieme all’imprenditrice Martina Capriotti.
Com’è nata l’idea di fondare un progetto come Mirta? A cosa è dovuta la scelta di un nome così particolare?
L’idea di Mirta è nata dal connubio delle esperienze che io e Ciro Di Lanno abbiamo vissuto negli ultimi anni. Entrambi veniamo da un background in consulenza strategica in Boston Consulting Group. Ho avuto esperienze come consulente di aziende di lusso locali in Sud Corea e Giappone dove il Made in Italy era molto richiesto dal mercato, ma al tempo stesso le aziende italiane avevano difficoltà ad entrare in paesi così lontani. Ho capito di voler aiutare quelle aziende ad avvicinarsi ai consumatori di tutto il mondo. Nel frattempo Ciro stava frequentando un MBA a Stanford, in Silicon Valley, dove ha potuto toccare con mano le dinamiche delle start up americane. Dalle nostre esperienze è nata Mirta, nel 2019, quando siamo tornati entrambi in Italia per dedicarci interamente al nostro progetto. Nel 2021, dopo aver percepito le difficoltà nel processo di discovery e matchmaking tra boutiques e aziende artigiane, abbiamo fondato una seconda piattaforma, Mirta Wholesale, con cui ci poniamo l’obiettivo di digitalizzare e semplificare le relazioni tra le due parti.
Il nome Mirta è stato scelto per associazione alla pianta del mirto, la cui parola deriva dal Latino myrtus. Nella mitologia la pianta veniva accostata a Venere e alla bellezza. Anche ne “La Primavera” di Botticelli, la Venere è dipinta di fronte ad un cespuglio di Mirto. Il nome Mirta è stato scelto per rappresentare la nostra missione: portare nel mondo la bellezza dell’artigianato e della tradizione Italiana.
Quali sono state le difficoltà iniziali nel lancio del tuo progetto e quali invece le opportunità?
Mirta è nata in un periodo di grande sfide per tutti, ovvero solo qualche mese prima della pandemia. Una delle prime difficoltà che abbiamo affrontato risale al 2019, quando io e Ciro, co-founder di Mirta, cercavamo di trovare i primi artigiani da inserire sulla piattaforma che era ancora in fase embrionale. Inizialmente i feedback non sono stati troppo positivi – molte aziende erano ancora scettiche nei confronti del mondo digitale. Le opportunità sono le stesse che ci hanno convinto ad iniziare questo percorso. Nel 2019, delle 58.000 aziende artigiane target per noi, l’80% non era ancora online. Questo ci ha spinto a credere che l’e-commerce potesse rivoluzionare queste piccole aziende, facilitando la loro internazionalizzazione. Un’altra opportunità su cui crediamo molto riguarda il mercato Wholesale, ancora poco esplorato ma con grandissime potenzialità: è prevista nei prossimi anni una crescita annua delle transazioni B2B online pari al 25%.
Dato le tue esperienze personali e lavorative all’estero, come definiresti la percezione che le altre nazioni hanno del Made In Italy?
Ho avuto la fortuna di fare bellissime esperienze all’estero, sia tramite Erasmus durante l’università, sia per lavoro come consulente. L’idea di Mirta è nata proprio mentre ero all’estero, dove il Made in Italy è percepito come sinonimo di lusso, qualità e ricercatezza a tal punto che le aziende locali per cui lavoravo in Sud Corea avevano deciso di spostare la produzione in Italia e cercavano piccoli artigiani sul territorio che potessero aiutarli. Anche negli Stati Uniti il Made in Italy è particolarmente apprezzato – il nostro primo mercato è proprio quello Americano – soprattutto se accessibile e di alta qualità. La caratteristica che vediamo essere sempre più apprezzata dai nostri clienti è la connessione umana che cerchiamo di creare tra Italia ed estero, i clienti hanno la possibilità di conoscere il nome e la storia di chi ha realizzato il prodotto acquistato, dando finalmente un volto e un nome al produttore.
A “casa nostra”, invece, il Made In Italy è abbastanza tutelato e sostenuto, secondo te?
Non ci rendiamo conto del patrimonio che abbiamo tra le nostre mani. Guardare all’Italia con gli occhi di uno straniero permette di diventare consapevoli. Il Made in Italy, che è un brand di per sé in tanti tantissimi settori (non solo la moda), ha un valore immenso per il nostro paese, gioca un grande ruolo sull’economia ed è decisamente tutelato e protetto. Il problema forse è che l’esperienza del Made in Italy viene ristretta al prodotto, dimenticandoci di tutto quello che c’è dietro: le bellissime storie di aziende decennali, storie di famiglie e di comunità che lavorano duramente, le tradizioni e le tecniche delle produzioni manuali che sono vere e proprie forme d’arte. In conclusione forse manca quella parte di human connection che noi di Mirta stiamo mettendo al centro di tutto perché crediamo veramente sia la chiave di volta per far conoscere le eccellenze del nostro paese in tutto il mondo.
Credi che in futuro i consumatori sceglieranno sempre di più gli small business e il “fatto a mano” rispetto al fast fashion?
Al giorno d’oggi stiamo assistendo ad una rivoluzione dell’industria della moda e del lusso, un mercato che fino a qualche anno fa era dominato da loghi vistosi e ben visibili mentre oggi, complice una maggior consapevolezza lato consumatore, possiamo parlare di una rinascita dei piccoli business e dello shopping consapevole. Da quando abbiamo fondato Mirta, e ancor di più con l’avvento della recente piattaforma Mirta Wholesale, ogni giorno scommettiamo su un futuro in cui i piccoli business domineranno l’era post pandemica trainati dalla spinta del “support local” e dalla loro capacità innata di adattarsi al cambiamento. Il Covid-19 ha cambiato molto la concezione di lusso e i trend di acquisto: le restrizioni e il distanziamento sociale degli ultimi due anni hanno facilitato una riconnessione con le comunità locali creando quindi un forte sentimento di appartenenza che spinge i consumatori a preferire piccole realtà e prodotti unici e realizzati a mano. Questo certamente non è un trend passeggero, è una tendenza in crescita che rimarrà ben salda in futuro soprattutto grazie alle nuove generazioni, molto attente a soddisfare i loro desideri a patto di non scendere a compromessi con i loro valori etici.
Com’è composto il tuo team e qual è il vostro metodo di lavoro?
In circa due anni il team Mirta si è evoluto in una direzione ben precisa: ad oggi siamo 46 persone talentuose, ambiziose, con pregresse esperienze all’estero e soprattutto con una grande passione per ciò che facciamo. Da donna imprenditrice sono anche molto fiera di poter dire che il nostro team ha una forte componente femminile, con il 70% di donne, di cui molte in ruoli manageriali. Ci consideriamo una tech company e abbiamo quindi un team numeroso dedicato allo sviluppo di tecnologia e all’implementazione di tools e sistemi che possano supportare la crescita di Mirta e facilitare il lavoro degli artigiani e delle boutique con cui lavoriamo. Per noi è sempre stato importante mantenere un approccio flessibile e veloce dal primo giorno di Mirta. Facendo piccoli passi e mettendo un piede di fronte l’altro riusciamo a testare costantemente nuove idee e a porci grandi obiettivi pur affrontandoli per step.
La pandemia del Covid-19 ha messo a dura prova la crescita e lo sviluppo di molte aziende e start-up, come ha reagito Mirta in questa difficile situazione? Avete avuto molti ostacoli da superare o ci sono state dei risvolti positivi inattesi?
Mirta è nata poco prima della pandemia, a fine 2019. In questi due anni siamo riusciti a crescere tantissimo affrontando non poche difficoltà. A causa della pandemia molte delle aziende artigiane del nostro paese si sono ritrovate ad affrontare mancanza di ordini e chiusure dei negozi fisici. Per questo abbiamo assistito ad una vera e propria corsa all’online, e ad un’accelerazione di un trend che era già in atto. Anche gli artigiani più scettici hanno realizzato che vendere online fosse l’unica soluzione per sopravvivere. In questo contesto Mirta è riuscita ad aumentare il numero di artigiani sulla piattaforma e ad allargare la base. Abbiamo inserito la feature del pre-order che ha permesso di creare piccoli batch di ordini su cui gli artigiani riuscivano a lavorare anche in piena pandemia.
Dall’altro lato, il Covid-19 ha fermato viaggi e spostamenti. Il consumatore che ha scoperto Mirta in questi mesi, non ha solo trovato un sito su cui comprare prodotti di alta qualità, ma ha trovato un modo per “viaggiare” virtualmente proprio grazie a ciò che comunichiamo tramite i vari canali.
Posso dire quindi che sicuramente siamo stati in grado di affrontare la pandemia con razionalità e flessibilità, cosa che ci ha permesso di trasformare una difficoltà in opportunità.
Nel tuo lavoro c’è qualche figura femminile che ti ha fortemente ispirata?
Sono sempre stata una grande appassionata di sport e trovo spesso delle affinità tra le sfide dei campioni sportivi e quelle in cui più volte mi sono ritrovata da imprenditrice. Però un giorno mi sono ritrovata a leggere la storia di un’imprenditrice che ad oggi considero essere una grande fonte di ispirazione. Parlo di Whitney Wolfe, fondatrice e CEO di Bumble. Ciò che la rende una grande donna ai miei occhi è la sua resilienza: ha superato moltissime difficoltà nella sua vita professionale e personale ma non ha mai perso la sua tenacia e perseveranza. Ha costruito la sua azienda da zero dopo aver lasciato Tinder (di cui era una dei fondatori) e ha avuto il coraggio di mettere in pratica tutto quello che aveva imparato nelle sue precedenti esperienze. Credo che questa sia l’abilità più importante che un imprenditore debba avere e Whitney Wolfe è un grande esempio da cui lasciarsi ispirare.
In base alla tua esperienza, cosa consiglieresti ad una donna che vuole fondare un progetto tutto suo?
I consigli che darei alle mie colleghe imprenditrici sono un po’ anche quelli che avrei voluto ricevere io un paio di anni fa quando ero ancora incerta sul futuro. Il primo consiglio è di non aver paura dei rischi e di sognare in grande. Io stessa avevo molta paura dell’incertezza legata al mondo dell’imprenditoria ma poi mi sono resa conto che il coraggio che ho avuto in determinate situazioni mi ha aperto delle bellissime opportunità.
Altro consiglio importante è quello di circondarsi di persone di talento, curiose e con tanta passione. Una grande idea non può esistere senza un grande team che ti aiuta a realizzarla. Da ultimo, bisogna essere convintissimi dell’idea che si ha e al tempo stesso essere flessibili e pronti al cambiamento. Noi per esempio durante la pandemia ci siamo dovuti un po’ reinventare e adattare al periodo che stavamo vivendo, facendo così evolvere il nostro business.
Sicuramente mi sento di dire che tutto è possibile se accompagnato da pazienza, fiducia e tanti grandi sogni!