La ribellione e il coraggio delle donne iraniane

hijab

“Se qualcuno ti ferisce voglio combattere, ma le mie mani sono state rotte una volta di troppo, e così userò la mia voce, e sarò maledettamente rude, le parole vincono sempre, ma so che perderò.”

Le parole sono tratte dalla canzone “Another love” scritta una decina di anni fa da Tom Odell e usata oggi come simbolo di ribellione attraverso i social, sia dalle donne iraniane sia da quelle occidentali

Combattere per ciò che è giusto, ribellarsi agli oppressori senza violenza ma solo con il suono della propria voce.

Questo è quello che le donne iraniane stanno cercando di fare in quest’ultimo periodo.

È da molto che le donne in Iran combattono per i propri diritti ma da un po’ di tempo a questa parte la ribellione è diventata sempre più vasta fino a diventare qualcosa di portata mondiale.

Ma qual è stata la causa scatenante della ribellione?

Tutto è partito con l’uccisione di Mahsa Amini.

La ragazza venne accusata di non indossare correttamente l’hijab in quanto alcuni capelli sfuggivano fuori.

Per questo, secondo la polizia locale, è stata meritevole di esser picchiata ed uccisa; la ragazza dopo vari esami è stata trovata con il cranio fratturato.

Da qui la ribellione. I problemi erano presenti anche prima ma questo ennesimo segno di oppressione non ha fatto altro che innescare una maggiore protesta.

In migliaia sono scesi in piazza per chiedere giustizia, per protestare contro le oppressioni di cui sono vittime le donne.

Da qui nasce il simbolo di tagliarsi una ciocca di capelli, in segno di vicinanza a Mahsa che i capelli li aveva fuori dal velo.

Sono moltissime le vittime delle ribellioni di questi giorni. La maggior parte ragazze uccise dalla polizia a causa della loro protesta. Nonostante questo, non intendono fermarsi, i loro diritti sono più importanti.

protesta

Ma in Iran è sempre stato così?

I veri cambiamenti hanno inizio nel 1936 quando ci fu una modernizzazione forzata dell’Iran e fu emesso un decreto che vietava definitivamente alle donne di indossare il velo e agli uomini di indorsare abiti tradizionali.

La maggior parte delle donne indossava l’ hijab e questa proibizione fu vista come un abuso anche perché rifiutare di adeguarsi e continuare a indossarlo significava venire picchiate in pubblico mentre il velo veniva strappato dal capo. Anche in questo caso non mancarono le proteste.

Nel 1941 le cose cambiarono nuovamente e il nuovo scià Reza Pahlavi abrogò il precedente decreto consentendo così alle donne di vestirsi come preferivano.

Nonostante questo, le discriminazioni contro le donne che portavano l’hijab erano ancora molte, per esempio l’esclusione dalle cariche pubbliche.

Il velo divenne quindi un simbolo dell’opposizione.

Nel 1979 la Nuova Guida suprema, al contrario di quanto era stato fatto precedentemente, impose che tutte le donne indossassero il velo.

Estrema imposizione che le donne non presero bene.

Volevano poter esser libere di scegliere.

In moltissime si ribellarono e la marcia dell’8 marzo 1979 è ancora celebre.

Il velo cambiò ancora significato, passò dall’essere il simbolo di liberazione dal regime dello scià a simbolo di oppressione del regime.

Le ribellioni contro l’ hijab negli ultimi anni sono state numerose. Le più celebri risalgono al 2017/2018 ispirate alle foto di una ragazza che, dopo essersi tolta il suo velo bianco, lo ha posto su un bastone per sventolarlo in segno di protesta. Uno dei momenti più significativi di quel periodo di rivoluzione, poi represso nel sangue.

Nel 1983 portare il velo diventa un obbligo.

Il potere lo individua come un efficace mezzo per controllare socialmente e politicamente le donne iraniane.

Ma che diritti hanno le donne iraniane?

Una donna iraniana non dispone purtroppo oggi di molti diritti, dipende prevalentemente da un uomo e non le è concesso fare molte delle cose che a noi occidentali sembrano scontate e banali.

Non possono, per esempio, spostarsi o viaggiare all’estero, se sposate, senza il permesso del marito.

Non possono amministrare possedimenti e dipendono completamente dal coniuge.

È tutto ora in uso il delitto d’onore e in alcuni casi può esser richiesto il test di verginità.

Non possono cantare in pubblico se non davanti a sole donne e se non accompagnate da una voce maschile. Non possono andare allo stadio se non per le partite della Nazionale.

Inoltre, dal 2010 l’Iran ha nuovamente imposto delle limitazioni sul numero di donne che possono accedere all’università.

Queste sono solo alcune delle situazioni alle quali le donne iraniane sono sottoposte ogni giorno.

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Ma quindi le cose, in seguito a questa ribellione, cambieranno?

Ulteriore segno che le cose stiano mutando però è che accanto alle donne iraniane sono scesi in piazza per protestare anche molti uomini per mostrare la loro vicinanza alle donne costrette a non potersi esprimere come meglio credono.

Ci vuole coraggio a sfidare le autorità, ben consapevoli che venire arrestati o uccisi possa essere un evento all’ordine del giorno.

Ma quando ci si ribella ad un regime oppressore e si combatte per i propri diritti tutte le altre questioni passano in secondo piano. Si inizia a fare parte di un unico gruppo, un unico grido di protesta impossibile da dimenticare o cancellare.

Forse queste ribellioni non porteranno ad una fine immediata ma hanno fatto rumore, molto rumore. Una ribellione di questa portata non era presente da anni e rivoluzioni come queste trovano sempre il modo di cambiare le cose.

Come ulteriore simbolo di protesta le donne hanno iniziato a cantare “Bella ciao”, la canzone che più di tutte rappresenta la resistenza all’invasore.

Il vero coraggio sta proprio in questo, nel non arrendersi mai per combattere nelle cose in cui si crede. E questo, le donne iraniane lo hanno capito molto bene.

 

A cura di Elena Massaro

 

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