La rubrica “A lei per lei” racconta la storia di Francesca Gazzola e Laura Morello, fondatrici del progetto Imprenditrici ribelli, accademia imprenditoriale interamente dedicata alle donne.
Sono mesi che i titoli di giornali parlano dei moti di ribellione che coinvolgono l’Iran dopo la morte della ventiduenne curda Mahsa Amini, morta in circostanze sospette dopo essere stata arrestata dalla polizia locale per non aver indossato correttamente il velo. Da un tragico evento si è scatenata la “reazione domino”: un vortice di parole non dette per anni si è trasformato in un’unanime grido di protesta, il girarsi dall’altra parte davanti ogni tipo di sopruso si è trasformato in uno sguardo diretto e determinato a raggiungere la libertà, i diritti civili, l’uguaglianza femminile.
Le ribellioni e le successive rivoluzioni partono proprio così, dalla voglia di cambiare e (ri)innovare la propria condizione che ormai non ci rappresenta più.
Anche il mondo del lavoro e dell’imprenditoria è intriso di questo meccanismo, soprattutto quando sono coinvolte le donne, da sempre ostacolate nel raggiungimento di una posizione lavorativa e un riconoscimento salariale al pari del mondo maschile.
Come invertire questo drammatico fenomeno? Ribellandosi agli schemi e creandone dei nuovi, questa volta più accoglienti, inclusivi, identitari.
Francesca Gazzola, psicologa del lavoro e fondatrice di Driin, e Laura Morello, Business Coach e Consulente aziendale, hanno voluto creare i loro “schemi” e riprodurli, con le dovute personalizzazioni, per tutte quelle donne che vogliono lanciare un’iniziativa imprenditoriale. Il percorso studiato dalle due imprenditrici accompagna la donna in ogni fase, aiutandola a trovare il suo obiettivo e a raggiungerlo con successo, fornendole un ecosistema di crescita, consulenza, formazione e networking.
Ci facciamo raccontare direttamente da Francesca Gazzola questo bellissimo progetto che sta creando una nuova generazione di imprenditrici ribelli.
In questo particolare periodo storico sentiamo spesso parole come “ribellione”, “rivolta”, “rivoluzione”, soprattutto guardando ai fatti di cronaca che coinvolgono l’Iran, paese che ostacola la libertà della donna. Per te cosa significa essere ribelli? E come mai hai utilizzato questo appellativo per il tuo progetto?
Si è ribelli o lo si diventa quando ci si libera delle etichette e dei ruoli assegnati da altri per essere se stesse, consapevoli delle proprie capacità, delle proprie risorse, del proprio potere personale.
Si è ribelli o lo si diventa quando non ci si accontenta di fare bene il “compitino”, ma si ha il coraggio di rompere le cattive abitudini e di lottare per cambiare le regole perché il mondo del lavoro sia un luogo in cui le persone possano fiorire ed evolvere.
Si è ribelli o lo si diventa quando ci si arma (in latino re-bello significa appunto riprendere la guerra) di tutta quella complessità di conoscenze e sensibilità necessarie per condurre la propria impresa verso orizzonti non ancora conosciuti, sperimentando anziché seguendo semplicemente le procedure esistenti.
Abbiamo scelto questo nome per risvegliare un desiderio di cambiare, una voglia di intraprendere e di farcela, un senso di rivalsa in chi si sente soffocato e ingabbiato in un sistema in cui non si riconosce più e vuole realizzare la propria impresa mettendo al centro la dignità dell’essere umano.
L’appellativo “ribelli” ha sempre suscitato molta curiosità dal primo momento che siamo apparse sui social e sui giornali con il nostro progetto. Pensare che avevamo fatto preoccupare la Digos di Treviso che aveva cominciato a seguirci sui nostri canali social!
Oggi i nostri follower sono imprenditrici, imprenditori, dirigenti delle diverse Associazioni di categoria (Confindustria, Confartigianato in primis), manager in fase di evoluzione, liberi professionisti… E forse la parola ribelli non suscita più un sorrisino, ma è diventata veramente interessante.
Cosa differenzia il tuo percorso di consulenza e formazione imprenditoriale dagli altri servizi, anche presenti online?
Quello che ci viene riconosciuto è un approccio molto concreto che si basa su un ottimo bilanciamento tra attenzione all’aspetto mentale delle persone che accompagniamo, co-progettazione dell’evoluzione aziendale con strumenti applicabili e subito messi in pratica, in modo da vederne gli effetti, grande sensibilità alla dimensione etica, al senso di fare impresa per generare valore per una comunità, non solo profitti.
Com’è composto il tuo team di imprenditrici ribelli? È difficile lavorare in una squadra tutta al femminile?
Il team attualmente si compone di cinque professioniste: Laura Morello, consulente di direzione, coach e innovation manager, Francesca Covolan, brand stylist, Chiara Dondi, filosofa e business writer, Silvia Barro, creatrice di contenuti e poi ci sono io, psicologa d’impresa e consulente nell’ambito delle relazioni umane.
Lavorare insieme è stimolante e appassionante, forse perché condividiamo i valori di fondo del progetto. La fiducia per noi è fondamentale e questo ci consente di collaborare tenendo conto delle peculiarità di ciascuna.
Sembra tutto ideale, ma non è così. Ci siamo arrivate un po’ alla volta e ci lavoriamo costantemente, trovando occasioni per confrontarci, ascoltarci e aiutarci a crescere.
Qual è stata la tua più grande soddisfazione in questo progetto? Quale invece il più grande ostacolo?
La nostra più grande soddisfazione è vedere evolvere persone che si sentivano “masticate” da un lavoro che le spremeva, lasciandole sempre più povere di senso. Grazie a un percorso di accompagnamento sono riuscite a realizzare un proprio progetto di business sostenibile e in attivo.
Inoltre, ci entusiasma supportare aziende e team che con fiducia e curiosità esplorano nuovi modelli organizzativi e sperimentano nuovi stili di leadership. Mettono in discussione il “si è sempre fatto così” o “qua decido io” per lavorare con umiltà nella realizzazione di un’impresa in cui le persone siano orgogliose di collaborare.
Il più grande ostacolo è chi vuole farci credere di non essere abbastanza, abbastanza brave, abbastanza competenti, abbastanza strutturate o altro.
E a volte siamo noi stesse ad ostacolarci…
Crediamo di essere lontani anni luce da quello che sta succedendo in Iran e dal motto “Donna, vita, libertà”, eppure se analizziamo i dati ufficiali come quello dell’indice sull’uguaglianza di genere 2020 elaborato dall’EIGE, l’Italia ha ottenuto un punteggio di 63,5 su 100. Tale punteggio è inferiore alla media dell’UE di 4,4, punti. È possibile invertire questa rotta e arrivare ad una parità di genere reale?
Non sappiamo se riusciremo ad arrivare ad una parità di genere reale, o comunque quanto ancora ci vorrà per arrivare a questo traguardo. In Italia la cultura patriarcale e maschilista è ancora molto forte. Spesso è nutrita non solo dagli uomini ma dalle stesse donne, che vivono in uno stato di rassegnazione e compiacenza. Allora, l’obiettivo a breve è comunque quello di far prendere consapevolezza innanzitutto alle donne delle possibilità che hanno di fare un passo in avanti in termini di uguaglianza di genere. Nonostante le difficoltà non bisogna rassegnarsi. Abbiamo il dovere di educare le nuove generazioni a scelte personali di libertà, anche quando possono costare fatica. La parità di genere forse passa proprio per la libertà e la ribellione, e per questo ci vuole coraggio e impegno.
Qual è la più grande difficoltà che una donna incontra se vuole fare impresa?
Il fare impresa richiede tanto impegno, tanto tempo e convinzione, almeno all’inizio. E allora forse la difficoltà delle donne è proprio quella di “concedersi” di fare ciò che sognano e desiderano. Avere il coraggio di credere in se stesse, e sentire di avere il diritto di farlo. La difficoltà di concedersi prima di tutto da sole il diritto di fare impresa, di realizzare il proprio progetto, senza voler fare tutto da sole. Infatti, si incontrano spesso difficoltà nel conciliare i tempi dell’impresa e i tempi della vita personale e familiare. Se ci apriamo a farci aiutare, al supporto anche di altre persone, forse allora possiamo anche noi superare le difficoltà.
C’è qualche figura femminile che durante il tuo percorso professionale ti ha fortemente ispirata?
Una figura femminile che ci è stata spesso di ispirazione è Gabrielle “Coco” Chanel. Magari può sembrare un esempio lontano e nel tempo è stato anche un pochino romanzato, tuttavia quando ho scoperto la sua storia per me è diventata un esempio ispiratore.
Tutta la vita di Coco Chanel parla di forza di volontà, tenacia, perseveranza. Da un lato è stata una donna che non si è lasciata abbattere dalle difficoltà e dalle sfide che la vita le ha presentato (morta la madre, abbandonata dal padre, finisce in orfanotrofio, da cui esce a 18 anni). Dall’altro anche quando ha cominciato a lavorare come sarta non si è accontentata, e non si è ingabbiata in una vita ordinaria.
Ecco il suo essere curiosa e libera, sperimentarsi come cantante, frequentare ambienti diversi, il continuare a mettersi in gioco… mi ispira perché è per me l’esempio di chi va oltre il suo talento. Ogni giorno continua a coltivare il suo domani, non sapendo forse neanche lei dove sarebbe arrivata, ma mettendosi in gioco ogni giorno.
Cosa consiglieresti ad una donna che vuole lanciare un progetto simile al tuo?
Consiglierei di riflettere innanzitutto sul perché vuole farlo. Una profonda riflessione iniziale può aiutare a capire se il progetto che si vuole realizzare è la risposta giusta a quanto stiamo cercando. Abbiamo incontrato donne che volevano solo allontanarsi da esperienze e contesti non adatti a loro, ma allo stesso tempo non avevano un vero obiettivo. E in tal caso il rischio è di accorgersi dopo che non era questo il percorso che cercavano.
Altre che invece sentono di avere una missione, e di fronte a questo sentire allora non le fermano la fatica e le difficoltà. Altro consiglio è quello valutare dall’inizio anche il lato economico del progetto: a volte le donne hanno un approccio “romantico” al business. Per pudore e per convinzioni limitanti non prendono in seria considerazione la sostenibilità economica del progetto.
Consiglio per questo di collaborare o farsi accompagnare da chi le aiuta a valutare anche il business plan oltre la passione, perché non rimanga solo un hobby. E infine, imparare a delegare, senza voler dimostrare di essere onnipotenti o perfette.