“Che cosa sarebbe peggio: vivere da mostro o morire da uomo per bene?”: la chiave di interpretazione di un film di ribellione.
Opera cinematografica tra le più celebri degli ultimi anni, Shutter Island narra della difficoltà di elaborazione di un trauma e della psicosi che esso scaturisce. Un film di ribellione verso se stessi, un viaggio che si conclude con la ricerca disperata di pace interiore.
Shutter Island: la trama (con spoiler)
La pellicola di Martin Scorsese racconta del tentativo dell’agente federale Edward Daniels, soprannominato Teddy, e del suo braccio destro Chuck Aule. Ai due agenti è stato affidato il compito di indagare sulla scomparsa di una paziente dell’Ashecliff Hospital di Shutter Island, un ospedale psichiatrico specializzato nella cura di criminali. La donna in questione è una certa Rachel Solando, ricoverata a seguito dell’uccisione dei propri figli per annegamento.
A portare sull’isola Teddy, però, è anche un’indagine personale: il protagonista è convinto di poter trovare all’interno della struttura anche Andrew Laeddis, piromane che ha causato la morte della moglie dell’agente.
L’atmosfera all’interno della struttura è cupa, misteriosa e tesa. Sin dall’inizio è chiaro allo spettatore che qualcosa non torni e che coloro che lavorano all’interno dell’Ashecliff Hospital stiano depistando le indagini nascondendo qualcosa al nostro protagonista. Nel corso delle vicende, e dunque delle azioni investigative di Teddy, diventa tutto sempre più chiaro: lui stesso è Andrew Laeddis.
Andrew Laeddis ha perso il senno dopo la scoperta dell’uccisione dei suoi due figli, per annegamento, da parte della moglie maniaco-depressiva, e per questo le ha tolto la vita sparandole nel petto. A seguito di questo trauma è stato rinchiuso nell’Ashecliff Hospital e la mente di Andrew ha dato vita ad un alter-ego: Edward Daniels. Nome anagramma di Andrew Laeddis, Edward è alla ricerca di Raechel Solando, nome anagramma di Dolores Chanal, ovvero sua moglie.
In un gioco di ruoli all’interno della mente del protagonista lo spettatore osserva la realtà dal suo punto di vista alla ricerca nient’altro che di se stesso.
Tutte le vicende narrate sono infatti un esperimento dei medici per cercare di far tornare in sé Andrew, evitandogli così la lobotomizzazione.
Quando il protagonista, al termine delle vicende, capisce quale sia la sua vera identità sembra ricadere nel suo disturbo psicotico, ma in realtà è una decisione cosciente: preferisce essere lobotomizzato piuttosto che vivere con il peso della perdita dei figli e dell’uccisione della moglie affermando: “Che cosa sarebbe peggio: vivere da mostro o morire da uomo per bene?“.
La ribellione interna di Andrew/Edward in Shutter Island
La storia di Andrew è drammatica. Cerca di ribellarsi ad ogni evento traumatico vissuto nei suoi anni. Ma questa ribellione è di tipo psicotico. Cercando di cancellare l’uccisione dei suoi figli e della moglie, Andrew cancella se stesso, trovando apparentemente in questo atto la usa unica via di uscita.
L’impossibilità di convivere con un peso così grande lo conduce alla follia.
Andrew vorrebbe ribellarsi alla moglie e a ciò che entrambi hanno fatto, ma l’unico modo per porre rimedio a quelle azioni irrimediabili è cancellare un’intera vita.
La rimozione è l’unica possibilità per Andrew di vivere da uomo per bene, l’unica modalità di ribellione e azione.
La sua rivolta è nei confronti del proprio inconscio, il super-ego che cerca di mettere a tacere i propri istinti. L’Io che si difende e si ribella agli impulsi dell’Es che però, purtroppo, hanno già colpito. Allora l’ultima speranza per l’Io di vivere da uomo per bene è rimuovere definitivamente e forzatamente attraverso la lobotomizzazione. Forse solo così Andrew potrà davvero trovare pace.
Una risposta psicologica per la ribellione verso se stessi
Per comprendere il film sotto un punto di vista “clinico” è utile definire il concetto psicologico di amnesia dissociativa. Questo disturbo, tipico ad esempio di sopravvissuti a disastri naturali o atti terroristici, porta il soggetto a dimenticare un evento per lui estremamente traumatico. La cancellazione di tale evento dalla propria mente non è una patologia fisiologica, bensì una risposta di quest’ultima allontanando la consapevolezza per permettersi di vivere una vita priva di angoscia. Proprio per questo motivo recuperare l’informazione perduta è possibile attraverso la psicoterapia.
Possiamo quindi comprendere la mente del protagonista che, al fine di proteggerlo dall’estrema sofferenza e dal forte impatto che il trauma dell’uccisione dei suoi figli e della moglie hanno su di lui, allontana questi eventi.
Il disturbo dissociativo conduce molto spesso anche alla perdita dell’identità personale, proprio come accade all’interno dell’opera cinematografica. Infatti, è clinicamente possibile che la persona vittima di tale disturbo arrivi alla creazione di una nuova identità, una nuova famiglia e un nuovo lavoro. Il desiderio è quello di scappare da una situazione ostile.
Il viaggio dissociativo del protagonista rappresenta, quindi, l’incapacità di affrontare il proprio trauma, ribellandosi ad esso attraverso la creazione di una realtà che possa permettergli di vivere serenamente. Perdonare se stesso per ciò che è accaduto è impossibile e, desiderando di vivere evitando la consapevolezza, sceglie coscienziosamente una vita da “uomo per bene“.
A cura di Elisa Paolucci