“E quindi uscimmo a riveder le stelle”
Sono questi i versi scelti da Dante per chiudere il XXXIV canto dell’Inferno, prima cantica della Commedia. Un messaggio di speranza. Dante, dopo essersi gravato delle pene e delle fatiche dei condannati, esce e, finalmente, vede la luce delle stelle: erano ancora lì a brillare come se niente fosse mai successo.
Un messaggio che sembra attualissimo e forse anche banale… Se Dante si possa mai definire banale! Del resto Dante è quello che viene definito il padre della lingua italiana ed è inevitabile che i suoi versi siano ancora attuali ed utilizzati da qualsiasi generazione.
Sembra una di quelle classiche frasi che le persone si tatuano o trascrivono nei loro diari… O forse è davvero così!
Ma come è possibile che un qualcosa risalente a più di settecento anni fa riesca ad essere apprezzato ancora oggi?
Questo è un po’ quello che si definisce l’immortalità dell’arte.
L’arte è fondamentalmente un concetto astratto, un’esaltazione dell’espressività dell’uomo in tutte le sue forme ed è per questo che è un qualcosa che non potrà mai morire. Potrà evolvere, cambiare forma e modo di esser proposta ma morire mai.
L’arte di Dante, come quella di molti altri autori che ci accompagnano ancora oggi ma che sono nati a secoli e secoli di distanza da noi, era sicuramente quella di saper racchiudere nell’inchiostro tutto ciò che si desiderava dire creando così versi e prose che ancora oggi citiamo.
In questo senso la letteratura è onnipotente e come diceva Umberto Eco: “Chi non legge a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito. Perché la letteratura è un’immortalità all’indietro.”
E allora… Perché Dante è ancora così attuale?
Beh, innanzitutto perché senza di lui probabilmente non ci sarebbe la lingua italiana che conosciamo. Dante è stato il primo a credere nel volgare e il primo a dire che l’italiano era una lingua perfetta tanto quanto il latino, se non di più perché accessibile a tutti a differenza di quest’ultima che conoscevano solo le persone colte.
Dante per scrivere la sua Commedia ha usato la lingua del popolo passando da termini basici a termini aulici man mano che si innalzava il tema trattato ma senza mai comunque abbandonare un italiano che potesse essere accessibile a tutti.
Inoltre, la Commedia dà un perfetto spaccato di quella che era la mentalità medievale dell’epoca, ne analizza vizi e corruzione ed è un importante trattato storico.
Ma solo Dante ha contribuito alla formazione della lingua italiana?
Assolutamente no. La lingua italiana vera e propria, per come si intende oggi, è un processo molto lungo partito da un dibattitto del 1600 su quali fossero le forme corrette da utilizzare nello scrivere e nel parlato. Ma una cosa è certa: è partito tutto dal dialetto toscano, non solo quello dantesco ma più precisamente quello delle Tre Corone: Alighieri, appunto, Boccaccio e Petrarca.
I tre vengono definiti così per segnalare i tre più famosi autori appartenenti al XIII secolo.
Anche Boccaccio, infatti, sceglie di scrivere in fiorentino, alterna una prosa colta ed elaborata ad una quotidiana e viva. Petrarca, invece, scrive la maggior parte delle sue opere in latino ma la sua opera più celebre ovvero Rerum Vulgarium Fragmentia, letteralmente frammenti di cose volgari, è per l’appunto in volgare.
Petrarca con il suo volgare fiorentino ricercava la perfezione formale, usando un numero ristretto di vocaboli che vengono scelti con particolare attenzione.
Ma quindi con la formazione della lingua italiana nasce anche l’Italia Unita?
No, anche perché c’è da dire che nel ‘300 un’Italia vera e propria di fatto non esisteva ancora. Dovettero passare diversi secoli prima di poter vedere il progetto dell’unità realizzato.
Ancor prima che una vera lingua italiana si sviluppasse veramente le persone avevano infatti già iniziato a sentirsi italiane ma senza avere un parlato comune. Si erano sviluppati talmente tanti dialetti diversi che era come se fossero nate altrettante lingue. Alessandro Manzoni, considerato un altro degli “autori della lingua italiana”, con i suoi Promessi Sposi, diede un importante contributo. Fu in grado di fornire un nuovo modello di lingua letteraria, voleva che non contenesse termini aulici ma solo termini quotidiani e di semplice comprensione.
La formazione della nostra lingua fu lunga e complessa ma sicuramente è passata per la letteratura, seconda forma di comunicazione dopo l’oralità.
Come, però, diceva Giacomo Leopardi: “Per rimetter davvero in piedi la lingua italiana, bisognerebbe prima in somma rimettere in piedi l’Italia e gl’italiani, e rifare le teste e gl’ingegni loro”.
Era, quindi, inutile concentrarsi sulla lingua se di fatto non c’era un Italia e tantomeno delle persone pronte a definirsi davvero italiani.
L’immortalità della letteratura ha fatto sì che opere del genere non solo formassero il modo con cui comunichiamo tutt’oggi ma ci ha permesso e ci permette ancora di ragionare, creare dibattiti e confronti.
E la cosa più assurda forse è che opere scritte secoli fa, nonostante il contesto completamente diverso, riescano comunque ad essere attuali ancora oggi perché di base la mentalità umana non cambia mai del tutto.
Forse ogni tanto dovremo soffermarci di più su quanto possa essere onnipotente la comunicazione scritta che, in alcuni casi, genera la letteratura, spesso non ce ne rendiamo nemmeno conto ma è ovunque.
A cura di Elena Massaro