Storie sullo schermo. Dietro le quinte del lavoro dello sceneggiatore

Storie sullo schermo. Dietro le quinte del lavoro dello sceneggiatore

Come nascono film e serie tv? Lo abbiamo chiesto oggi ad Antonio Manca, sceneggiatore televisivo e cinematografico che ha risposto alle nostre curiosità.

Ciao Antonio, partiamo dall’inizio. Ci puoi spiegare in cosa consiste il lavoro dello sceneggiatore?

Buongiorno e grazie per l’intervista. Innanzitutto, lo sceneggiatore è sostanzialmente lo scrittore dell’opera cinematografica o televisiva, per dirla breve del film o della serie tv; ne è, quindi, in qualche modo l’autore, o da solo o insieme ad altri sceneggiatori. Nel caso dei film, in particolare del panorama italiano o europeo, si tende a lavorare molto col regista. A me è capitato di scrivere film insieme ai registi e di essere quindi in qualche modo coautore; può succedere che l’idea venga da uno o dall’altro, però di fatto è un lavoro molto collettivo. Il discorso cambia se parliamo di cinema o di televisione. In quest’ultima, essendoci una serialità da rispettare, il processo è un po’ più strutturato rispetto alla scrittura di un film. Quando una storia viene comprata e viene quindi approvata si passa allo sviluppo vero e proprio.

Ci sono poi tutta una serie di passaggi nel lavoro dello sceneggiatore che sono abbastanza standardizzati; essi vanno dal concept della serie fino alle sceneggiature vere e proprie delle singole puntate. Quindi, per concludere, possiamo dire che il lavoro dello sceneggiatore consiste nel pensare la storia e proporla ad un produttore. Nel caso fortunato in cui l’idea viene approvata si fa il pitch che in gergo significa “fare il lancio” cioè proporre l’idea. Naturalmente non sempre un’idea nasce “da sola”. Ogni tanto capita che un produttore ti dica che ha acquistato i diritti per adattare un libro e allora si dà il via al lavoro facendo in primis diverse riunioni per capire quale sia la chiave di lettura migliore per adattarlo.

Come nasce una storia e quanto conta la sceneggiatura?

Anche qui diciamo che le risposte sono molteplici perché è un qualcosa che può variare. I lavori che ho fatto come sceneggiatore o quelli che sto facendo in questo momento non sono nati nello stesso modo. Per esempio, uno dei film che ho scritto è “La ragazza del mondo” del regista Marco Danieli. In questo caso specifico l’idea proveniva da uno spunto reale, ovvero da una persona che il regista aveva conosciuto. O, ancora, spesso ci si lascia ispirare da fatti di cronaca realmente accaduti.

Una cosa fondamentale è che debba sempre esserci un conflitto, più è strutturato meglio funzionerà la storia. Il film sopracitato trattava temi sempre attuali, chi siamo noi, qual è la nostra identità e perché questa è sempre circoscritta alla realtà nella quale siamo cresciuti. Quali sono gli ingredienti che fanno nascere una storia? Come dicevo prima la storia non può esistere se non c’è un conflitto all’interno dello spunto narrativo iniziale. Con conflitto intendo dei grossi ostacoli che si frappongono alla felicità del protagonista che cerca di perseguire un obiettivo o che cerca di vivere una vita normale o di fare un determinato percorso. Non devono necessariamente essere grandi conflitti, possono anche essere conflitti interiori però sono necessari perché la trama prosegua.

Ovviamente può capitare che siano anche il regista o il produttore stessi a proporre un’idea per una storia. Questo perché magari vogliono poter lavorare con degli attori specifici o ancora perché desiderano adattare un libro. La prima cosa da fare è proporre un soggetto breve che può essere dieci/quindici pagine, ovvero il concept. Esso serve a capire lo sviluppo della serie e soprattutto serve a capire se può avere più o meno stagioni. Una cosa che viene sempre richiesta in questa fase è la reference ovvero il modello di riferimento, bisogna specificare se la proposta portata è più nello stile di Stranger Things o di Mare fuori, per esempio, e bisogna inoltre capire anche a quale casa di produzione destinarla perché ci sono delle differenze fra, per esempio, Netflix o Mediaset.

La sceneggiatura conta tanto perché alla fine la scrittura è alla base di tutto anche se poi sul set molte cose verranno cambiate. Se non c’è una sceneggiatura solida è un disastro. Dalla sceneggiatura, infatti, dipendono anche i costi, il budget, le location, gli attori. È una cosa che mette in moto tutto, come dire un processo industriale vero e proprio che poi porterà al prodotto finito.

Qual è il segreto per uno sceneggiatore per creare una buona serie TV?

Ecco, questa è una domanda da un milione di dollari! E ti confesso… Se conoscessi la risposta non la condividerei con nessuno. Una cosa che posso sicuramente dire, e che magari può risultare banale ma di fatto molto vera, è che il segreto è quello di creare un pubblico di riferimento al quale parlare. Altro consiglio che posso dare a chi si sta muovendo i primi passi nel ruolo dello sceneggiatore è quello di avere fin da subito un progetto ben concepito. Diciamo che dipende moltissimo anche per quale rete scrivi, perché se la scrittura è per una rete generalista come la Rai è un conto, se per Netflix un altro.

Bisogna sempre cercare di far interessare più persone possibili ad un determinato prodotto. È per questo che spesso sono presenti diverse tematiche all’interno di una sola serie in modo che chiunque, fra il pubblico, possa interessarsi ad una sottotrama diversa. Poi a seconda della piattaforma per la quale scrivi decidi anche su quali aspetti concentrarti di più. In che senso? Se la serie è per esempio per Amazon puoi anche permetterti di fare un genere più crudo. Quindi, per tornare alla domanda iniziale, ti direi che il segreto per una buona serie tv purtroppo non esiste. Ma sicuramente l’organizzazione e una buona conoscenza del pubblico aiutano.

Ci sono delle serie TV che diventano virali, anche grazie ai social e al perché si creano meme o edit. Un esempio è Mare fuori, secondo te a cosa è dovuto il suo successo?

Mare fuori è stato progettato fin da subito per Rai 2 ed è partita subito come una serie piuttosto particolare perché comunque l’ambientazione è quella del carcere e una serie del genere su Rai uno era più rischiosa. Inoltre – anche se ormai la vedono fasce di età diversissime – nasceva come una serie un po’ più teen, data anche l’età dei protagonisti. Diciamo che il vero boom c’è stato con Rai Play e subito dopo con l’approdo su Netflix: con questa doppia cassa di risonanza è una serie vista da tantissime persone. Poi secondo me si deve tanto anche alla scrittura perché è una serie che ha degli elementi molto forti: c’è la prigione, il drama e tutte le problematiche adolescenziali. Importante è anche un’ambientazione ben definita che è quella di Napoli.

Mare fuori è come un “romanzo di formazione” perché è vero che è tutto legato alla criminalità ma fondamentalmente i protagonisti sono dei ragazzi quindi, anche se in modo meno intenso, gli spettatori si riconoscono nei caratteri. C’è da dire poi che i giovani attori sono tutti molto bravi; anche quelli adulti ma loro erano già conosciuti. Dal punto di vista dello scrittore posso dire che questa serie ha una sceneggiatura ferrea e ingredienti diversi tra loro ma tutti molto azzeccati.

È più importante una buona ambientazione o un buon dialogo?

Per me una buona ambientazione è quella che ha determinati connotati da diventare personaggio. La parola che si usa nel gergo, cioè nel linguaggio drammaturgico, è l’arena ovvero i luoghi dove le cose accadono. Ogni arena poi ha dei cliché che vanno “rispettati” per far sì che il pubblico si abitui. Non posso dire se sia più importante una buona ambientazione o un buon dialogo perché sono due ingredienti imprescindibili, devono esserci. Come dicevo, l’ambientazione diventa personaggio e va quindi inevitabilmente a influenzare l’immaginario. Questo poi dipende ovviamente anche dal genere della serie che si va a scrivere, è naturale che in una serie tv storica l’ambientazione è più importante che in altre.

Per quanto riguarda il dialogo, questo elemento è la base: se i dialoghi fra i personaggi non funzionano c’è un problema. Scrivere i dialoghi significa anche un po’ entrare nella testa dei personaggi, capirli e comprendere come si muovono in un determinato contesto. L’ambientazione la posso già definire nel momento in cui scrivo il concept perché devo capire quale sfondo sarà presente mentre i dialoghi sono la fase finale del percorso.

L’abbigliamento dei personaggi conta molto?

Sicuramente l’abbigliamento conta molto e nello scrivere la sceneggiatura bisogna cercare il più possibile, in maniera magari non troppo invadente, di dare dei suggerimenti a chi poi si occuperà dell’abbigliamento: il costumista. Se io sto scrivendo una serie ambientata nell’Ottocento i vestiti dei personaggi sono fondamentali. È anche vero che io che scrivo non mi metto a descrivere ogni volta l’abbigliamento nei singoli dettagli del personaggio a meno che non ci sia un accessorio che ha un’importanza particolare per il racconto. Comunque, di solito i costumi sono di competenza dei costumisti. Se mi trovassi a scrivere un romanzo ovviamente sarebbe diverso perché il lettore ha bisogno di immaginare tutto, quindi è necessario che tu glielo descriva in modo che possa farsi un’idea ben precis. Ma nelle serie o nei film non è necessario perché tanto poi lo si vede rappresentato sullo schermo.

La sceneggiatura è un testo che non va letto come un racconto ma come un testo necessario per gli addetti ai lavori, il produttore, il regista, il direttore della fotografia, gli attori e i costumisti. È un qualcosa che viene letto per essere poi messo in scena.

Costruisci sempre una scaletta? E ti capita spesso di cambiarla in corso d’opera?

Si, scrivere una scaletta è fondamentale e senza quella è difficile proseguire.

La prima parte riguarda la scrittura del concept, poi dopo quello ti viene chiesto il soggetto della serie che è un po’ più articolato e dettagliato. Spesso mi è capitato di scrivere soggetti dove già si intravede la scaletta; quindi, si immagina quali potrebbero essere le varie scene. Considera che per una puntata di circa 50 minuti c’è una scaletta di circa 50/55 punti. Spesso capita di scrivere una puntata con più persone e quindi è importante avere la scaletta sottomano perché essendo in tanti è più facile che cambi. Anche se io magari non mi occuperò di un determinato episodio devo contribuire comunque alla scaletta insieme ai miei colleghi per una continuità nel lavoro di scrittura. La scaletta è un po’ lo scheletro di quello che poi sarà il copione finale.

Nella scrittura cercate di concentrarvi su un unico target di età o di proporre serie omnicomprensive?

Io di solito quando scrivo cerco di concentrarmi un po’ su tutti, in particolare quando scrivo per una rete generalista come la Rai o Mediaset. Su Rai 2 magari già si può sperimentare di più e cercare di fare delle serie un po’ più targettizzate ma di base resta sempre una rete generalista. E’ sulle piattaforme che ci si può sbizzarrire. Su Rai 1 si progettano serie per famiglie ma principalmente la guardano i genitori e, solo ogni tanto, ci sono anche i ragazzi.

Ecco perché bisogna cercare di coinvolgere tutti. Poi magari si scrive un concept e si prova a venderlo ma non si sa se te lo comprerà Netflix, Amazon o Disney. A seconda della piattaforma, si definisce anche il concept perché a quel punto il tuo produttore diventa anche tuo il team editoriale interno. Ogni piattaforma prenderà quindi gli elementi che reputa interessanti per adattarli al loro target.

Secondo te come sono cambiate le serie nel corso del tempo?

Sicuramente sono cambiate molto. A cavallo tra gli anni ’80 e ’90 le serie hanno iniziato ad avere la conformazione che conosciamo oggi. Prima le serie erano composte principalmente da singoli episodi, si chiamavano serie verticali: un esempio è il Tenente Colombo, personaggio sempre uguale ma con nessuna storia dietro che si sviluppava. Intorno sempre agli anni ’80 nasce Hill Street Blues, una delle prime serie con trama orizzontale, con puntate collegate, quindi, l’una all’altra.

Questo nuovo modo di fare serie tv è molto più paragonabile allo scrivere un romanzo. Negli ultimi anni poi si stanno esplorando sempre più aspetti della vita umana e inoltre il mercato si allargato notevolmente quindi c’è anche una maggior richiesta di prodotti che possano soddisfare tutti. Fino a pochi anni fa anche noi sceneggiatori non avremo mai pensato di poter fare prodotti così competitivi anche a livello internazionale, stiamo arrivando a un maggior livello di raffinatezza.

Parlaci di un successo di cui vai fiero.

Un successo di cui sicuramente vado fiero è una serie tv uscita l’anno scorso su Rai 1 e di cui hanno anche fatto le repliche poco fa: “La Sposa” con Serena Rossi, prodotta da Endemol. Si tratta di una miniserie, ovvero non ci saranno altre stagioni. L’ho scritta assieme a Valia Santella, che è anche autrice del soggetto di serie, ed Eleonora Cimpanelli.

Ne sono molto soddisfatto perché comunque al di là degli ascolti che sono stati molto buoni, è un racconto molto al femminile ed è un qualcosa di cui oggi si sente molto il bisogno. Parla di una donna forte ma non è la solita storia “aspirazionale”, come quei personaggi che devono necessariamente raggiungere un obiettivo altissimo.

La protagonista di questa storia è semplicemente una donna che per varie ragioni si trova in una situazione di necessità nella quale deve necessariamente portare soldi alla famiglia. Essendo la situazione davvero critica decide quindi di accettare un matrimonio combinato nel Nord d’Italia. Si ritrova quindi in una realtà completamente distante dalla sua, in un posto che non conosce e del quale non capisce nemmeno la lingua. Nonostante questo, riesce comunque ad andare oltre le difficoltà, stringe i denti ed è determinata a cambiare il mondo circostante rimanendo comunque molto dolce, senza la minima cattiveria.

Quando mi è stato proposto di lavorare a questo soggetto ero molto contento perché l’ho trovato fin da subito molto interessante. Una cosa che mi ha molto divertito poi è stato seguire la serie sui social e leggere in diretta i commenti su Twitter e Facebook perché il pubblico faceva supposizioni su quello che sarebbe potuto accadere. E’ stato molto simpatico leggere tutto questo stando dalla parte di chi sa già perfettamente cosa accadrà.

Grazie mille Antonio, sei riuscito a soddisfare perfettamente tutte le nostre curiosità!

L’universo delle serie tv e dei film è un mondo che da sempre affascina chiunque ma al tempo stesso è un qualcosa in costante evoluzione e spesso è difficile caprine le varie dinamiche. Spero che grazie a questa intervista siamo riusciti a far comprendere un po’ di quanto accade durante la scrittura di un film o di una serie tv. Il nostro augurio è quello che le reti italiane possano riuscire a fare sempre migliori prodotti che possano soddisfare un maggior numero di persone.

 

A cura di Elena Massaro

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