Parliamo di accessibilità, ma con un’accezione leggermente diversa. Il mondo dello sport infatti, per quanto portatore di sani principi, è spesso di difficile accesso, soprattutto per chi vuole arrivare “ai piani alti”.
Andremo oggi ad analizzare nello specifico due sport, che sono il calcio e la ginnastica artistica, in cui il “fattore età” gioca un ruolo fondamentale in termini di accesso alla sfera professionistica.
Eterne promesse
Partendo dal nostro principale sport nazional popolare, abbiamo spesso visto quanto sia difficile per i giovani calciatori accedere prima di tutto al professionismo, ambito in cui purtroppo il talento non basta più. Eppure, un volta tra i professionisti, la scalata alla Serie A e al calcio che conta diventa ancora più difficile, poiché limiti possono essere politici, economici, ma anche anagrafici, soprattutto in Italia.
Guardando in casa nostra, quante volte, anche dopo i recenti mondiali Under 19 e Under 20, abbiamo sentito la parola “giovane promessa”? Tante, forse troppe. Ragazzi che rimangono “giovani promesse” anche fino a 25 anni, quando i loro coetanei di altre nazioni hanno già un ottimo curriculum in ambito internazionale.
Curiosità tutte italiane
Se si fa una rapida ricerca, per esempio confrontando un ragazzo inglese con uno italiano, salta agli occhi un dato a dir poco curioso.
Prenderemo ad esempio Bukayo Saka e Nicolò Fagioli, giocatori rispettivamente di Arsenal e Juventus, nati negli anni 2000.
Saka, dopo aver fatto tutta la trafila delle giovanili nell’Arsenal e aver dimostrato il proprio valore, viene promosso in prima squadra. Fagioli invece, pur partendo solo dall’Under 15 con la società bianconera, viene fatto passare prima per la Next Gen (Under 23) e poi un anno di prestito alla Cremonese. E probabilmente (anzi sicuramente), se la Juventus non avesse avuto quei problemi societari, non avrebbe nemmeno visto la prima squadra.
Certamente la carriera dei calciatori si è allungata e parecchio negli ultimi anni, eppure in Italia anziché “cogliere l’attimo”, si va sempre più sul “non è ancora pronto”. E poi, giunti ai 25 anni, ci si lamenta che i ragazzi non abbiano ancora l’esperienza necessaria.
Dal campo alla pedana…
Ma prendiamo un altro sport in cui l’età conta, proprio per accedere all’élite e anche per “uscire” dal circuito: la ginnastica artistica.
L’Italia è una delle nazioni più forti, soprattutto in ambito femminile. Qui le atlete cominciano molto presto: 16 anni. Questo perché più si cresce, più caratteristiche come flessibilità, velocità d’esecuzione, precisione, diminuiscono.
Ricambio veloce e crudele
La carriera di queste atlete è infatti molto breve, perché a 30 anni sono già considerate “vecchie” e il ricambio è quindi molto veloce, soprattutto se capita un periodo poco performante. Basta poco e l’atleta vecchia viene scaricata per una più giovane e “nuova” in un attimo.
La più longeva è forse la nostra Vanessa Ferrari, che è stata in attività fino alle Olimpiadi di Tokyo 2020, svoltesi l’anno dopo. Unica italiana a prendere parte a quattro rassegne olimpiche, vincitrice anche di diverse medaglie e persino una figura porta il suo nome (il Ferrari).
Cosa si cela dietro il discorso dell’età
Insomma, ci sono sport che concedono l’accesso a ragazze e ragazzi molto presto, come la ginnastica artistica e altri, come il calcio, che quasi sembrano ostacolarli. Non basta sempre solo il talento, a meno che esso non sia cristallino e non si possa proprio farne a meno.
Come se si cercasse un imprescindibile un eroe. Non bastano più la tenacia, l’impegno, la costanza. Bisogna essere splendenti, altrimenti l’accesso all’élite non arriva.
Non esiste più il lasciare una porta aperta e dare una gratificazione a questi atleti. Al contrario, alcuni vengono mandati in campo o in pedana quando (davvero) non sono pronti, col rischio di bruciarli troppo presto.
L’unica cosa che si desidera al giorno d’oggi è l’eccellenza, quella fuori dal comune, peccato che la si chieda a tutti. E sta tutto qui l’ossimoro della nostra società: chiedere a tutti qualcosa che è appannaggio di pochi, senza comprendere che non dobbiamo essere tutti fuori dal comune, ma semplicemente noi stessi.