Matinée: il b-movie al tempo della Guerra fredda

Gli effetti speciali di un film possono essere scambiati per un vero attacco missilistico? Sì, e, naturalmente, saranno gli adolescenti a ricondurre alla ragione gli adulti, secondo una costante del cinema di Joe Dante, uno dei cineasti più sottovalutati della seconda metà del ‘900. Nell’autunno 1993 usciva nelle sale italiane Matinée , uno dei film in assoluto più geniali del regista del New Jersey.

Lo sfondo storico del film è la crisi di Cuba. Ottobre 1962: in seguito all’installazione di missili americani in Turchia, l’Urss decide di installare una postazione analoga appunto a Cuba, a poche miglia dalla Florida, scatenando forti proteste da Washington. Kennedy e Kruscev sembrano ai ferri corti. Entrambe le parti sembrano a un passo dall’attacco armato. Per 13 giorni il mondo rimane con il fiato sospeso, di fronte alla prospettiva più che concreta dello scoppio di una terza guerra mondiale. E’ in questo clima di incertezza e di cupa sospensione che, in una cittadina della Florida, Kay West, il vulcanico produttore cinematografico Lawrence Woolsey si prepara alla prima del suo nuovo film horror “Mant” (il mostruoso uomo-formica), un perfetto b-movie con effetti speciali artigianali spesso costruiti in sala. Effetti un po’ troppo ben riusciti, visto che verranno scambiati dalla popolazione per il tanto temuto attacco sovietico, provocando un’ondata di panico su scala nazionale. Erano chiamate Matinée le proiezioni cinematografiche mattutine, in cui la platea era composta per intero da ragazzi che avevano marinato la scuola. Il protagonista, magistralmente interpretato da John Goodman, è ricalcato sull’eclettica figura di uno dei più importanti produttori di film a basso costo degli anni ’60, William Castle. Al botteghino, il film di Dante è un completo fallimento ma rimane un capolavoro di citazionismo, capace di restituire al meglio l’atmosfera di psicosi e paranoia di una società americana ossessionata dalla Guerra fredda e dall’idea di doversi difendere da una onnipresente “minaccia esterna”.

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Non è la prima volta che Hollywood si diverte con le fasi tragiche della Storia. Da par suo, Stanley Kubrick, nel 1963, aveva già portato alle estreme conseguenze il sarcasmo nei confronti del fronteggiamento Usa-Urss. Ne “il dottor Stranamore” il mondo viene distrutto davvero da una catastrofe nucleare, mentre i vertici dei due blocchi sono interessati solo a rintanarsi “momentaneamente” per una novantina d’anni in qualche profonda miniera al riparo dalle radiazioni. Nel 1979, Steven Spielberg invece illustra in un perfetto manifesto comico, “1941: Allarme a Hollywood”, il clima dell’America post-Pearl Harbor, con i cittadini della costa californiana armati per fronteggiare un’eventuale invasione giapponese (e regalando a John Belushi uno dei ruoli della vita, quello dell’aviatore pazzo “Wild Bill” Kelso). Andando più indietro nel tempo, possiamo ritrovare molti film di Alfred Hitchcock che si divertono a stuzzicare le paure dell’opinione pubblica degli anni ’30 sull’infiltrazione nazista nella società inglese e americana, con titoli come “Il club dei 39” (1935), “Sabotaggio” (1936), “La signora scompare” (1938), “Sabotatori” (1942). Coerentemente con i temi più oscuri del cinema di Hitch, il male ha sempre una provenienza domestica, quasi familiare: il vicino di casa o il collega di lavoro possono sempre essere terroristi al servizio del nemico. La “minaccia” si presenta spesso con un’apparenza affabile, spesso brillante. La critica di guerra storce il naso: sullo schermo il nemico non dovrebbe mai sembrare troppo astuto, ma la poetica hitchcockiana non ammette eccezioni: il cattivo è pericoloso soprattutto se ha delle doti, non va mai sottovalutato. I fantasmi non si limitano solo a precedere le guerre. Spesso le seguono. Orson Welles, con “Lo straniero” (1946) diretto da lui e “Il terzo uomo” (1949) di Carol Reed, dedica due magistrali personaggi al tema della caccia ai criminali di guerra latitanti. Un filone narrativo molto fertile dunque, quello che si insinua tra le paure determinate dagli alti e bassi della Storia, a volte per esorcizzarle, altre volte per storicizzarle, altre volte invece, solo per usarle come espediente narrativo, dato che raramente si trova qualcosa che possa spaventare di più.

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