Tour riparte senza Contador e Nibali in giallo

Dopo due settimane di Tour de France è arrivato il momento di fare i primi bilanci.

14 luglio, festa nazionale per i francesi, il Tour è in corso con la tappa che precede il giorno di riposo. Ci sono da percorrere 161 km e mezzo, da Mulhouse a La Plan des Belles Filles. Ostacoli da superare sette, sette gran premi della montagna, di prima, seconda e terza categoria. La tappa non è quindi delle più facili, le pendenze ci sono, belle salite da far invidia anche a qualche alta montagna, discese tecniche e non poteva mancare, neanche oggi, la pioggia che, come in quasi tutte le tappe di questo 101° Tour de France, tiene compagnia ai ciclisti per rendere il tutto ancora più difficile. A poco più di 70 km dalla fine della tappa, in una discesa, resa difficile dall’asfalto scivoloso per la pioggia, cerca di prendere il largo Alberto Contador, ma il rischio caduta è alto, troppo alto e il pistolero spagnolo non riesce a mantenere il controllo della sua bici e va giù. Arrivano i soccorsi, il gruppo con un grandissimo gesto di fair play rallenta vistosamente, grande gesto di sportività  da parte dell’Astana di Nibali e di tutto il gruppo, nessuno escluso.  Dopo le  cure e le medicazioni cerca di rimettersi in sella ma subito dopo chiama a rapporto il suo più fedele gregario Michael Rogers, pacca sulla spalla che ha il sapore di un bel gesto di saluto alla squadra prima di mollare. Arriva l’ammiraglia della Tinkoff-Saxo e il Tour di Contador finisce qui. Dispiace. Quando un ciclista si ritira con le lacrime che segnano il viso dispiace ancora di più ma il ciclismo è anche questo. Non si tratta di essere cinico o meno, in bici si cade, a volte ci si rialza, si prende la bici e si riparte altre volte il dolore, le ferite sono così profonde a da non aver le forze per spingere in giù il pedale e fare nemmeno un metro. I fattori di mezzo son tanti, dalla bravura ad affrontare quel tratto di strada, al saper trovare il momento adatto per affrontare un rischio, e naturalmente la fortuna che in questo caso non ha assistito Contador. Il Tour de France 2014 è stato caratterizzato sin dai primi giorni da cadute che hanno fatto  più notizia di altre, quelle che hanno visto coinvolti capitani di team da cui ci si aspettava spettacolo e risultati. Nella prima frazione, eravamo in Inghilterra, cade il velocista, forse, più forte del gruppo, Mark Cavendish che, dopo esser arrivato al traguardo guidando la sua bicicletta con una sola mano e con una espressione di dolore inconfondibile, si ritirerà e non prenderà il via nella seconda tappa. Nella terza frazione  il mal capitato è Andy Schleck che non pprenderà il via il giorno seguente. Nella terribile quinta tappa, sul pavè della mini Parigi-Roubaix ad incappare per l’ennesima volta nella trappola è uno dei favoriti alla vittoria finale Chris Froome. Diverse le cadute della sesta frazione, e tra i ritiri spicca quello di uno dei gregari di prima linea di Contador, Jesus Hernandez. Quasi tutti i giorni di questo Tour hanno visto delle cadute e dei ritiri e ancora chissà quante ne vedremo, sicuramente registreremo, anche più avanti, l’assenza di qualche corridore alla partenza di ogni tappa, è il ciclismo, è la corsa a tappe, è il Tour de France.

Veniamo al motivo della rabbia. Ritiratosi l’ennesimo ciclista, mi ripeto, oggi il malcapitato è stato Contador (successivamente il team ha fatto sapere che lo spagnolo ha riportato la frattura della tibia) cronisti e alcuni giornalisti  italiani in particolar modo, continuano a ripetere che il Tour de France 2014 passerà alla storia come il Tour del ritiro di Froome e Contador. Il tour delle cadute di Froome è Contador. NO. Non è e non sarà assolutamente il Tour delle cadute di Froome e Contador o del ritiro di Froome e Contador, non può esserlo per rispetto degli altri corridori caduti, e ce ne sono, e per quelli in gara. Il Tour è innanzitutto di tutti gli amanti di questo sport, il Tour è di ogni atleta che, metro dopo metro, ogni giorno con fatica, sudore, magari rialzandosi dopo una caduta, riprendendo la bici montano su e arrivano al traguardo, aspettano il giorno successivo per completare un’altra tappa, per partire in fuga sperando vada in porto, sperando di aggiudicarsi un traguardo intermedio, un gran premio della montagna, o addirittura la tappa, sognando di poter conquistare una maglia, se non quella gialla una delle altre in palio. Il Tour è di chi vince ogni tappa e realizza un sogno, il Tour de France 2014 è di Kittel che si è aggiudicato la prima maglia gialla e ha vinto 3 delle prime quattro tappe. E’ di Boom che vince sul pavè della quinta frazione. Questo Tour è anche di Greipel (sesta tappa), è del giovanissimo Matteo Trentin che batte in volata Sagan(settima tappa), è di Kadri (ottava tappa). Tony Martin, che ci ha regalato un numero fantastico, si è aggiudicato la nona tappa dopo averla percorsa quasi interamente da solo, in fuga, e nella decima lo ritroviamo ancora in fuga, il tour è anche suo. Il tour è di Gallopen il francese che conquista la maglia gialla anche se solo per un giorno ma è il giorno più importante per i francesi. Il Tour è di Sagan che ogni giorno lotta con tutte le sue forze e su otto tappe è sempre stato tra i primi cinque al traguardo, record. Il tour è di Scarponi, gregario di Nibali che dopo una spettacolare caduta è immediatamente in sella alla bici lì, accanto al suo capitano ad accompagnarlo in salita e dargli le motivazioni giuste per lanciarlo quando di forze non ne ha più. Il tour è sicuramente anche di Contador e Froome che hanno preso parte e che hanno lottato, ma non può essere solo loro. Il tour è dello squalo Nibali che si è aggiudicato due tappe con delle azioni magiche, ha indossato la maglia gialla per sette giorni lasciandola, solo per il giorno di festa, al francese Gallopin e riprendendosela subito. Il tour è di chi arriverà in giallo sugli Champs-Elysées, speriamo di Nibali.  Speriamo a Parigi il 27 luglio di poter dire che il tour sarà davvero di Nibali, e  se lo sarà, sarà solo per i suoi meriti. Speriamo lo capiscano presto anche i giornalisti italiani o che almeno qualche loro collega della stampa estera glielo spieghi per bene.

A cura di Guglielmo Lentini.

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